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10 domande a...

10 domande che hai sempre voluto fare a un agorafobico

Come ci si guadagna da vivere, si soddisfano le esigenze sessuali e si passa il tempo quando non si può uscire di casa? Lo abbiamo chiesto ad un ragazzo di 32 anni che da oltre dieci è agorafobico.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Secondo la definizione che ne dà Wikipedia, l'agorafobia è "la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all'aperto." Il che, sostanzialmente, significa che chi ne soffre tende a passare una percentuale altissima del proprio tempo barricato in casa.

Proprio per questa ragione, gli agorafobici gravi sono piuttosto rari da incontrare in giro, e le testimonianze sul loro stile di vita e la loro situazione non sono molte. Emily Dickinson e Alessandro Manzoni erano agorafobici, ma hanno preferito scrivere poesie sulla morte e romanzi con Don Abbondio che raccontare la propria condizione, quindi esistono un sacco di domande sospese su cosa si prova quando il mondo esterno ti provoca malessere fisico, come ci si procurano denaro e interazioni sessuali, e come si passa il tempo quando ci si chiude in casa. Per questo motivo mi sono messo in contatto con Davide, un ragazzo di 32 anni che da più di dieci vive da solo in un appartamento ed esce quasi soltanto per andare a comprare il pane sotto casa perché uscire lo terrorizza a morte. VICE: Come si diventa agorafobici? Lo eri fin da piccolo, o lo sei diventato?
Davide: Diciamo che la tendenza a voler ridurre gli stimoli esterni e a ricercare la tranquillità l'ho sempre avuta, fin da piccolo. La calca, i rumori forti, le cose molto luminose mi hanno sempre dato un fastidio quasi fisico. Ma non era vera e propria agorafobia, credo. Durante l'adolescenza andavo alle feste o a ballare e mi divertivo come tutti. Poi verso i 18 ho avuto una serie di fortissimi attacchi di panico mentre mi trovavo in luoghi ampi e all'aperto, magari con molte persone. Mi sentivo morire e l'unica cosa che mi faceva sentire meglio era l'idea dell'isolamento.

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Dopo l'ultimo di questi attacchi mi rinchiusi letteralmente in casa: frequentavo l'ultimo anno delle superiori, e per un mese intero non mi feci nemmeno vedere a scuola. Quell'anno è come se mi fossi letteralmente "abituato" a questo stile di vita, e con il passare degli anni il mondo esterno si è fatto sempre più complicato. Gli anni dell'università li ho quasi vissuti come un recluso. Adesso anche uscire per andare a fare la spesa è un problema. Come si concretizza l'agorafobia nella vita di tutti i giorni?
Molto semplicemente ho ridotto al minimo essenziale ogni occasione per uscire di casa. L'unico momento della giornata in cui mi sento tranquillo fuori sono le prime ore della mattina: mi alzo verso le cinque ed esco a fare una passeggiata di un'ora, poi passo dal forno e prendo la colazione e il pane. Per svariati, mesi negli ultimi anni, quella con la panettiera è stata l'unica interazione che ho avuto di persona con qualcuno che non fosse un membro della mia famiglia o uno dei miei cinque amici stretti. Perché loro vengono a trovarmi a casa.
Il resto della giornata lo passo fondamentalmente in salotto o in cucina: guardo serie tv, gioco ai videogame, mangio, faccio ginnastica, navigo su internet (una vera e propria oasi di felicità per gli agorafobici), leggo molto, mi masturbo. Essere agoragobico per me sostanzialmente significa essere in pensione [ride].

Mettiamo che ti ritrovi, come per magia, in una piazza gremita di persone. Cosa ti succede nel concreto?
Non so se hai mai sentito parlare della derealizzazione o della depersonalizzazione, sono alcuni sintomi degli attacchi di panico. Ecco, per farti capire: mi sembra quasi che il mio corpo non mi appartenga più, ho la tachicardia, perdo sensibilità nelle mani, il cervello è come se non riuscisse a gestire i pensieri e quindi mi sembra di impazzire. Riacquisto il controllo solo quando sono da solo, in casa. Come fai con il denaro? Anche non uscendo mai di casa, immagino che avrai bisogno di comprare cibo e altre cose.
Da questo punto di vista sono abbastanza fortunato, perché non ho bisogno di lavorare. Sono figlio unico, e miei genitori, oltre alla casa in cui vivo da solo, mi hanno dato in gestione degli appartamenti da affittare, e vivo con quei soldi. L'unica mansione che questa occupazione mi richiede è quella di andare ogni tot mesi dall'avvocato o dal commercialista. Come fai con le relazioni? E con il sesso?
Quando ho iniziato a stare veramente male ero fidanzato, e per due anni quella relazione è continuata nonostante tutto. Poi lei si è ovviamente stancata, e non posso biasimarla. Da allora ho avuto altre due storie brevi, ma è stato quasi impossibile mandarle avanti. Se voglio fare sesso chiamo una prostituta: ci vogliono circa tre minuti per trovarne una che venga a casa tua, basta pagare di più. Lo faccio quattro-cinque volte al mese.

Qual è l'idea che gli altri si fanno di te che ti infastidisce/rattrista/fa incazzare di più?
Mi fa incazzare quando chi non mi conosce pensa che il mio sia un problema ingigantito dal fatto che sono benestante, e posso "permettermi" di essere agorafobico. Come se non ci fossero modi molto più gratificanti di spendere il proprio denaro."Se dovessi guadagnarti da vivere usciresti di casa," che cazzo vuol dire? Ci sono centinaia di persone che soffrono di agorafobia come me, e sono costrette a lavorare: non soffrono di meno, e anzi si riempiono di tranquillanti anche per fare le cose più semplici. Per fortuna io posso non farlo.

Ci dovrebbe essere più rispetto per la sofferenza altrui; ti è mai capitato di incontrare qualcuno che sta soffrendo e che sta meglio se gli dici "c'è di peggio"? Io no. È una cosa che tendi a dire di te quando conosci qualcuno?
Sì, è una cosa troppo importante per non dirla. Mi fa sentire più tranquillo sapere che chi entra in contatto con me sa che ho questo problema, quindi lo dico subito. Ti ha cambiato come persona il tuo disturbo?
Credo proprio di sì, anche se non me ne sono mai reso conto. Probabilmente sono diventato più comprensivo, perché mi aspetto sempre più comprensione dagli altri. Come progetti la tua vita? Pensi che prima o poi ti passerà, o ti sei rassegnato al fatto che la tua dimensione è questa?
Io vivo sempre nella convinzione che prima o poi sarà più facile uscire e vivere: a periodi alterni mi capita ancora oggi. Ci sono mesi in cui riesco a uscire per una cena, vedere un amico o un'amica, andare al parco a leggere se mi stanco di farlo in casa… però ho sempre bisogno di avere il controllo. Se esco valuto sempre la situazione, cerco di capire se posso facilmente tornare a casa se dovessi sentirmi male ecc ecc. Forse da questa ossessione del controllo non mi libererò mai. Nei periodi in cui sto meglio vedo una terapista, e secondo lei prima o poi dovrebbe succedere.

La usi mai come scusa per non fare qualcosa che non ti va?
In passato moltissime volte. Sono anche riuscito a non andare alla comunione della figlia di mio cugino giustificandomi con un attacco.

Foto via Flickr. Segui Niccolò su Twitter