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10 domande a...

10 domande che hai sempre voluto fare a una persona in sedia a rotelle

Laura vive a Berlino e cura un blog in cui parla della sua vita in sedia a rotelle. Le abbiamo chiesto cosa è stufa di sentirsi dire, come funziona con il sesso e se le capita di incontrare degli stronzi.
sedia a rotelle

Laura Gehlhaar ha 37 anni, le piace uscire la sera, ha avuto un'intensa fase Tinder, è sarcastica e lavora in uno spazio di co-working nel quartiere di Kreuzberg. Da quasi quindici anni Laura è in sedia a rotelle, e se per lei questo è perfettamente normale, lo è un po' meno per la gente che le sta intorno. Proprio per cambiare questa percezione, Laura ha cominciato a raccontare la sua vita attraverso il blog Frau Gehlhaar (poi trasformato anche in un libro).

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Una sezione del blog raccoglie anche le stupidaggini che le capita di sentirsi rivolgere, da "Vuoi che ti spinga? Ho fatto il servizio civile" a "Fosse capitato a me, proprio non potrei farcela."

Per Laura la sua disabilità non è un problema, fatta eccezione per l'imbarazzo che spinge molti a trattarla come una bestia rara. E se succede, è anche perché i più non farebbero mai certe domande a una persona in sedia a rotelle. Ci abbiamo pensato noi.

VICE: Il sesso in sedia a rotelle è diverso?
Laura: Cosa intendi per diverso? Il sesso non è "questo" o "quello", non è fare dentro e fuori. Il sesso è fatto di mille altre cose. Sta a ognuno capire cosa piace e cosa no e come soddisfare le proprie esigenze sessuali con il partner. Una persona disabile è obbligata a occuparsi con cura del proprio corpo e dei suoi limiti, deve conoscerlo a fondo. Deve essere più creativa, provare molte più cose; così si sviluppa un'ottima sensibilità per il proprio corpo. Tutto questo migliora la qualità del sesso. Onestamente non saprei dire quanto sono brava a letto, però nessuno si è mai lamentato.

Laura. Tutte le foto di Schall & Schnabel.

Su Tinder lo dici che sei in sedia a rotelle?
Certo. Non ci scrivo sopra un poema, ma dalle foto si vede chiaramente. Proprio sotto una mia foto in sedia a rotelle ho scritto: "È un po' come fare sesso con la mia sedia a rotelle: lei cigola, io gemo di piacere." C'è stato un periodo in cui usavo spesso Tinder. Non volevo trovare l'uomo della mia vita, solo fare del buon sesso. Ovviamente ho conosciuto un sacco di idioti, ma anche ragazzi davvero interessanti. E a un certo punto, uno è diventato il mio attuale ragazzo.

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Avevi paura che qualcuno volesse portarti a letto solo per curiosità?
Non ho paura, ma chiaramente è successo, e anche abbastanza spesso. Si tratta di una curiosità fine a se stessa, solo per poter spuntare una casella in più nella lista di cose da provare almeno una volta nella vita. Questo tipo di curiosità la riconosco in fretta dall'eccessivo interesse per la mia disabilità.

L'amore cambia quando si deve aiutare costantemente il proprio partner?
Il mio ragazzo è il mio ragazzo, non il mio infermiere. Però spesso la gente non percepisce questo confine. Lui viene immediatamente classificato come quello premuroso, l'eroe senza macchia e senza paura, solo perché la sua ragazza è disabile. Certo, lui è una persona fantastica, ma non perché sta con me. Naturalmente capita che mi prenda qualcosa dalla credenza, è il mio braccio destro. Ma anche io lo aiuto, allo stesso modo. Anche io sono premurosa, anche io sono il suo braccio destro. Siamo una squadra, e in una squadra si è tra pari.

Ti capita mai di approfittare della tua disabilità e di usarla come scusa?
Ovvio. Quando vado in posta e c'è una coda lunghissima sono felice se l'impiegata mi fa cenno di passare avanti mentre gli altri devono aspettare per mezz'ora o più. Inoltre sono una ritardataria cronica e spesso do la colpa alla sedia a rotelle—se sono in ritardo dico "ho dovuto aspettare un'eternità prima che arrivasse l'ascensore" oppure "in stazione c'era una ressa incredibile."

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E quando vai in discoteca, entri sempre perché i buttafuori non se la sentono di farti stare fuori? Al Berghain la fila la salti?
Certo che la salto. L'ho già fatto un paio di volte, ma non so se mi abbiano fatto entrare perché sono disabile o semplicemente perché gli andavo a genio. Però c'è un trucco che funziona sempre per le code fuori dai locali: vado davanti alla porta e chiedo (anche quando conosco già la risposta), "Mi scusi, ma qui si può entrare anche in sedia a rotelle, vero?" e la risposta è immancabilmente "Ma certo, vieni pure, entra!"

Ma mi è anche successo il contrario. Mi è capitato di sentirmi dire che "nessuno avrebbe potuto garantire la mia sicurezza all'interno del club." Per come la vedo io, questa cosa della sicurezza è una scusa bella e buona. Non voglio essere trattata come se non sapessi badare a me stessa.

Comunque, cose come i pollici alzati che ricevo nei club e frasi tipo "Grande che vieni a ballare!" mi fanno capire che sono poche le persone disabili che escono la sera o vanno a ballare. I miei preferiti nei club sono quelli che vogliono fare i comprensivi e allora si mettono in ginocchio appoggiandomi i gomiti sulle gambe, come a dire "guarda, io non ho paura di toccarti!" La prima domanda che mi fa questa gente è sempre "cosa ti è successo?" Io gli do una pacca sulla spalla e rispondo "come approccio non era granché. Voto, zero."

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È sfacciato chiederti cos'è che non funziona nelle tue gambe?
Ma no che non lo è, io ne parlo apertamente. Però se non ci conosciamo, ecco, non dovrebbe essere la prima domanda che mi fai. Non è gentile, la mia salute è un argomento personale. Quando conosco una persona non è che come prima cosa le chiedo, "Allora, hai fatto la cacca oggi?" Se tra me e la persona che ho davanti c'è confidenza, spiego volentieri che soffro di una patologia muscolare. È normale che ci si interessi a questo aspetto di me, ma prima almeno conosciamoci, poi chiedimelo. Lo stesso vale per le battute sui disabili. Se a raccontarla è un perfetto sconosciuto, lo trovo completamente fuori luogo. Ma anch'io le adoro. Ad esempio: sai cosa dice uno schizofrenico dopo aver fatto sesso? [scoppia a ridere prima ancora di darmi la risposta] – Insomma, chi ero?

Cosa ti dà più fastidio: quando la gente ti fissa o quando si gira dall'altra parte?
Tutt'e due. Entrambe le situazioni derivano da un'insicurezza che mi fa arrabbiare. Questo capita perché la maggior parte delle persone non conosce nessun disabile. Se i disabili fossero parte integrante della nostra vita quotidiana, quest'insicurezza non esisterebbe. In Germania invece, dal momento in cui viene effettuata la tua diagnosi, finisci in un sistema che ti rende invisibile agli occhi del resto dei tedeschi. Ti mandano in asili, scuole e licei per disabili, dopodiché finisci a lavorare in un laboratorio per disabili e vivi in complessi abitativi speciali.

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Per questo motivo ricevo sempre le stesse occhiate: c'è chi mi fissa, chi è curioso, chi meravigliato, e chi mi compatisce. C'è anche chi mi guarda di sottecchi, come farebbe davanti a un incidente. E gli si legge in faccia che sa che non dovrebbe fissarmi, però sono uno spettacolo troppo interessante per non farlo. Capisco che questi sguardi siano un passo necessario se vogliamo che le persone come me prima o poi siano considerate normali, ma quando qualcuno si ferma mentre sta camminando e si volta solo per potermi fissare mi dà veramente fastidio.

Ti infastidiscono cose come il sorriso degli sconosciuti e le offerte d'aiuto non richieste?
Ma no, penso che ora a Berlino si possa sorridere di più. E le offerte di aiuto sono sempre le benvenute, fintanto che mi si lasci l'opportunità di rifiutarle. Ad esempio, non tollero chi tocca me o la sedia a rotelle senza prima aver chiesto il permesso. Però continuate a chiedermi se ho bisogno d'aiuto, per favore. A volte accetterò il vostro aiuto, a volte no. E la cosa si chiude lì.

Ci sono momenti in cui odi il tuo destino?
No, ma ci sono momenti in cui mi sento disperata perché la mia disabilità è fonte di discriminazione. Ad esempio quando la gente mi giudica senza neanche conoscermi con frasi come "oh poveretta, chissà che vita triste." Prima mi capitava di pensare "che merda questa disabilità." Ora invece dico, "questo è il mio corpo, che ha plasmato la mia personalità. Vado bene così come sono."