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Ho provato il test delle 36 domande per innamorarsi in 45 minuti

Negli ultimi tempi ha ricominciato a circolare un esperimento presentato come il metodo infallibile per innamorarsi di uno sconosciuto. Ho deciso di metterlo in pratica per capire quanto sia effettivamente efficace.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Indipendentemente dagli interessi, le aspirazioni e i problemi di ognuno, possiamo affermare con una certa tranquillità che alla fine tutti hanno una missione su questa terra: la ricerca di sesso del vero amore. Abbiamo così deciso di dar vita a una rubrica in cui testeremo tutti i mezzi e le occasioni utili a raggiungere lo scopo, dai più ovvi (Tinder) a quelli più insensati.

Sono nel parcheggio di uno di quei bar fighetti dall'esistenza più breve del ciclo vitale di un moscerino della frutta, nella zona industriale della mia provincia, e sto guardando quella che potrebbe essere la donna della mia vita mentre se ne sta andando. Il motivo per cui mi sento così frustrato guardandola andarsene, nonostante la conosca praticamente solo da un'ora e mezzo, non è dovuto a un'epifania da romanzo Harmony, ma a un altro di quegli esperimenti sociali sull'amore che ormai rappresentano il mio core business editoriale.

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Nelle ultime settimane, infatti, si è parlato molto di un saggio uscito sul New York Times, scritto da Mandy Len Catron, sulla possibilità di creare intimità e senso di vicinanza fra sconosciuti. Il saggio della Catron si rifà a un esperimento del 1997 condotto dal professor Arthur Aron e dai suoi collaboratori. Aron intendeva scoprire se fosse possibile, creando un contesto propedeutico in laboratorio, indurre un rapporto di profonda amicizia o amore fra due completi estranei in meno di un'ora.

L'esperimento funzionava così: due sconosciuti entravano in una stanza, si sedevano l'uno di fronte all'altro e cominciavano a porsi reciprocamente un questionario standardizzato. Il questionario era composto da 36 domande personali, suddivise in tre cluster sempre più impegnativi, che andavano da semplici "Chi vorresti come ospite a cena?" a richieste più ostiche come "Se dovessi morire stasera senza possibilità di comunicare con nessuno, qual è la cosa che non hai mai detto di cui ti pentiresti di più? E perché non l'hai fatto?" Una volta terminate le domande, i due volontari dovevano guardarsi negli occhi per 4 minuti.

L'autore.

L'esperimento è diventato famoso perché due dei partecipanti selezionati si sono effettivamente sposati dopo avervi preso parte; ma, come ho detto, se ne è parlato molto in questi giorni soprattutto perché recentemente la Catron lo ha messo in pratica, sostenendo poi che in effetti funzioni. Dato che dopo aver scritto a più di 1000 sconosciute su Facebook e e aver terminato i profili disponibili su Tinder non sono riuscito a trovare l'anima gemella, ho deciso di replicare l'esperimento per testare quanto quello che Aron e la Catron sostengono sia vero.

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Inizialmente avevo pensato di potermela cavare andando in giro per Firenze alla ricerca di qualche volontaria, così ho passato un'intera mattinata nella facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche di Novoli. Non è stata una grande mossa: ho scoperto abbastanza presto che avvicinare sconosciute che hanno memorizzato il Codice Penale, cercando poi di coinvolgerle in un esperimento sull'intimità, non è esattamente fruttuoso né per l'autostima, né per le accuse di molestie. Le ragazze di Scienze Politiche sono state più gentili, ma alla fine sono uscito dalla facoltà con un sacco di volantini del Collettivo Rivoluzionario Studentesco e zero volontarie. Mi sono dunque concesso un'ultima possibilità con Psicologia, dove ero certo avrei trovato il conforto di menti affini altrettanto interessate a scandagliare l'animo umano. Ma mi sbagliavo.

Così ho deciso di tentare con un altro approccio, e ho postato un annuncio sul mio profilo Facebook nella speranza di incuriosire qualcuna delle ragazze che aveva letto i miei comizi d'amore.

Curiosamente, nonostante le scarsissime aspettative, le risposte sono arrivate. Ho selezionato alcune candidate e le ho contattate. In particolare avevo già iniziato a visualizzare una potenziale storia d'amore con una ragazza eterea dalle braccia tatuate: una storia costellata dall'ammirazione per produttori di musica elettronica che avrei fatto finta di conoscere e foto al Rocket. Purtroppo la suddetta ragazza non era in Toscana, e questo magico sogno si è subito sgretolato nel nulla. In compenso poco dopo ho ricevuto il messaggio di una ragazza della mia città, Beatrice, che è riuscita a toccare alcune corde del mio inconscio.

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"Ciao! Così, a pelle, immagino che l'esperimento sociale sarà qualcosa di interessante, e di sicuro divertente. Quindi… non lo so, se cerchi ragazze biondi, con i capelli neri, macri io il curriculum te lo mando davvero."

Questa citazione di Enrico Pasquale Pratticò mi ha fatto capire che Beatrice era la prescelta, quindi le ho spiegato l'esperimento e le ho dato appuntamento la mattina dopo.

Ed eccomi quindi nel parcheggio del bar per fighetti di cui parlavo all'inizio. Stavolta il mio essere Vespa Rider non mi avrebbe aiutato, e ipoteticamente avrei dovuto essere completamente sincero su questioni personali con una completa estranea. Quando è arrivata ci siamo seduti a un tavolo del piano superiore del locale, che era praticamente vuoto a quell'ora. Io mi sforzavo di non sembrare troppo in imbarazzo, mentre lei mi sembrava completamente tranquilla e a suo agio.

Beatrice.

Ho tirato fuori il registratore e abbiamo iniziato l'esperimento. Dando un'occhiata alle domande, avevo notato che quelle del primo cluster erano praticamente studiate per dare un piccolo spaccato superficiale di chi si ha di fronte: elenchi di qualità che si vorrebbero avere, descrizione del proprio giorno perfetto, confessioni su piccole paure, mancanze o difetti ecc ecc. Lei era molto lineare e coerente nel rispondere, io invece mi sono sorpreso a cercare di sfruttare certe domande per inventarmi qualche stronzata e sembrare simpatico e piacevole. Arrivati alla settima domanda, però, ho cominciato a dire la verità.

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"Hai un presentimento segreto circa il modo in cui morirai?"

Le ho spiegato che sì, ce l'ho: sono ossessionato dalle prime scene di Salvate il Soldato Ryan e dallo sbarco in Normandia, e nel profondo sono praticamente certo che morirò sparato in una situazione simile al tizio che si toglie l'elmetto durante lo sbarco. Non so quando, ma io morirò così. Ne sono sicuro.

Questa cosa l'ho detta di getto, senza pensarci troppo, e solo una volta finito mi sono reso conto che poteva farmi sembrare un rincoglionito. Ma lei era lì che mi guardava, e non sembrava per niente annoiata o intenzionata a prendersi gioco del modo in cui morirò.

Dopo questa rivelazione, quindi, ho deciso che avrei risposto sinceramente al resto delle domande. Non so se fosse dovuto alle dinamiche dell'esperimento, ma da come procedevano le cose e dal clima disteso che si era creato, mi sono sorpreso a pensare che in effetti avevamo un sacco di cose in comune. A mente fredda non saprei esattamente dire cosa, ma lì per lì mi è sembrato che andassimo d'accordo, ecco. E quando ha elencato le cose che pensava ci legassero, ho pensato che su molti aspetti ci avesse preso. In realtà mi sento tutt'ora un po' stupido ad ammetterlo.

Abbiamo continuato con il secondo cluster, e sono cominciate le domande più serie, personali. Il genere di cose di cui non si parla con le persone che si sono appena incontrate e su cui magari si vuole cercare di fare colpo: perché sono serie e complicate in quel modo che rischia di indurre noia e pesantezza in una conversazione superficiale e ipoteticamente stimolante come dovrebbe essere quella fra due estranei. Solitamente sono le persone che seguono una terapia antipsicotica professionalmente prescritta che rivelano certe cose agli sconosciuti incontrati nei bar. In quella situazione, però, sembrava tutto normale.

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Per quanto possa sembrare strano, comunque, il vero fastidio durante l'esperimento lo si prova non tanto per le domande serie, ma per quelle che ti obbligano a relazionarti con il partner. E io ho provato una strana forma di timore/speranza/desiderio nel farlo. Non so se fosse riconducibile al fatto che sapevo che avrei dovuto provare un crescente senso di intimità, ma in un certo senso cominciavo ad aspettarmelo. O almeno a sperarci.

Il questionario continuava inoltre a riproporre in varie forme una domanda che sostanzialmente era sempre la stessa, e a cui era sempre più difficile rispondere nel modo ortodosso con cui cerchiamo di non esporci troppo, dicendo cose vere ma non troppo imbarazzanti: "Condividi qualcosa che ti piace del tuo partner."

Questa domanda compare tre volte nel questionario. La terza mi sentivo abbastanza tranquillo e in sincera sintonia per poter dire "le tette!", ma fortunatamente non l'ho fatto: mi sono limitato a buttare lì un commento sul senso di serenità che sapeva trasmettere. Anche lei ha risposto qualcosa di simile, e mi sono sorpreso nel trovarmi deluso: avrei voluto che fosse lei ad avere il coraggio di dire "le tette!", o almeno qualcosa di simile.

Poi, proprio quando cominciavo a pensare che mi sarebbe piaciuto chiederle di uscire, almeno per capire se era solo autosuggestione o meno, Beatrice mi ha detto che è fidanzata da sette anni. Mai una gioia.

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L'ultimo cluster è stato un vero e proprio scivolo della sincerità: rivelare al partner cosa vorresti condividere con gli altri, qual è stato il momento più imbarazzante della tua vita, qual è il familiare la cui morte ti scioccherebbe di più, e quali sono le cose che consideri troppo serie per poterci scherzare su. Una situazione che in un certo senso ricordava il monologo di un romanzo di Dostoevskij.

E mentre trovavo rassicurante il fatto che l'espressione di Beatrice non cambiasse mentre elencavo alcune parti di me che non sono proprio belle, cominciavo a realizzare che in un certo senso non ha molta importanza il riuscire a creare un clima di vicinanza se non c'è alcuno scopo dietro. Che poi è quello che ci ha insegnato l'agente Smith.

Superato quest'ultimo scoglio, abbiamo terminato l'esperimento con quella solennità tipica di chi pensa di aver condiviso qualcosa di serio e importante con una persona che con tutta probabilità non incontrerà mai più. Come quando si va in gita scolastica e si fa amicizia con gli alunni di un liceo di Gorizia. Chi ci andrà mai a Gorizia?

Ci siamo guardati negli occhi per 4 minuti scarsi, e finalmente è riaffiorato l'imbarazzo. In effetti era venuto fuori anche nel saggio della Catron: i quattro minuti finali erano i più ostici.

Siamo rimasti un altro po' insieme, abbiamo scattato le ultime foto che servivano per l'articolo e poi ci siamo salutati. Mentre si allontanava in macchina, pensavo che in effetti l'esperimento aveva in parte funzionato: attraverso un contesto pilotato eravamo realmente riusciti a creare un clima di condivisione graduale e di intimità. Intimità che non avrebbe portato a nessuno scambio di fluidi, ma comunque tale.

Non posso sapere se Beatrice abbia risposto sinceramente alla maggior parte delle domande, ma io so di averlo fatto. E so anche che questo esperimento mi ha lasciato un mezzo rimpianto e la consapevolezza che in una certa misura le dinamiche che insceniamo per arrivare al dunque in una relazione sono ipoteticamente riassunte in 36 domande standardizzate da porsi reciprocamente. Che non hanno molta importanza tutti i discorsi sul tempo, la fiducia, il sacrificio e il timore nel condividere la propria convinzione di perire senza elmetto durante uno sbarco che non si verificherà: provare una sensazione di vicinanza e comunione è possibile anche senza questi requisiti. Ma il punto, come dicevo poco fa, è che non ha alcun significato la vicinanza in sé e per sé, priva di uno scopo.

Quindi adesso, dopo aver sperimentato anche i codici e i meccanismi più reconditi delle affinità umane, aspetto che la Matrice mi inghiotta. Nel frattempo, però, venerdì prossimo sarò al Rocket.

Segui Niccolò su Twitter: @NCarradori