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Abbiamo chiesto a un esperto se moriremo di ebola

Per l'Occidente, il panico derivato dalla possibilità di una nuova malattia letale in grado di diffondersi dall'Africa o dal Sud-est asiatico è ormai diventato una sorta di ricorrenza annuale. Ora tocca all'ebola.

Foto via Flickr/EU Commission DG ECHO.

Per l'Occidente, il panico derivato dalla possibilità di una nuova malattia letale in grado di diffondersi dall'Africa o dal Sud-est asiatico è ormai diventato una sorta di ricorrenza annuale. Dieci anni fa era la SARS, mentre più di recente l'aviaria aveva spinto genitori particolarmente zelanti a fare scorte di beni in uno scenario post-apocalittico fatto di latte in polvere e cibi in scatola.

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L'ultima tragica minaccia all'umanità non ha in realtà niente di nuovo: parliamo dell'Ebola, identificata per la prima volta nel 1976, quando una misteriosa febbre aveva colpito l'ex Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo. Richard Preston la introdusse al mondo occidentale in un articolo del 1992, poi ampliato nel thriller best seller The Hot Zone. Il libro ispirò a sua volta il film Virus Letale—al quale però, se devo dirla tutta, preferisco Contagion, del 2001, in cui si propone una versione un po' meno sensazionalistica della questione.

Chi viene contagiato presenta sanguinamenti da naso, orecchie e occhi, oltre a una serie di sintomi un po' meno bizzarri come il vomito. L'epidemia a cui stiamo assistendo è la più grande della storia, con circa 700 vittime documentate in paesi dell'Africa occidentale come Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. Questa settimana anche il medico-eroe della Sierra Leone e un americano che si trovava in Nigeria sono morti dopo aver contratto il virus. Nel frattempo Regno Unito e Hong Kong hanno disposto la quarantena per i passeggeri provenienti dalla regione, e insieme alle notizie di volontari in fuga dalle coste dell'Africa occidentale, il problema appare sempre più di portata globale.

Per capire quanto è probabile che l'Ebola raggiunga anche questa parte del mondo ho chiamato la dottoressa Diane Griffin, docente di Microbiologia molecolare e immunologia presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health.

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VICE: Come si manifesta il virus dell'ebola?
Dott.ssa Diane Griffin: Il soggetto presenta vomito, diarrea e sanguinamenti. Non sono sicura che saresti in grado di riconoscerlo se mettessi in fila una serie di persone con malattie diverse. Nessuno è riuscito a determinare come abbia contratto il virus la prima persona.

Di che tasso di mortalità parliamo?
Il ceppo che sta causando l'attuale epidemia nell'Africa occidentale è l'Ebola Zaire, uno dei ceppi originari. Il grado di mortalità varia, ma qui parliamo di un tasso del 70 percento.

È un valore legato allo stato della medicina e delle infrastrutture del paese in cui si è sviluppato il virus, o queste cose non c'entrano?
Non lo sappiamo, perché si concentrano tutte in Africa. Uno dei focolai era localizzato in un ospedale con suore belghe, e l'unico motivo per cui l'Occidente ne è venuto al corrente è che le suore erano state evacuate in Belgio. Ma sono morte con lo stesso tasso di mortalità presente nell'area da cui provenivano. È un buon esempio di come il mondo occidentale non è a conoscenza o non si interessa di un fatto finché non ha un coinvolgimento diretto.

Come si diffonde l’ebola?
A differenza di molte altre infezioni di cui ci preoccupiamo, per contrarre l'Ebola serve un contatto veramente ravvicinato tra la persona infetta e quella sana. L’origine del virus è nei pipistrelli, e si trasmette agli umani quasi per caso. Può propagarsi negli ospedali e in qualsiasi altro posto in cui si trattano i pazienti. Soprattutto, ed è una cosa molto difficile da controllare, si diffonde nei villaggi e tra le famiglie che accudiscono i malati. Vedo comunque—anche se non sono in prima linea, pur avendo lavorato in Africa—che ci sono molti problemi che le persone guardano con sospetto. I medici e il personale sanitario [dell’Africa occidentale] sono spaventati e non vanno al lavoro. Questo rende molto difficile mettere in atto tutte le precauzioni necessarie—non è facile stare sempre con la tuta, la maschera, i guanti e cambiarli di continuo.

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Cos’ha di diverso questa epidemia?
È molto estesa—di solito sono molto più circostanziate—e finora è stata molto difficile da tenere sotto controllo. L’unico modo di contenere il virus è isolare i pazienti e allestire un meccanismo protettivo che impedisca alla persone di entrare in contatto con i fluidi corporei dei malati. Non è così raro che i dottori americani che lavorano in quelle aree vengano infettati, anche se sono queste le notizie che tendono a filtrare fuori dall’Africa.

Il che è abbastanza perverso.
Certamente. Ci sono stati centinaia di casi nell’arco di diversi mesi, eppure all'improvviso ce ne si è accorti. Questo è avvenuto principalmente per due motivi: alcuni cittadini statunitensi hanno contratto il virus; e una persona con l'Ebola era stata in Nigeria. Come ogni altro agente infettivo, è così che la malattia si può muovere da un posto all'altro. Ho sentito voci che dicono che stanno cominciando a monitorare le persone che lasciano l’area per assicurarsi che i malati non si imbarchino sugli aerei. Questa, del resto, è una precauzione ragionevole che i paesi coinvolti potrebbero adottare per evitare che l'epidemia si propaghi ulteriormente. I paesi interessati dai voli che provengono da quella regione potrebbero a loro volta monitorare i passeggeri che hanno la febbre o altri sintomi e metterli rapidamente in quarantena, almeno per stabilire se sono infetti o meno.

Se scoppiasse un’epidemia di ebola qua, pensa che il personale medico si comporterebbe nella stessa maniera?
Credo che ci sarebbero meno problemi negli Stati Uniti e in molti altri paesi dove il personale sanitario è più consapevole delle precauzioni da adottare ed è informato su come si trasmette la malattia. In quelle aree rurali il problema è che il personale medico non è molto formato, e attualmente sta vedendo morire colleghi, familiari e vicini. Si può capire quanto sia facile farsi spaventare da una situazione del genere.

Che tipo di precauzioni dovrebbero prendere le persone che non vivono nell’Africa occidentale? Dovrebbero cambiare i loro piani di viaggio?
Non credo. Il turista medio o l’uomo d’affari non entra in contatto con i malati—anche se si sono verificati alcuni casi nelle città, e questo può diventare un grosso problema. Se poi si va in quelle zone per dare una mano in un ospedale, allora si presume che uno sappia perfettamente cosa aspettarsi.

Sembra quasi che lei sia piuttosto restia a lanciare allarmi. È la sua etica professionale a parlare?
Se fossi veramente spaventata glielo direi. Semplicemente, non credo ci sia motivo di esserlo. Ci sono comunque valide ragioni per mantenere alta l’attenzione. Uno dei problemi principali è che l’Africa occidentale non ha mai avuto a che fare con un’epidemia di Ebola di queste dimensioni. L’Uganda e altri paesi dove si è verificata più di un’epidemia, invece, hanno più esperienza nel controllarla.

Segui Matt Taylor su Twitter: @matthewt_ny