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Addio Grande barriera corallina, benvenute scavatrici

Ottime notizie: il governo australiano ha autorizzato un'azienda indiana a dragare la barriera corallina per costruirci il più grande porto al mondo nel commercio di carbone.

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Immagina di lavorare per l'amministrazione del Parco Acquatico della Grande Barriera Corallina al largo della costa australiana. Il tuo lavoro, stando a quanto riportato sul sito ufficiale, è "di assicurare che l'uomo usi il parco in modo ecosostenibile e che sia preservato il naturale funzionamento dell'ecosistema, specialmente nella sua capacità di rigenerazione." Poi, nel 2012, arriva un'azienda indiana che vuole dragare la barriera e costruire il più grande porto al mondo per il commercio di carbone, proprio sulla barriera corallina. Stranamente tu dici ok, fate pure, a condizione che ovviamente i rifiuti siano smaltiti in modo responsabile. Ma l'azienda, la Adani, risponde "veramente la nostra idea era di buttarli tutti nella barriera." Allora tu e i tuoi colleghi ci pensate un po' e alla fine rispondete, "Be' va bene, ma fate attenzione".

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È più o meno quello che è successo venerdì, quando la GBRMPA (l'amministrazione del Parco Acquatico della Grande Barriera Corallina) ha deciso di mettere a rischio l'integrità della più grande barriera corallina del mondo perché la Adani possa tagliare i costi e abbattere il prezzo del carbone, principalmente a beneficio dell'India.

L'Australia avrebbe potuto mostrarsi più responsabile nei confronti dell'ambiente? Il Comitato per i Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO ha qualche dubbio. Nel gennaio 2012, quando l'operazione di dragaggio di Abbot Point è stata discussa per la prima volta, l'UNESCO aveva annunciato di aver considerato l'inserimento della barriera corallina nella sua lista di siti "in pericolo". Il governo federale aveva rifiutato, promettendo che avrebbe fornito delle prove della buona salute della barriera corallina entro il termine utile per prendere una decisione, fissato per il mese di giugno di quest'anno. Ovviamente tutti questi buoni propositi sono stati messi da parte venerdì scorso, e sabato l'ONU ha ricevuto dal governo un rapporto che documenta gli sforzi compiuti dall'Australia per salvare la barriera. Lasciando perdere per un momento l'ipocrisia di tutta la situazione, il vero problema è che la barriera corallina è veramente in pericolo. Se proprio non vogliamo occuparcene, possiamo almeno riconoscere che c'è un problema?

La denuncia più dura delle precarie condizioni di salute della barriera corallina è apparsa nel 2012. L'Istituto Australiano di Biologia Marina ha rilevato che, dal 1988, il 50 percento dei coralli è morto, e tutto a causa dell'influenza umana. Nei 190 anni trascorsi da quando gli europei si sono insediati nel Queensland, la barriera è stata ricoperta dai fertilizzanti, dai pesticidi, dalle perdite di acido delle miniere e da un sacco di sedimenti provocati dall'erosione e che, insieme all'invasione di stelle marine a corona di spine (causata dall'uso di fertilizzanti ricchi di azoto) e al riscaldamento globale, sono una delle cause della sua lenta morte. Il rapporto consegnato all'ONU riconosce che alcune parti della barriera corallina sono in declino, ma dichiara che il resto è ancora in condizioni accettabili. Non è del tutto falso, anche se quantificare lo stato di salute di una barriera corallina è molto difficile, specialmente se il processo è così lento. Tony Fontes, da lungo tempo residente ad Airlie Beach dove fa la guida subacquea, descrive questo processo con l'espressione "abbassare l'asticella." Ci ha spiegato che "le persone che avevano vecchi ricordi della barriera corallina moriranno o si trasferiranno da qualche altra parte, e i nuovi arrivati vedranno la barriera e penseranno che sia bellissima, senza sapere com'era una volta. E così via, finché non diventa la normalità. Un giorno l'asticella si abbasserà così tanto che penseremo che un singolo corallo sia bellissimo."

È questo il vero problema—il valore della barriera corallina risiede soltanto nella sua capacità di stupire chi la guarda. Ha raggiunto il suo apice esistendo indisturbata, e per avere accesso a questo prodotto dobbiamo costruire di meno e non di più, un'idea che appare strana a chi non capisce il concetto di "natura selvaggia". In più, la decisione di consentire il dragaggio della barriera è arrivata insieme a una richiesta presentata dal governo federale all'UNESCO perché tolga dalla sua lista di Patrimoni dell'Umanità 74.000 ettari di foresta della Tasmania. Una richiesta fondata su ragioni economiche da parte dello stesso governo che dice di prendere sul serio il cambiamento climatico e nel frattempo prende decisioni che contrastano con quanto afferma e peggiorano la situazione.

Forse il lato positivo della faccenda è che il problema è diventato così evidente che la gente non può fingere di non accorgersene. Come fa notare Tony, "questo genere di cose qui è già accaduto. L'ho già visto succedere ed è rimasto sempre lontano dagli occhi dell'opinione pubblica, ma non questa volta. Questa volta il mondo si sta interessanto alla questione e l'Australia si sta mostrando irresponsabile. Dunque, la prossima volta che succederà una cosa del genere, spero che sarà più facile impedirla. Spero che la prossima volta il governo risponderà alle aziende, scusate, ma non facciamo più questo genere di cose."

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