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Aggiornamenti dalla Siria, sesta settimana

Mentre gli scontri si avvicinano a Damasco, in rete circola un video che vedrebbe il Barça tramare coi ribelli contro il regime.

Esattamente un anno fa, i carri armati del governo siriano entravano a Dar'a per reprimere le proteste contro il regime. Quella appena passata è stata un’altra settimana di stallo in Siria. Kofi Annan è andato in visita ufficiale nel Paese per tentare (invano) di convincere Asad a stipulare una tregua, e il Presidente ha annunciato che a maggio si terranno le elezioni parlamentari. Molti oppositori del regime sono scettici riguardo l’idea di tenere elezioni mentre il Paese è teatro di una brutale repressione, e tanti ritengono che questa mossa sia solo l’ennesima tattica delatoria adottata da Asad, occupato a eliminare i rivoluzionari.

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Mentre il massacro siriano prosegue, i media di tutto il mondo sembrano lentamente opporsi all’idea di negoziati di pace. Pare che lo stesso Paul Conroy—il fotografo britannico ferito ad Homs—sia dello stesso avviso. Non capisco perché i media e la comunità internazionale abbiano impiegato così tanto tempo per capire che il regime non è interessato a trattative serie. Finché Asad avrà l’appoggio di Russia, Cina e Iran, un pugno di minacce da parte dell’ONU o una chiacchierata con Kofi Annan (Segretario Generale dell’ONU durante il massacro di Srebrenica e il genocidio in Ruanda) non faranno alcuna differenza. Dopotutto, parliamo di un governo retto da un uomo che, il giorno prima di ordinare che 300 razzi fossero lanciati sui civili a Bab Amr, avrebbe inviato alla moglie un MP3 del pezzo di Blake Shelton “God Gave Me You”.

Grazie a qualche scaltro hacker, sappiamo che Asad non è solamente un pazzo assassino, ma anche uno con dei pessimi gusti. Sabato scorso, una serie di esplosioni ha colpito gli edifici della sicurezza di stato di Damasco. Tuttavia, la zona della città in cui si trovano è blindata, e in quel giorno 300 membri dello staff non si trovavano al lavoro. La tv di stato sostiene che dietro ai bombardamenti ci sia l’Esercito Siriano Libero, mentre altri puntano il dito contro Al-Qaeda e alcuni ritengono che si tratti addirittura di un'operazione minatoria condotta dallo stato contro se stesso per alimentare l’odio contro l’Esercito Siriano Libero. Se quest’ultimo avesse avuto la possibilità di sferrare un simile attacco, perché non prendere di mira il poco lontano palazzo presidenziale?

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I dispacci dei nostri amici attivisti a Homs si fanno sempre più rari. Giovedì scorso, alcuni citizen journalist siriani  hanno informato Avaaz che numerosi bambini mostravano segni di gravi torture nel quartiere di Rifai:

“Alcuni soldati dell’Esercito Siriano Libero, accompagnati da attivisti, hanno visitato il quartiere di Rifai, adiacente a Karam El-Zeiton, dopo aver sentito di massacri commessi contro le famiglie della zona da parte dell’esercito. Sono rimasti sorpresi nel trovare 32 bambini e due ragazze ventenni ancora vivi, ma gravemente feriti.” “Riportavano tutti ferite diverse: alcuni da coltello, sul collo, altri sul petto e sull’addome, oltre a ossa rotte e dita mozzate. Una delle due donne era ancora viva dopo essere stata colpita da cinque proiettili.” Una sopravvissuta al massacro ha detto: “Due giorni fa siamo stati riuniti dalle truppe. Hanno cominciato a insultarci con parole oscene, e poi hanno iniziato a uccidere le persone, una per una.” 18 dei bambini sopravvissuti sono stati portati dai pochi parenti rimasti a Homs. Degli altri, tra cui bambini con meno di tre anni, si prendono cura le donne negli ospedali da campo, dal momento che nessuno riesce a rintracciare le loro famiglie.

Come se non bastasse, la scorsa settimana Amnesty International ha pubblicato un rapporto che descrive in modo dettagliato i tipi di tortura impiegati dal regime. Supportato dalle testimonianze dei sopravvissuti, il rapporto s’intitola: “I Wanted to Die” (Avrei voluto morire): i sopravvissuti alle torture siriane raccontano ed elencano metodi che includono la crocifissione, lo stupro, l’elettrocuzione, ferite e scavature nella pelle tramite pinze o coltelli, la fustigazione e la mutilazione genitale. La scorsa settimana, le forze di Asad si sono concentrate sulla roccaforte dell’Esercito Siriano Libero a Idlib, caduta martedì scorso dopo giorni di strenui combattimenti. Indebolito nel suo controllo delle città del nord, per mesi l’Esercito Siriano Libero ha sferrato attacchi mordi e fuggi contro le forze del regime:

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L'idea di armare l’Esercito Siriano Libero è sempre più frequente sulle bocche di alcuni Stati arabi, e un diplomatico arabo ha addirittura detto all’agenzia di stampa AFP che l’Arabia Saudita, che ha chiuso la sua ambasciata a Damasco questa settimana, avrebbe mandato attrezzature militari ai ribelli siriani. “Le attrezzature militari saudite sono già dirette in Giordania per armare l’Esercito Siriano Libero,” ha detto il diplomatico, chiedendo di mantenere l’anonimato. “Questa è un’iniziativa saudita per fermare il massacro in Siria.” Forse quelle armi hanno già oltrepassato il confine:

Nonostante tutto, sembra che l’Esercito Siriano Libero sia in grado di gestire i carri armati del regime senza l’aiuto dell’Arabia Saudita:

Molte katiba (brigate di combattimento) dell’Esercito Siriano Libero rimangono senza accesso all’artiglieria pesante e sono quindi costretti ad adottare metodi disperati. Una di queste tattiche è raccogliere il maggior numero di uomini possibile per puntare un obiettivo e sperare che siano in grado di attaccarlo con successo:

Cercando di fermare il flusso di armi, soldati, rifugiati e giornalisti dentro e fuori Idlib, l’esercito siriano ha iniziato a piazzare mine terresti al confine con la Turchia, ricevendo un'inevitabile condanna dalle organizzazioni per i diritti umani. Questa tattica è infatti particolarmente crudele e immotivata, dal momento che la maggior parte delle vittime è costituita da rifugiati innocenti che cercano di scappare dalla violenza che gli è imposta, e che queste mine rimarranno nel suolo per decenni, costituendo un rischio terribile per le generazioni future.

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Nelle ultime ore è però un altro video ad aver fatto il giro della rete: spacciato come un servizio della tv di Stato Addounia, il filmato accusa il Barcellona di fornire ai soldati ribelli informazioni strategiche circa l'ubicazione e il trasporto delle armi, dal Libano fino al nord della Siria. Sono ancora diversi i dubbi circa la sua autenticità, ma la passione dei regimi per le teorie complottistiche non è certo una novità.

Recentemente, il quartiere damasceno di Mezzeh ha assistito a diverse manifestazioni e incidenti che hanno coinvolto l'esercito e i disertori. Proprio nelle prime ore di lunedì, il presidente al-Asad si sarebbe svegliato tra gli echi di spari derivanti da uno scontro che Rami Abdulrahman, direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, ha definito come "il più violento e vicino ai quartieri generali delle forze di sicurezza della capitale che si sia registrato fin dallo scoppio della rivoluzione." Le sempre più frequenti sparatorie nei pressi dei punti strategici della città non sono un buon segno per il Presidente, e si aggiungono alle voci che vorrebbero la capitale non perfettamente controllata dalle forze di regime.

Al primo anniversario della rivoluzione la Siria non è ancora libera, ma sembra che qualcosa si stia muovendo.

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