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Aggiornamenti dalla Siria, undicesima settimana

Gli osservatori ONU sono in Siria da più di una settimana, ma il numero delle vittime del regime continua a salire.

Lunedì 16 aprile, un team delle Nazioni Unite è arrivato in Siria per monitorare la "tregua" che Bashar al-Asad avrebbe dovuto mettere in atto dal momento dell'adesione al piano di pace di Kofi Annan. Compito di questi supervisori è visitare diverse città per constatare che il Presidente stia effettivamente tenendo le sue truppe e i carri armati lontani dai centri urbani (cosa che non ha ancora fatto) e che abbia fermato le aggressioni ai civili (altra cosa che non è ancora stata fatta).

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Impossibile non provare un po' di pena per questi supervisori, innanzitutto perché inizialmente erano solo in sei. William Hague non aveva tutti i torti nel dire che “un numero così ristretto di persone non può effettivamente sorvegliare la situazione nell'intero Paese,” ma di certo non caricato la spedizione di ottimismo.

Così, i supervisori hanno iniziato la loro missione vagando per la Siria in una condizione, tutto sommato, non molto felice. Nei primi giorni venivano continuamente fermati da siriani disperati che li imploravano di aiutarli, dopodiché sono diventati obiettivo di cecchini dell'esercito (il che, in effetti, deve avergli chiarito le idee su come Asad stia interpretando il “cessate-il-fuoco”).

Per ora appare dunque chiaro come le Nazioni Unite abbiano scelto di proseguire lungo la via diplomatica, imitati da una comunità internazionale apparentemente intenzionata a mantenere il ruolo di mediatore piuttosto che intervenire per forzare la caduta della dittatura, come invece auspicato in passato. A onor del vero, va detto che sabato scorso l'ONU ha approvato la spedizione di altri 300 supervisori in grado di spostarsi velocemente verso le aree colpite da violenze e avere così maggiori possibilità, per fare un esempio, di vedere con i propri occhi i bombardamenti su Homs.

Dal momento che i supervisori sembrano destinati a restare a lungo, vale la pena riflettere sul contributo che potranno apportare. La cosa più ovvia (e forse anche più importante) è che saranno i primi occidentali in grado di riferire alle autorità competenti i massacri che continuano ad avvenire in Siria. (Lo scorso inverno avevamo assistito a un'altra missione, guidata però dal generale sudanese e sostenitore di Asad Mohammed al-Dabi, sospettato a sua volta di crimini di guerra—fatto che non ha certamente contribuito alla legittimità dell'operazione.)

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Se questa spedizione non riuscirà a constatare la gravità dei massacri siriani, allora nessuno può farlo. E se la loro presenza non basterà a fermare le violenze, resterà davvero poche azioni escluso il ricorso alle armi. Ma questa è una storia già vista: nel 1995, quando a Srebrenica 8.000 bosniaci vennero uccisi dai serbi, sul territorio era presente un contingente ONU di peacekeeper di nazionalità olandese.

Se un gruppo di uomini armati non fu in grado di fermare i massacri, che speranze ci sono per una piccola e disarmata spedizione come questa? Persino il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon sta cominciando a rendersi conto che il regime siriano non ha alcun interesse nel conseguimento della pace:

Da quando sono atterrati in Siria, i supervisori hanno assistito a un bizzarro schema di violenze: non appena loro arrivano in un'area, le crudeltà si placano per aumentare, però, in un'altra zona. Fino ad ora la spedizione si è spinta nel sud del Paese, provocando un aumento degli attacchi nei centri di Idlib e Homs. I resoconti stimano che, da quando i supervisori sono arrivati in Siria, più di 300 persone sono state uccise dal regime.

E se la missione di sorveglianza si rivelasse un fallimento, che fare? Aprire zone franche al confine con la Turchia, intervenire militarmente? No, la comunità internazionale vuole imporre nuove sanzioni. Di sanzioni ne sono già state imposte parecchie, in effetti, ma sembra che per ora abbiano danneggiato più la popolazione che non il governo. Il segretario di Stato americano Hillary Clinton spinge perché l'ONU imponga nuove sanzioni, tra cui l'embargo di armi e la restrizione della capacità di spesa del governo. Questa proposta ha subito scatenato la reazione della Russia, il maggior esportatore di armi in Siria.

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Da tempo circolano inoltre video che lasciano intuire come, negli ultimi bombardamenti di Homs, sia stato impiegato il fosforo. Il fosforo è una sostanza chimica pericolosa e infiammabile che viene spesso utilizzata nei proiettili. Ma, se è legale utilizzarla a questo scopo, non lo è farlo in contesti urbani (cosa che invece succede ed è evidente dal video qui sopra), come sancisce la Convenzione di Ginevra.

Gli scontri in Siria hanno causato circa 30.000 rifugiati, stanziati principalmente in Turchia e Libano. Molti credono che, una volta usciti dal Paese, i fuggiaschi siano più o meno al sicuro. Eppure, anche in Libano la paura di essere rapiti ed uccisi dalle milizie di Asad resta molto alta.

Chiudiamo la rubrica con un video in cui il presidente Asad, insieme alla moglie Asma, prepara del cibo per gli sfollati di Homs, che è un po' come vedere un serial killer che manda regali alle sue vittime.

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La scorsa settimana: Aggiornamenti dalla Siria - Decima settimana