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A10N2: L'ottavo numero di VICE dedicato alla moda

Bello in rosa

Julian Zigerli è un designer di Zurigo, e vuole portare avanti un nuovo modello di mascolinità. Abbiamo parlato con lui della connessione tra sesso e moda, e del perché gli uomini dovrebbero riprendersi il rosa.

Moda: Kathrin Grossenbacher, Julian Zigerli
Capelli e trucco: Cait Dobozi

Julian Zigerli è un designer di Zurigo, città che lui definisce sexy e dotata di una certa eleganza. A gennaio 2014 è stato chiamato da Giorgio Armani per sfilare alla settimana della moda uomo di Milano, diventando così uno dei giovani stilisti più in vista per la prossima stagione—ma lo sarà sicuramente anche per molte altre. Parlo con lui della connessione tra sesso e moda, perché ritengo che il suo modo di fare moda maschile rappresenti l’apice di tutte le nuove tendenze degli anni Novanta, dal movimento di Vogue alle creazioni di Jean-Paul Gaultier.

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Anche se lui non si definisce un designer di moda androgina, secondo me i suoi vestiti costituiscono un’innovazione nel campo della moda maschile. Naturalmente il rosa porta alla mente sempre le stesse immagini: durante i primi anni Zero, tutti gli studenti di economia di questo mondo indossavano polo rosa e T-shirt troppo aderenti, anch’esse rosa.

Gli stilisti come Julian Zigerli o gli americani come Shayne Oliver di Hood By Air e Telfar Clemens sono riusciti solo ora a rendere davvero cool i capi rosa, le ciabatte e i leggings strettissimi indossati dagli uomini. Questo stile è un richiamo a una nuova immagine dell’uomo, che non vive delle ideologie e dei simbolismi— quelli che un bel giorno, negli anni Quaranta, determinarono arbitrariamente che il rosa dev’essere indossato dalle femmine e l’azzurro dai maschi—ma rimandano a un tempo in cui l’azzurro indicava qualcosa di tenero e il rosa qualcosa di eccitante e avventuroso.

VICE: La tua nuova collezione autunno-inverno 2014/15, The One and Only, è dedicata alla bellezza naturale. Come ci sei arrivato?
Julian Zigerli: The One and Only rappresenta l’ideale utopico della ricerca della perfezione, tipo il desiderio di diventare una persona costruita o di avere il partner perfetto al proprio fianco. Ma questa perfezione, che ci si augura o che si cerca di imitare, non esiste.

Tu non aspiri alla perfezione?
Aspirare alla perfezione significa avere tempo. La perfezione è direttamente connessa al tempo, e nella moda ce n’è generalmente molto poco. Esistono molte cose perfette, ma soltanto in un momento specifico. Si potrebbe dire così: il tempo e lo spazio definiscono i momenti perfetti, non l’oggetto, perché anche l’oggetto è perfetto solo in un determinato momento.

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La perfezione è espressa anche nell’invito alla tua sfilata di The One and Only. L’immagine dell’uomo nudo tra l’altro è molto sexy. Quant’è importante il sesso nella tua collezione?
Il sesso è molto importante. Mi piace mostrare la carne, si vede anche nella presentazione della nuova collezione. Avevo voglia di nudo. La nudità, come concetto, è a sua volta un tipo di perfezione.

Hai appena detto che la perfezione può esistere solo ed esclusivamente per un momento. Capovolgendo la cosa, significa che se la tua moda è un tentativo di perfezione, è come una specie di sveltina?
No, la moda non dovrebbe assolutamente essere così veloce, dovrebbe essere semplicemente senza tempo. La sveltina descrive molto bene l’idea del ritmo: tutto è sempre molto veloce. Mettiamola così: la moda in sé è una sveltina, perché tutto corre veloce e il tempo è poco, ma il rapporto con i vestiti è una romanza.

Come sei riuscito a orchestrare la collaborazione con Fabian Fobbe, Katharina Grosse e con il collettivo di artisti francesi Golgotha?
Da un punto di vista tematico, le collaborazioni si sono sempre intonate alla perfezione con le mie collezioni, risultando spontanee e ben integrate col mio lavoro. Un’opera di Katharina Grosse, ad esempio, è stata l’immagine-guida della mia ultima collezione. Con il collettivo Golgotha, per The One and Only, non è andata diversamente, il loro lavoro emanava un’armonia elegante, anche quando è stato elaborato completamente al computer e in maniera tridimensionale.

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Un problema attuale dell’arte—così come della moda—è la questione di genere, la sua definizione. Si parla sempre più spesso di nuova mascolinità. L’uomo viene percepito come più sensibile e leale e vede anche se stesso in questo modo. In marchi come l’HBA viene esteso il concetto di una nuova mascolinità per i neri. Com’è invece in Europa?
La collezione di Christopher Shannon è incredibile, secondo me incarna al meglio la concezione della nuova mascolinità. Le sue collezioni connettono l’aspetto sportivo, caratterizzato in maniera piuttosto mascolina (così come nelle mie), con un tocco femminile. Un altro importante stilista è J. W. Anderson: ha iniziato con la moda maschile e col tempo si è dedicato anche a quella femminile. Il suo obiettivo era sfumare il più possibile la linea di demarcazione tra uomo e donna. Ora le sue creazioni sono androgine al cento percento e si contappongono completamente ai cliché dei generi nella moda.

Quest’idea di nuova mascolinità si confà anche al tuo lavoro?
Forse in maniera inconscia. Penso sì di appartenere a questo nuovo gruppo di designer, ma se si parla delle mie creazioni, non lo farei in termini di androginia. Comunque si tratta di un buon concetto. Ciò che trovo molto figo della nuova mascolinità è l’aver messo fine al pensiero stereotipato—rosa uguale femmina. La nuova mascolinità è di sicuro un trend, ma non passerà, come spesso accade. Verrà normalizzata.

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Nelle foto Julian indossa alcuni pezzi della sua collezione Autunno/ Inverno 2014.