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Siamo stati in un Blob per 25 anni

Con un palinsesto che propone ostinato i monologhi di Made in Sud e Giass, un programma come Blob non è poco; per questo mi auguro possa durare per sempre, inghiottendo fedele al suo nome tutto il resto della televisione.

La prima puntata di Blob.

Se ho fatto bene i conti, in questo momento storico non dovrebbe essere cool sostenere che Blob, la trasmissione di Rai3, è una figata. I lettori di VICE mi perdoneranno quindi se scivolerò per dire che, sì, Blob, è un programma molto bello e mi auguro possa durare per sempre, inghiottendo, fedele al suo nome, tutto il resto della televisione con l'eccezione di Edd China di Affari a Quattro Ruote e questo video di Arnold Schwarzenegger che fa flessioni su un grosso hamburger.

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Nato come un esperimento della Rai3 di Angelo Guglielmi il 17 aprile del 1989, Blob, che proprio ieri ha compiuto 25 anni, è una parentesi video-spastica di circa dieci minuti in cui gli affari della giornata politica, televisiva e culturale vengono sviscerati e gettati all'aria, ricomposti, seguendo un manuale d'uso personale e grottesco.

Il potere di Blob, nonostante il quarto di secolo d'età, sta nel suo anti-format che rifiuta la creazione di contenuti originali per digerire quotidianamente il corso degli eventi. È uno show parassita alimentato dalla Televisione, suo bersaglio preferito, e incastrato in una simbiosi rabbiosa con la politica italiana: è nato per sconfiggerla, ma senza di lei sarebbe uno spazio televisivo muto e cieco. È inoltre un rarissimo esempio di Satira Senza Battute: potreste aver visto tutti i 7335 episodi dello show e non avreste comunque sentito una sola battuta. Perché non ce n'era una. In un panorama televisivo che propone ostinato i monologhi di Made in Sud e il porno-sfottò da Strapaese di Giass—l'ultima famelica creatura di Antonio Ricci, che più invecchia e più diventa pericoloso—non è poco; è un'acrobazia sofisticata, la messa in prova del detto "la realtà supera la fantasia".

Pur essendo una delle trasmissioni di sinistra per antonomasia e una delle più longeve, è l'unica ad aver esplorato il campo minato della cosiddetta "satira bipartisan" (un ossimoro ormai d'uso comune) con maestria. Non l'ha fatto sposando la ricetta Zelig fatta di goffi tentativi, battutine paracule e retrofront ma trattando la fauna politica per quello che è: un esercito di personaggi televisivi lì per vendere qualcosa. Il trattamento riservato a D'Alema è lo stesso riservato a Mike Bongiorno.

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Nella maxi-puntata da 33 minuti andata in onda ieri sera li abbiamo visti tutti: creature della Prima Repubblica a contatto con pezzi di televisione sgranati o nuovi di zecca, altri mostri della Seconda Repubblica intervallati a residui vari del Belpaese. E stavano tutti bene, lì, sembravano quasi belli. Poco Berlusconi—che Blob ha il vanto di aver preso per il culo bene, non "Il Cavaliere Mascarato"—e poca politica, che agiscono di sottofondo, gerarchicamente inferiore nella scala della società dello spettacolo. In compenso c'è tutta la cultura italiana, la Televisione, da un'imitazione di Giuliano Ferrara alla caduta del Muro di Berlino, da Colpo Grosso a Mani Pulite, passando per le stragi di Mafia e piazza Tienanmen. Ci si ricorda poi che il termine inglese "blob" significa "massa priva di forma e di consistenza" e tutto diventa molto chiaro.

Se il Tg1 ha avuto la rassicurante facciona di Enzo Biagi ad accompagnare gli spettatori, il terzo canale, su proposta di Guglielmi, lasciò fare a due critici cinematografici, Enrico Ghezzi e Marco Giusti, forse perché il pazzesco cast che ha solcato l'Italia degli ultimi 25 anni è stato affare da cinema, non da "approfondimento politico". Il bunga bunga ha reso palese la piega da fiction di dubbio gusto presa dai fatti italiani, con quel perverso giro di droga-potere-media-e-puttane che sembra ancora troppo perfetto per non essere scritto a tavolino—The Wire con il Gabibbo. Blob però lo aveva capito sin da subito, agli albori del nuovo mondo. Per questo è così importante.

È proprio Ghezzi a ribadirlo in questa intervista a Il Giornale: "[…] Blob è il mio vero film, un film infinito libero da illusioni autoriali. Fare un film vuol dire convincere un sacco di gente a darti dei soldi, un sacco di persone a fare quello che tu pensi, è un fatto di autoritarismo che non mi appartiene. Il cineasta è un lavoro impossibile." Ed ecco come fare, quindi, per renderlo possibile: limitare il budget affidandosi a materiale di recupero, cucire assieme detriti umani e televisivi, applicare geni e casi umani a piacere, mescolare con sapienza e piazzare una mascherina rossa in cima a sinistra sullo schermo.

È davvero necessario che ogni puntata di Blob abbia quella scritta rossa in alto a sinistra sullo schermo, altrimenti potremmo pensare che tutte quelle cose stiano succedendo davvero.

Segui Pietro su Twitter: @pietrominto