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A9N2: Il settimo numero di VICE dedicato alla moda

Bob Mackie ha vestito quasi tutti

E quelli che non sono stati vestiti da lui, sono degli sfigati.

Ritratto di Harry Langdon.
Immagini d’archivio tratte dal libro Unmistakably Mackie: The Fashion and Fantasy of Bob Mackie.

Nel pantheon degli stilisti americani, Bob Mackie si erge solitario con la sua singolare attenzione per iperbolici, paillettati e luccicanti abiti fatti su misura per le personalità più esibizioniste del mondo. E anche se il suo nome non vi è noto (cosa non sorprendente, considerato che Bob non ha mai avuto un marchio sul mercato di massa), se avete mai guardato una fotografia di una persona famosa, ci sono buone probabilità che il suo lavoro vi sia familiare. Nel corso della sua carriera pluridecennale, Bob ha creato abiti per personaggi del calibro di Cher, Liza, Barbra, Britney, Michael, Madonna, Oprah, Dolly, Whitney, Tina, e praticamente chiunque altro abbia raggiunto una fama tale da essere riconoscibile anche senza cognome.

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Bob, 72 anni, ha iniziato la sua carriera a Hollywood all’inizio degli anni Sessanta, lavorando principalmente come costumista. Come stilista, è stato pioniere di quel look esagerato che ha dominato negli angoli più appariscenti della moda americana per metà del secolo scorso, cosa che gli è valsa soprannomi come Raja dei Cristalli e Sultano delle Paillettes. Tra l’altro, Bob ha disegnato favolosi abiti per le Barbie, ha vinto nove Emmy, è stato nominato per tre premi Oscar, ha avviato una linea di arredamento, vestito la mafia, creato profumi, sviluppato una linea di alta moda, e fatto un milione di altre cose spettacolari. Attualmente molta dell’energia di Bob è concentrata nella sua collezione di “arte indossabile” per QVC, molto più in linea con la moda comoda e orientata al consumatore di quanto i suoi precedenti lavori potessero suggerire.

VICE: Cosa stai facendo in questo momento?
Bob Mackie: Sono appena fuori Philadelphia. Ho in ballo di una cosa per le televendite.

Per QVC, giusto? È quello di cui ti occupi maggiormente in questo periodo?
Mi prende un sacco di tempo, ma lavoro anche ad altri progetti.

Ad esempio?
Be’, sto lavorando a una linea di cosmetici, e anche a una di arredamento. Il che è un bene, perché durante la recessione non potevo fare una nuova linea di mobili perché la gente non l’avrebbe comprata. Sai, se stai perdendo la casa, perché dovresti comprare dei mobili? Ma ora tutto sta cambiando.

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Sei un tipo piuttosto impegnato, ma lo sei al punto di non riuscire nemmeno a tenere conto di quello che fai? Hai tenuto il conto dei look che hai creato negli anni?
[ride] No! Sono nell’ambiente da più di cinquant’anni, e non ho tenuto il conto.

Ti capita mai di vedere un abito che hai disegnato senza ricordare minimamente di averlo fatto?
A volte guardo vecchie registrazioni di programmi televisivi a cui ho lavorato molto tempo fa, e vedendo qualcosa so di averla fatta perché ero io il costumista della trasmissione, ma non ne ho un ricordo specifico. È sempre una sensazione strana. Ma è molto difficile da ricordare perché facevo dalle due alle tre ore di trasmissioni televisive alla settimana, e lavoravo 24 ore al giorno. Finita una, passavamo subito a quella successiva.

Bob e Carol Burnett a casa di lei, 1967.

I programmi televisivi per cui lavoravi come costumista all’epoca erano grosse produzioni come The Carol Burnett Show, in cui tutto sembrava così coeso. Eri responsabile della creazione di ogni abito e look?Be’, non tutto veniva creato appositamente. Noleggiavo un sacco di roba come le uniformi e i pezzi d’epoca, ma facevamo da 50 a 70 capi per episodio, e avevamo una trasmissione alla settimana.

Ho visto una tua intervista in cui dici che, per avere l’ispirazione per i costumi degli sketch comici, giravi per i centri commerciali e osservavi la gente. Hai detto anche che non riuscivi a credere che la gente fosse convinta di stare bene vestita così. Giri ancora per i centri commerciali o altri luoghi pubblici?
Non faccio più sketch comici, ma mi capita ancora di girare per centri commerciali e aeroporti—soprattutto aeroporti—e pensare, Oh mio Dio, guardala, o, Guarda che scarpe orribili! Oggi molte donne indossano vestiti che non le valorizzano affatto.

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Sì, credo che le persone peggio vestite si trovino negli aeroporti perché a un certo punto tutti hanno deciso che il comfort sfrenato vince su qualsiasi sorta di decoro. È pazzesco. Ci sono persone che fanno voli di due ore in pigiama con i cuscini da collo e i piedi nudi che emanano una puzza insopportabile.
Lo so! Ma il fatto è che puoi stare comodo anche senza avere l’aspetto di un maiale. Quando prendo un aereo, mi siedo e guardo la gente che sale a bordo pensando, Dove andranno una volta arrivati? Dove puoi andare con un aspetto così ridicolo?

Ci sono delle mode contemporanee particolari che proprio non sopporti?
I leggings indossati come pantaloni. A volte mi blocco di colpo; non riesco proprio a credere ai miei occhi! Solo perché sono elasticizzati non significa che ti stiano bene.

E per quanto riguarda il passato?
Be’, a volte quando le mode sono “in corso” ti viene da pensare, Oh mio Dio, che sta succedendo? E poi dopo un po’ inizia a piacerti. Come quando sono arrivate le minigonne, erano appena sopra il ginocchio ed erano tutti così sconvolti. Poi improvvisamente coprivano a malapena i genitali. E adesso nemmeno quello, e ci siamo abituati.

Ti è mai capitato con cose create da te in passato? Ti sei mai guardato indietro dicendoti, “Ma cosa avevo in testa?”
Be’, mi guardo indietro e mi dico, “Era 30 o 40 anni fa e quella era la moda all’epoca.”

Barbie Amethyst Aura, 1997.

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In che decennio pensi siano stati perpetrati i peggiori crimini contro lo stile?
Negli anni Ottanta. Tutti voleva ribellarsi ai Settanta, ed era tutto così esagerato e pacchiano, con quei ridicoli capelli gonfi e quelle spalline enormi. Non era per niente bello. Ed è stato talmente tanto tempo fa che, se fosse stato bello, ce ne saremmo resi conto a distanza di tempo. Ma oggi nessuno fa nulla di interessante o di nuovo.

Cosa intendi?
Mi guardo intorno, e c’è sempre la stessa roba trita, rigurgitata e riproposta. Vedi una moda che arriva e passa, e poi torna e passa di nuovo, e poi torna per una terza volta! Sta diventando un po’ assurdo. Però i tessuti sono interessanti, adesso. Ci puoi fare un sacco di cose che noi in passato erano impossibili.

C’è qualcosa che hai cercato di fare che però era troppo ambizioso? Qualcosa a cui hai dovuto rinunciare?
Non che io ricordi. Ho sempre avuto un lato molto pratico che mi ha permesso di non rinunciare a nulla. Molte volte avevo solo quattro o cinque giorni per mettere assieme qualcosa, e se arrivi al giorno del servizio fotografico e il look non funziona o non è tutto pronto, sei nella merda fino al collo. Ma poi ci sono state volte in cui avevo sei mesi o un anno per prepararmi, e facevo ricerche e creavo tutti quei cosi enormi con copricapi, strascichi e piume—quelli sono look che devono essere costruiti. E devono essere abiti leggeri e resistenti, e muoversi come se fossero fatti di ali di farfalla. E sono molto esaltanti da fare, ma non è una cosa che avrei tentato quando avevo soltanto un paio di giorni.

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È una delle ragioni che ti hanno portato a lavorare sulle Barbie? Alcuni degli abiti che hai creato per loro sarebbero impossibili da mettere a una persona.
In effetti, ci sono un sacco di drag queen in giro che copiano le Barbie che ho vestito, e io vedendole penso, “Wow, niente male!” Altre volte ci provano, ma non sanno come fare, e all’improvviso collassa tutto.

Immagino che le drag queen ricreino spesso i tuoi look.
Durante tutta la mia carriera, la gente mi diceva “Devi andare a vedere questo spettacolo di drag queen.” E non mi dicevano il perché, e quando andavo scoprivo che ogni performer indossava una copia di quello che avevo fatto. Soprattutto le cose che avevo fatto per Cher.

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Cher in quello che Bob definisce “uno dei suoi abiti di tutti i giorni,” un costume per uno speciale in televisione del 1975. Foto di Harry Langdon.

Lavori ancora con Cher?
Non lavoro con lei da molti anni perché non ha più fatto nulla. È soltanto andata in Russia per una serata di quelle per cui ti danno millemila milioni di dollari, e ha tirato fuori un sacco delle mie vecchie creazioni. Ma non so se lavoreremo più insieme; ci vuole un sacco di lavoro per fare concerti vestiti in quel modo.

Volevo chiederti del famigerato vestito che hai disegnato per lei per gli Academy Awards del 1986, quello che la faceva sembrare una regina delle streghe con la pancia scoperta e l’afro liscio. È vero che è stata una sua idea e che tu hai cercato di dissuaderla?
Be’, doveva consegnare un premio a Don Ameche. Lui era un uomo sulla settantina che riceveva questo splendido premio, perciò le ho detto, “Pensi davvero che dovresti vestirti in questo modo? Non pensi che distoglierà l’attenzione?” E lei ha risposto, “Oh, non gli dispiacerà.” E ovviamente il giorno dopo era sulla copertina di tutti i giornali. E ancora stampano quelle fotografie.

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C’è mai stato qualcuno che avresti voluto vestire ma con cui non sei mai riuscito a lavorare per qualche ragione?
Non direi. Mi piace se arriva qualcuno con dieci chili di troppo. Se riesco a farlo salire sul palco e sembrare se stesso ma che stia molto bene, è sempre molto divertente per me. Immagino che mi sarebbe piaciuto moltissimo vestire Audrey Hepburn. Stava benissimo con qualunque cosa; era come una modella. La gente normale non aveva e non ha quell’aspetto; lei era straordinaria. Non era proprio il sogno erotico di un uomo, non era incredibilmente sensuale, ma allo stesso tempo era davvero stupenda. Negli anni della mia adolescenza, le mie preferite erano Audrey e Marilyn Monroe, che erano l’una l’esatto opposto dell’altra.

Sei riuscito a lavorare con Marilyn?
Il mio primo incarico per un film era disegnare tutti i vestiti che avrebbe indossato in Something’s Got to Give. È stato durante quelle riprese che è morta—non ha mai finito il film, è stato molto strano. Io avevo 22 anni ed ero così esaltato, e all’improvviso Marilyn, la mia preferita, non c’era più. Ancora non riesco a guardare i film su di lei, non voglio nemmeno vederli—non voglio vedere un’attrice che la impersona perché nessuno può fare quello che ha fatto lei. Era così magica. Adorabile e normale e così sensuale e attraente. Una creatura molto interessante.

Barbie Goddess of Africa, 1999.

Quello che mi piace delle tue creazioni è che per quanto siano sempre belle, molte sono anche divertenti e sconvolgenti. Ti sei mai messo a disegnare un abito con lo scopo di scatenare una reazione estrema nelle persone?
Voglio sorprenderle. Soprattutto quando vesto degli artisti. Vuoi che il pubblico sia sorpreso quando entrano in scena. Vuoi che vada in estasi o applaudisca—tutto ciò è importante, è parte dello show business. È esaltante. Se una donna fa un’ora e mezza su un palco, e indossa soltanto un abitino nero, le conviene essere Judy Garland. Sei lì per vederla, non solo per ascoltare. Quindi ci deve essere qualcosa di visuale. Allo stesso tempo, se non fai in modo che abbiano un bell’aspetto, hai fallito nello scopo di far loro indossare qualcosa. Si tratta di farle sembrare più magre e più alte e favolose.

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Il mondo della moda ti prende sul serio?
Il mondo della moda non mi ha mai davvero accettato. Sono sempre stato un costumista, non uno stilista. Ma a causa delle donne che ho vestito, sono stato in qualche modo trascinato nel mondo della moda, il che andava bene, ma ai giornalisti del settore non sono mai piaciuto.

Cosa pensi dell’attuale industria della moda?
Non penso nulla a proposito. È un ambiente terribile in cui trovarsi. La gente entra ed esce continuamente dal business—è molto brutale. E con la maniera in cui reagiscono i negozi e il modo in cui trattano gli stilisti, è molto dura. È difficile guadagnare bene. Vedo giovani stilisti che entrano nella moda e penso, “Ti prego, vai a lavorare con qualcuno che ammiri davvero; non cercare di metterti in proprio adesso.” Molti di loro pensano di potersi mettere in affari e avviare un atelier e di guadagnarsi in fretta la fama, ma non funziona mai.

E ci sono degli stilisti emergenti che ti piacciono?
Devo ammettere di non aver fatto molta attenzione. Lavoro con degli studenti di moda a Los Angeles, e penso che alcuni di quei ragazzi siano incredibili. Può essere molto frustrante perché sono dotati, ma non sento mai parlare di loro dopo. Lo trovo così triste.

Ci sono degli stilisti di cui hai apprezzato il lavoro negli anni?
Adoro James Galanos. È in pensione da un po’, ma ho sempre pensato che facesse i vestiti più belli. Oscar de la Renta lavora ancora in modo molto produttivo. Veste le donne in modo che sembrino delle donne, e questo mi piace molto. Un sacco di gente tira avanti, ma sembra che faccia collezioni solo per dovere.

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Due modelle indossano dei capi della collezione Autunno 1988 di Bob. Foto di Gideon Lewin.

Tu una volta hai fatto una collezione di alta moda, giusto?
Ne ho fatte diverse. Non avevano i prezzi dell’alta moda europea, ma erano comunque costose. Però penso fossero indossabili. Non ho mai fatto nulla che pensavo non si potesse indossare. La parte triste è che non puoi controllare chi la compra. A volte penso, Oh, se potessi dire a quella donna quale comprare!, perché sceglierà invariabilmente la cosa sbagliata. Posso avere tutti quegli splendidi campioni, e poi arriva Aretha Franklin per fare un ordine, e dice, “Be’, non sembra la stessa cosa ora, o sbaglio?” [ride] Finirò nei casini per questo.

Ci sono personaggi che hai preferito vestire?
Be’, dipende da quello che stavo facendo. Quando lavoravo con Carol Burnett, potevo fare un sacco di cose divertenti, oltre a produrre bellissimi numeri di varietà. Poteva indossare così tanti abiti in una volta sola. E adoravo fare spettacoli comici; mi piaceva far ridere il pubblico. Un sacco di stilisti pensa, “Perché dovresti volerlo fare?” La gente nell’ambiente della moda non ha molto senso dell’umorismo.

No, decisamente no. 
La moda è come una religione per loro, ma deve avere un po’ di senso dell’umorismo. Credo che alcune delle cose più buffe che io abbia mai visto siano le showgirl, tipo a Las Vegas. Mi fanno sempre ridere. A volte sono belle, ma sono sempre così esagerate da far ridere. E la moda può essere sempre così.

Immagino che tu abbia avuto un’influenza abbastanza notevole sul look di Las Vegas, giusto?
Penso di aver avuto una grossa influenza su un sacco di cose, nell’ambito dell’intrattenimento. Guardo Dancing with the stars e penso, ho creato quell’abito quarant’anni fa, e l’ho fatto meglio.

Hai avuto un’influenza enorme. Hanno fatto una battuta su di te nei Simpson una volta.
A un certo punto ero molto famoso. Mi citavano nei libri e nei quiz e nei Simpson. È divertente. Me la godevo. Sono andato a vedere Campioni di razza con un amico, e c’è una parte in cui Jane Lynch dice, “Bob Mackie, dove sei quando abbiamo bisogno di te?”—e io non avevo idea ci fosse nel film. È divertente, mi piace quando succede.

Com’è casa tua?
Sai, viste tutte le cose piene di glamour e di esagerazioni che faccio, la gente si aspetta che io viva in una specie di locale notturno di marmo con le luci e le palme argentate. Ma non è così, non mi va. La mia casa è una villetta a Los Angeles, con una piscina, dei cactus e alcune cose che ho raccolto in giro per il mondo. Mi rende felice stare in mezzo alle mie cose.

Ti sembra che i tuoi ritmi siano rallentati rispetto a prima?
Non particolarmente. Ma ci sono delle cose che facevo che ora non riuscirei a fare, fisicamente. Non potrei mai fare quello che facevo negli anni Settanta. Be’, nessuno ci riusciva all’epoca! Come ne fossi capace, non lo so. Nessuno lavorava quanto me. Ma lo adoravo. E all’epoca pensavo, Divertiti finché puoi, perché non farai mai più così tante cose contemporaneamente. E così è stato.