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Música

L'Islam era la religione dell'hip-hop

E adesso, grazie a personaggi come Brother Ali sta lentamente tornando ad esserlo.

Parte della storia dell'hip-hop incontra inevitabilmente l'Islam. Diverse espressioni di questa religione sono infatti profondamente legate agli inizi del genere e alla sua età dell’oro, ma quasi nessuno lo sa. Quanti di quelli che hanno osservato il retro della giacca di Rakim sulla copertina dell’album Follow the Leader conoscono il significato di quel simbolo?

Nella prima metà degli anni Novanta, l’Islam era la religione dell’hip-hop. In alcuni vecchi video, un giovane Jay-Z compare accanto ai membri del movimento nuwaubianista di Brooklyn. Al tempo stesso, l’hip-hop era diventato la lingua dell’Islam, attraverso il quale la religione attirò a sé molti giovani. Erano gli anni che assistettero a una ripresa dell’interesse per l’Islam quale messaggio di giustizia sociale, auto-legittimazione e resistenza alla supremazia dei bianchi: Spike Lee fece uscire il suo spettacolare film biografico su Malcolm X, e Luis Farrakhan guidò un milione di afroamericani nella marcia su Washington. Malcom e Farrakhan furono canonizzati quali santi patroni e guide spirituali dell’hip-hop, e le loro voci campionate finirono in migliaia di canzoni.

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Brother Ali porta avanti questa tradizione. Come me, è nato nel 1977 e, come me, è diventato musulmano nel 1993. Quando l'ho incontrato dopo la sua serata a Chapel Hill non gli ho chiesto come fosse arrivato all’Islam, e lui non l’ha chiesto a me. Ma la condivisione di una serie di riferimenti e aneddoti mostra che potremmo aver percorso sentieri analoghi. Come poi ho scoperto, a sollevare in lui l'interesse per il Corano sono stati proprio i testi di Rakim e Pubblic Enemy. Si è convertito a 15 anni con la comunità di Warith Deen Mohammed. Per me, il punto di partenza è stato Malcolm X, così come veniva presentato da Public Enemy e Spike Lee.

Secondo Brother Ali, il picco e successivo declino di quello che è definito il manifesto dell’hip-hop “politicizzato” o “impegnato” può essere visto in due modi: da una parte abbiamo interpreti carismatici e musicalmente dotati senza contenuti, dall’altra brillanti intellettuali e attivisti che fanno brutta musica. Brother Ali prova affetto per entrambe le parti, ma nel suo lavoro, scegliere tra l’arte e la coscienza sociale non è un problema. Spacca su tutti i livelli.

"Mourning in America", pezzo che dà il titolo al suo nuovo album, parla dall’alto della tradizione dell’hip-hop politicizzato che ha scoperto da giovane—si apre addirittura con una campionatura di Malcom X—ma trasporta quest’eredità in un nuovo contesto, in cui definisce il terrorismo “la guerra dei poveri” e le guerre “il terrorismo dei ricchi”. Mourning in America andDreaming of Colour presenta le riflessioni di Brother Ali sulle condizioni dell’animo della nazione: povertà, guerra, pregiudizi e delusioni di un panorama post-razziale. Il rapper esplora l'interesse dell’hip-hop per libertà, giustizia e uguaglianza fino ad includere l’eliminazione dell’omofobia dalla cultura, includendovi i suoi stessi testi. “Non sono sempre stato dalla parte giusta in quella battaglia,” confessa a proposito del suo precedente uso degli insulti. Oggi, quando canta materiale vecchio si autocensura, e in “Say Amen” , dall'ultimo album, si confronta con gli MC omofobi.

Durante concerto, quando qualcuno dal pubblico ha accennato al "crying like a bitch", Brother Ali l’ha corretto. “Guarda una donna partorire e non userai mai più la parola ‘puttana’ in nessun contesto.” Più tardi, Brother Ali ha interrotto lo spettacolo per spiegare: “Mi spiace, so che non avete pagato per vedere questa roba,” ha detto, “ma alcuni di noi godono di privilegi esagerati.” Più tardi, dietro le quinte, abbiamo parlato dell’essere maschio, dell’essere bianco e dell’Islam. “Il Profeta era un uomo che ha pianto,” mi ha detto Brother Ali. “Il Profeta ha versato lacrime per i bambini, gli anziani, i poveri e per coloro che furono schiavizzati”.

Dal vivo come nelle tracce registrate, Brother Ali e i suoi guest esprimono sia rabbia che amore. La canzone “Gather Round” si chiude con un’apparizione del geniale Amir Sulaiman che parla di giudici ostaggio e definisce la libertà come un luogo “tra il foglio e la penna/tra la granata e il gancio di sicurezza." Un paio di anni fa, Brother Ali si è trovato al centro delle polemiche per la sua canzone “Uncle Sam Goddamn”, ma nel disco lo sentiamo esprime il suo affetto per l’America nel pezzo “Letter to My Countrymen”. L’America che ama non è quella storica, ma una promessa futura: “Voglio fare di questo Paese quello che afferma di essere.”

“Penso che la lotta per la libertà sia parte della nostra eredità,” canta Brother Ali in “Letter to My Countrymen”. È una lotta che legge alla luce dell’hip-hop e della sua segreta storia islamica, una mutazione che produce a sua volta altre mutazioni. “È un mondo strano,” mi ha detto dopo il concerto. “Perché dovrei continuamente pensare alla razza? È questo mondo bizzarro che mi ha reso strano.”