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Chris Steele-Perkins non riesce a smettere di fotografare l'Inghilterra

Che i suoi soggetti siano donne centenarie o Teddy Boys.

INGHILTERRA. Bradford. Un Teddy Boy si pettina al Market Tavern. 1976.

Chris Steele-Perkins ha studiato psicologia prima di dedicarsi alla fotografia. I suoi primi lavori si focalizzavano sulle malattie sociali delle città inglesi, all’epoca collaborava con il collettivo EXIT. Il suo periodo nell’EXIT culminò con l’uscita del volume Survival Programmes. Nel 1979 pubblicò la sua prima opera personale, Teds, che esaminava la subcultura britannica dei Teddy Boy degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Successivamente, Steele-Perkins iniziò a viaggiare in lungo e in largo, scattando in Africa, Afghanistan e, più avanti, in Giappone. È membro della Magnum dal 1979; abbiamo parlato con lui di tutto questo e della sua ossessione per l’Inghilterra.

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VICE: Il tuo passato sembra piuttosto vario, ho sentito che hai perfino studiato chimica e psicologia. Questo ha influenzato il tuo lavoro in qualche modo?
Chris Steele-Perkins: Non saprei. Ovviamente stavo cercando la mia strada, quindi ho iniziato con la chimica, ma presto mi sono reso conto che non faceva per me. La psicologia era interessante e divertente, ma di nuovo, non faceva al caso mio. È stato in quel periodo che ho iniziato a lavorare al giornale studentesco come fotografo, e la fotografia mi ha conquistato. Quando mi sono laureato, ho capito che era la strada che desideravo seguire.

Guardando i tuoi lavori, sembra davvero che tu riesca ad arrivare al cuore dei problemi e delle questioni personali. Scusa se insisto, ma non pensi che studiare psicologia ti abbia aiutato a connetterti con le persone e le loro difficoltà?
Penso che abbia più a che fare con il buon senso, onestamente. Potrei concederti che la psicologia mi abbia fornito una base più adeguata di quella che mi avrebbe dato la fisica nucleare. Era un corso relativamente semplice, devo dire, e questo mi ha permesso di avere più tempo per fotografare. Penso che il mio vero interesse sia, senza voler suonare pretenzioso, la condizione umana. Come la gente vive nel mondo e con il mondo. Sono stato anche influenzato molto dai grandi fotografi umanisti: Kertész, Cartier-Bresson, Eugene Smith, e gli altri.

BANGLADESH. Paesani. 1972.

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Il tuo primo lavoro era incentrato sul Bangladesh, sulla povertà e la diseguaglianza, ma il tuo primo libro era sui Teddy Boys inglesi. Cosa ha scatenato questo cambiamento?
Il viaggio in Bangladesh è stato il mio primo vero viaggio, dopo quello non ho avuto occasione di viaggiare per anni. Sono sempre stato interessato all’Inghilterra, ho iniziato due progetti senza capire quanto grandi sarebbero diventati nel giro di tre anni. Uno veniva dal progetto sul revival dei Teddy Boys a cui stavo lavorando con un mio amico scrittore, per una rivista. Dopo una nottata passata al pub, entrambi eravamo d’accordo sul fatto di approfondirlo, e divenne un libro.

Al tempo stesso, venni coinvolto, insieme ad altri due fotografi, in un piccolo gruppo chiamato EXIT. Volevano fare un progetto sulla povertà nei quartieri bassi inglesi, quindi passammo molto tempo in povertà nei bassifondi dell’Inghilterra. Anche quello divenne un libro, molti anni dopo, Survival Programmes. I libri per me sono sempre il modo più soddisfacente di dare una sistemazione a una serie di scatti.

Cos’è che ti piace dei libri?
Essenzialmente è il controllo. È fantastico avere 12 pagine, come accadeva per esempio sul Sunday Times Magazine, ma insieme c'era anche una pubblicità del whisky e una della Land Rover, proprio accanto ai tuoi lavori. Scelgono gli scatti che magari a te non vanno bene e ne tagliano altri. Un libro offre una visione d'insieme, e se non ti piace è perché io l’ho fatto di merda. Non posso incolpare nessun altro.

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Sentivo che avevo bisogno di far sentire la mia voce, all’epoca, e sono stato fortunato a trovare degli editori che mi hanno accompagnato in questo percorso. Anche ora con internet e con tutto ciò che offre, sento ancora che il libro, quello che puoi prendere dallo scaffale, tenere in mano e sederti a guardare, rimane il modo migliore per godersi la fotografia.

Tornando a Teds, il libro ha avuto una seconda vita diventando una sorta di documento che ha influenzato il mondo della moda. Cosa pensi di questo?
Se è davvero così, è magnifico [ride]. Ovviamente è un documento sociale, e la moda fa parte di ciò che ho registrato. Erano i vestiti, insieme a tutto il resto del lifestyle, che mi avevano attratto fin dall’inizio.

AFGHANISTAN. Bagno settimanale dei bambini dell’orfanotrofio di Kabul. 1994.

Sembra che molti dei tuoi lavori siano stati creati attraverso la profonda immersione nel mondo dei tuoi soggetti, che siano squatter di Belfast o talebani in Afghanistan. Si tratta di una conscia decisione o è stata pura fortuna?
Direi che è una decisione conscia. Se non ti connetti ai soggetti del tuo lavoro, nessun altro lo farà. E quello che ti troverai in mano sarà solo un pugno di immagini sterili.

I tuoi lavori sembrano anche bilanciarsi bene fra il reportage fotografico e l’arte. So che il progetto Film Ends era più sperimentale, e mi sembra che il tuo libro Pleasure Principle abbia segnato una specie di interruzione, in parte, della tua voce, perché non è puramente soggettivo. Come fai a mantenere questi due aspetti bilanciati?
Ho sempre ritenuto di essere un fotografo soggettivo, anche scattando i reportage classici. Il libro che ho fatto in Afghanistan, per esempio, è a un certo livello molto classico—bianco e nero—e fotografa una zona di guerra. Ma per la maggior parte si dedica alla gente che si occupa di faccende ordinarie. Gli spari e il lancio di granate ci sono, ma contestualizzati—almeno nella mia idea.
Il libro per me è abbastanza personale, include delle parti di testo scritte da me sulle esperienze vissute in quel periodo. Ho sempre pensato che mi stessi dividendo fra fatti personali e volontà di vedere il mondo là fuori.

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AFGHANISTAN. Combattenti talebani che si muovono contro le forze di Masood. 1996.

Ti sei unito alla Magnum nel 1979. Com’è successo?
Come ho detto, stavo lavorando soprattutto a progetti nel Regno Unito e Belfast era stata una delle mie esperienze preferite all’estero. Successivamente però, ho sentito il bisogno di vedere di più del mondo, e la fotografia è un modo fantastico per farlo. Ho incontrato Joseph Koudelka a Londra diverse volte e lui mi ha colto di sorpresa, dicendomi che avrei dovuto mandare il mio portfolio alla Magnum. Oltretutto all’epoca stavo cercando un’agenzia. È stato tutto molto fortuito. Sono dovuto passate per la votazione, come tutti, ma ce l’ho fatta e sono stato accettato.

Quali pensi siano stati gli effetti su di te del lavoro alla Magnum?
Be', suppongo di aver subito grossi cambiamenti, perché ero piuttosto isolato a Londra. Ho potuto incontrare molte persone con cui, in un certo senso, ero in competizione durante gli anni d’oro delle riviste di fotografia. Le infrastrutture che permettevano la pubblicazione erano lì, dovevi solo scattare le foto. Che era quello che volevo fare, essere sul campo. Potrebbe suonare folle ora, ma all’epoca non mi interessava nemmeno dei soldi. Pensavo solo che tutto quello che dovevo fare era trovare delle immagini interessanti, e si sarebbero ripagate da sole. Quello era l'importante per me.

L’altra cosa importante era l’archivio della Magnum. Il fatto che le tue foto rimanessero lì, venissero riciclate e potessero finire sulla copertina di un libro, ad esempio, significava avere un’altra possibilità di profitto. Il che ovviamente ti rende libero di poter fare il lavoro che vuoi. Il sogno di tutti.

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INGHILTERRA. Sheffield. Phyllis Corker è una centenaria. Data di nascita 3 giugno 1907. Ritratta nella sua stanza in una casa di riposo.

Sei ancora membro della Magnum, e ancora al lavoro.
Sì. Mi è sempre più difficile trovare i soldi per fare le cose che vorrei fare, ma il punto centrale di dedicarmi alla fotografia era il fatto di poter fare quello che volevo invece di dover servire le necessità delle altre persone. Questo è quello che intendo fare fino a quando non mollerò.

Parlami del tuo nuovo progetto, Fading Light. Come ti è venuto in mente questo soggetto?
Mi è venuto in mente dopo aver letto un trafiletto sul giornale, una statistica sul numero di persone che hanno superato i 100 anni. Il problema delle persone anziane nel mondo occidentale è da un po’ di tempo sulla bocca di tutti. Quel pezzo diceva che nel Regno Unito c’erano più di 10.000 persone ultracentenarie.

Wow.
Ho pensato la stessa cosa. È una nuova fascia demografica che non è mai esistita sul pianeta fino ad ora, ed ero curioso di vedere com’erano queste persone. E anche di capire come mi sarei sentito io al posto loro. Quindi ho deciso di lavorare su una serie di ritratti e interviste con dei centenari nel tentativo di documentare il fenomeno mentre sta ancora emergendo. Probabilmente al momento ci sono 12.000 centenari in Inghilterra, e presto saranno 20.000.

È arrivato come tanti altri progetti: qualcosa ti solletica e non riesci a togliertelo dalla testa. Ho seguito il corso delle cose e fatto pubblicare il libro, ma non è il mio ultimo progetto, l’ultimo è sulla campagna inglese, densa di ville: una sorta di comune di magioni. È qualcosa che avrei voluto fare da anni, ma trovare qualcuno che mi lasciasse girare per casa sua e fare tutto ciò che volevo non è stata la cosa più facile del mondo. Avevo trovato un posto chiamato Holkham Hall, una grande villa a Norfolk, e ho passato un anno a fotografarne la vita. Fa parte del mio più ampio interesse per l’Inghilterra.

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Cosa ti convince a tornare sempre in Inghilterra?
Il fatto che ci vivo. Trovo l’Inghilterra un pelino meglio di qualsiasi altra cosa in questo mondo, il che potrebbe essere dovuto al fatto che sono mezzo birmano e non sono nato qui, ma continuavo comunque a tornarci da bambino. Forse perché all’inizio non riuscivo proprio ad adattarmici bene. Ho sempre sentito che fosse un posto che osservavo dall’esterno. È uno strano posto con strane persone, che mi continua a intrigare. Che io abbia a che fare con il padrone di una magione, una centenaria o con un ragazzo dal taglio di capelli strano che minaccia di picchiarmi.

Per vedere altre foto di Chris Steele-Perkins, andate alla pagina successiva.

AFGHANISTAN. Combattenti talebani contro le forze governative si rifugiano dietro un carro armato mentre cercano di raggiungere la valle del Panshir. 1996.

AFGHANISTAN. Kabul. Bambini che vivono e giocano in un edificio abbandonato. 1994.

IRLANDA DEL NORD. Belfast. Catholic West Belfast, Falls Road. Dei veicoli sequestrati bruciano sullo sfondo per festeggiare l’anniversario della politica britannica della reclusione senza processo. 1978.

INGHILTERRA. Londra. Il parcheggio del White Hart, a Willesden. 1976.

IRLANDA DEL NORD. Belfast. Fuori dai Divis Flats. 1978.

IRLANDA DEL NORD. Belfast. Angolo di strada. 1978.

BANGLADESH. Pazienti in una clinica prendono una pillola. 

INGHILTERRA. Sheffield. Phyllis Corker è una centenaria. Data di nascita 3 giugno 1907. Nella sua stanza in una casa di riposo. 

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