FYI.

This story is over 5 years old.

reportage

Hart Island, il cimitero dei morti dimenticati di New York

Ad Hart Island, il cimitero dei poveri di New York, centinaia di migliaia di corpi giacciono dimenticati e privi di identità. Nonostante gli sforzi di alcuni attivisti, dare loro un volto, un nome e ricostruirne le storie è spesso molto difficile.

Hart Island, l'enorme cimitero dei poveri di New York, è visitabile il terzo giovedì di ogni mese, a partire dalle nove di mattina. Ma solo dietro prenotazione.

In fondo a Fordham Avenue, nel Bronx, oltre il Nautica Museum e le schiere di pittoresche case in legno, c'è l'accesso al molo. Sulla destra, c'è un cantiere dove è in costruzione l'ennesimo complesso di appartamenti di lusso. Quando sono arrivata lì, in una fredda mattina di dicembre, i lavori non erano ancora iniziati e ogni cosa era avvolta da un silenzio surreale, interrotto solo dal rumore delle boe che a cadenza regolare sbattevano contro gli scafi delle barche ormeggiate. Più tardi, il guidatore del traghetto, che si fa chiamare Captain Marc, mi ha detto che non sa se ai nuovi residenti piacerà "tutto questo," indicando il traghetto arruginito (che, a suo dire, è il più vecchio tra quelli in servizio a Staten Island) e, appena oltre, Hart Island.

Pubblicità

Quello di Hart Island è considerato il più grande cimitero dei poveri del mondo—è il luogo dove finiscono tutti i corpi che non vengono identificati o a cui nessuno può pagare un funerale. La maggior parte dei milioni di anime che vi riposano è invisibile nella morte proprio com'era invisibile in vita. Hanno vissuto ai margini, nelle zone d'ombra della società—sono gli esclusi, i diseredati, i poveri. In questa terra giacciono molti John e Jane Doe, signori nessuno, dimenticati. Il sito e i registri del cimitero sono gestiti dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria [DOC] di New York; durante la settimana, i detenuti del penitenziario di Rikers Island vengono portati qui per scavare nuove tombe.

Questo mezzo chilometro quadrato di terra è visibile da City Island, un angolo polveroso del Bronx che sembra un villaggio di pescatori. Da lontano, si vedono alcuni edifici di mattoni rossi che punteggiano l'isola. Oggi sono vuoti, abbandonati—in passato, invece, sono stati un carcere minorile, un sanatorio per malati di tubercolosi e un ospedale psichiatrico.

Nonostante sia così vicina alla città, Hart Island è praticamente inaccessibile. Fino a poco tempo fa, ai familiari che volevano visitare i loro cari (così come ai giornalisti) era proibito visitare l'isola. Anche oggi, le visite consentite sono poche e seguono regole molto rigide. Il mese scorso, inoltre, il DOC avrebbe negato alla BBC l'autorizzazione a visitare l'isola. Secondo quanto ha riferito la giornalista Alina Simone, Robin Campbell, l'addetto stampa del DOC, le avrebbe detto che ai giornalisti è proibito l'accesso.

Pubblicità

(Io ho visitato l'isola senza che nessuno mi chiedesse il motivo per cui volevo farlo. Sul sito ufficiale di Hart Island non c'è scritto in modo esplicito che l'accesso alla stampa è vietato, ma solo di chiamare l'ufficio relazioni con il pubblico del Dipartimento. Ho cercato di mettermi in contatto con Campbell via telefono e via email, ma al momento della pubblicazione di questo articolo non ho ricevuto alcuna risposta.)

Sin dalla metà anni Novanta, Melinda Hunt, un'artista e regista canadese, si batte a favore della memoria di questi morti. Vive a Peekskill, nel nord dello Stato di New York, e gestisce Hart Island Project. Quando l'ho incontrata, stava per inaugurare Traveling Cloud Museum, una specie di memoriale virtuale che mira a ricostruire l'identità delle persone sepolte sull'isola.

"È un po' come Facebook," mi ha detto. "Solo che è per i morti."

Nel 2008, dopo anni passati a compilare richieste e moduli, Hunt è riuscita ad avere accesso a circa 50.000 certificati di sepoltura, che risalgono fino al 1977. I documenti per gli anni precedenti sono andati distrutti in un incendio. All'inizio, il comune ha rigettato le sue richieste affermando che quei documenti contenessero informazioni riservate. Ma, dato che i certificati non menzionano la causa della morte, alla fine Hunt ha vinto la sua battaglia legale.

"Abbiamo avuto fortuna," mi ha detto Hunt. "Il modo in cui qualcuno è morto è un'informazione riservata, il fatto che qualcuno sia morto non lo è.

Pubblicità

Oggi, Hunt ha accesso a circa 65.000 certificati. Con l'aiuto di un gruppo di volontari, sta lavorando per digitalizzare questa mole enorme di dati, spesso manoscritti e molto rovinati, e per renderla accessibile a tutti tramite hartisland.net. Dopo una breve introduzione con dei filmati dell'isola, gli utenti del sito sono invitati a scorrere pagine e pagine di nomi e a cercare di riconoscerne qualcuno.

C'è anche una mappa digitale delle tombe, creata utilizzando un sistema di geolocalizzazione—un'innovazione introdotta grazie anche all'impegno di Hunt. Questo vuol dire che alla lista di date e nomi corrispondono altrettante tombe, che possono essere localizzate sulla mappa.

La tecnologia ha giocato un ruolo fondamentale nella realizzazione di questo memoriale virtuale. "Pensanvo al sistema cloud, a Google Maps e al modo in cui le identità di queste persone fluttuano sull'isola," mi ha detto Hunt.

Di fianco ad ogni nome c'è un orologio, che indica da quanto tempo una persona non ancora identificata è stata sepolta sull'isola. Per fermarlo e "aiutare" queste persone a uscire dall'anonimato basta contribuire con un aneddoto, una foto o un epitaffio per il defunto.

Per la sua idea, Hunt è stata ispirata dalla natura comunitaria delle tradizioni orali e dal modo in cui spesso queste diano voce a un passato che altrimenti rimarrebbe nell'ombra. I progettisti olandesi che hanno disegnato il sito hanno pensato che lo stratagemma dell'orologio avrebbe illustrato bene l'idea di Hunt e al tempo stesso avrebbe aggiunto un elemento giocoso, un incentivo per convincere le persone a partecipare.

Pubblicità

Christine Yalanis è stata la prima persona a pubblicare una storia sul sito, subito dopo il suo lancio avvenuto la prima settimana di dicembre.

Nel 2011, Yalanis ha scoperto che suo padre, Roy Foss—morto 12 anni prima—era sepolto ad Hart Island. Era molto piccola quando i suoi genitori si erano separati, e suo padre era un veterano del Vietnam con seri problemi di alcolismo. Yalanis ricorda che picchiava sua madre. Quando poi se ne è andato di casa, ha iniziato a "girovagare", facendosi ospitare da amici oppure, durante la bella stagione, dormendo al Maria Hernandez Park di Bushwick, a Brooklyn.

A un certo punto, lo zio di Yalanis aveva sentito dire che suo padre era morto. La famiglia era andata al parco di Bushwick e aveva chiesto un po' in giro, ma nessuno sapeva dire dove fosse. Anni dopo, il patrigno di Yalanis aveva deciso di ricostruire la genealogia della famiglia, compreso il ramo dei Foss, e aveva intrapreso una ricerca sulle tracce del padre di Yalanis. Avevano assunto un investigatore privato, il quale aveva scoperto che questi era morto e che era sepolto ad Hart Island.

L'investigatore aveva detto a Yalanis che, quando ne avevano ritrovato il corpo, suo padre aveva tasso alcolico nel sangue ben cinque volte superiore al limite legale. Era stato travolto da un treno alla stazione di Sutter Avenue, perché era sbronzo ed era scivolato sui binari. Il cadavere era rimasto anonimo finché non era stato identificato tramite l'analisi delle impronte digitali che aveva dovuto fornire quando era stato schedato. Yalanis pensa che quella notte si fosse rifugiato in metropolitana per stare al caldo.

Pubblicità

Ma anche se era stato violento con sua madre e non aveva cercato di mantenere i rapporti con lei, l'idea che suo padre potesse rimanere per sempre anonimo a Yalanis non piaceva per niente.

Il certificato di sepoltura di Roy Foss. Foto per gentile concessione di Hart Island Project

Sul Traveling Cloud Museum, Yalanis ha scritto un riassunto breve e onesto di quella che è stata la vita di suo padre. "Anche se come padre non ho avuto modo di conoscerlo bene, piango la sua scomparsa e soprattutto il fatto che non sia mai riuscito a guarire dalla sua malattia."

Commemorare le persone sepolte a Heart Island, secondo Yanis, è un modo per riconoscere che hanno avuto una vita, indipendentemente da quanto turbolenta, breve o sfortunata possa essere stata. "Anche lui ha avuto una vita, una sua storia" mi ha detto. "Anche i bambini sepolti lì hanno una loro storia."

Detto ciò però non tutti riescono a fermare quell'orologio e a dare un posto nella storia del mondo a quelle vite dimenticate. Il fatto che la documentazione degli archivi precedente al 1977 sia andata distrutta implica che molte persone non sapranno mai se un loro parente è stato sepolto sull'isola.

Dawnn Mitchell, una regista che vive in Georgia, ha trascorso gran parte della sua vita a pensare a sua nonna, Pocahontas Royster, morta in New Jersey nel 1932. La famiglia di Royster era molto povera e Mitchell crede che si trovi a Hart Island, anche se non ne è sicura. "Non sempre sappiamo da dove veniamo. Alcuni africani sono stati portati qui come schiavi senza essere stati registrati, senza sapere chi erano i genitori o quali fossero i nostri nomi. Io ho bisogno di sapere quali sono le mie radici." In un mondo ideale Mitchell dovrebbe poter riesumare il corpo della nonna e portarlo in Georgia vicino a lei. Purtroppo questo sogno è impossibile.

Pubblicità

Roberta Omin, una newyorchese che avrebbe voluto visitare la tomba del fratello, David Joseph, ha vissuto una situazione non troppo dissimile. Joseph è morto a soli tre giorni di vita, nel 1951, a causa di un parto prematuro. Ai tempi, quando un bambino nasceva prematuro e moriva, ai genitori veniva proposta subito la "città della sepoltura". Hunt mi ha spiegato che la proposta veniva fatta quando le madri erano ancora sotto l'effetto dell'anestesia, e questo significa che la decisione veniva presa sotto costrizione o direttamente dal padre. La decisione di seppellire il bambino sull'isola era inoltre irreversibile. Una volta, presa il corpo del neonato veniva messo in una piccola cassa di pino e portato all'ufficio legale per l'autopsia.

Omin aveva 6 anni quando è morto il fratello. Quarant'anni dopo, leggendo un articolo del New York Times, ha scoperto Hart Island. Da allora ha iniziato a pensare a Joseph come suo fratello e non semplicemente come il figlio di sua madre. E improvvisamente ha provato tristezza al pensiero che lui fosse stato sepolto lì, da solo.

Hunt ritiene che la necessità di commemorare qualcuno sia più una questione di responsabilità personale che di elaborazione del lutto. "Vogliono visitare l'isola per poter dare ai defunti tutto quello che sentono di dovergli dare," ha detto. "La gente pensa che aver permesso che un proprio caro finisse lì sia stato un errore."

Pubblicità

Dopo aver letto quell'articolo Omin ha richiesto il certificato di morte di Joseph e ha fatto domanda per poter visitare l'isola e mettere una targhetta sulla sua tomba. Ma la richiesta è stata respinta e il certificato di morte del fratello non esiste più perché è andato distrutto nell'incendio del 1977. Finché non ha sentito Hunt che parlava in radio di Hart Island, però, non ha fatto nulla. Nel 2007 l'organizzazione Homeless con sede nel Bronx è riuscita ad ottenere i diritti di visita a Hart Island. A quel tempo, secondo Hunt, l'appartenenza religiosa era un punto fondamentale per il DOC. Nel 2010 Hunt, che aveva accompagnato l'organizzazione durante una delle loro visite, ha denunciato il Consiglio Comunale con l'accusa di aver commesso discriminazioni religiose.

"Bisogna denunciare la città se si vuole cercare di ottenere qualcosa," ha detto Hunt.

A seguito della denuncia di Hunt l'isola ha iniziato a essere più accessibile al pubblico. Tuttavia ancora oggi i visitatori non possono entrare con cellulari, fotocamere o qualsiasi altro dispositivo in grado di registrare. Ho dovuto lasciare il mio zaino accanto all'acquario nell'"ufficio", un edificio poco illuminato.

Ci sono voluti dieci minuti per attraversare l'isola, la cui riva è piena di vecchi rami e qualche barca abbandonata nell'erba. Una specie di controllore mi aspettava vicino a un leggio. Aveva una lunga barba bianca e gli mancava un dente; era una specie di San Pietro.

Pubblicità

Ha tirato fuori dalla tasca un pezzo di carta spiegazzato con una scritta rossa su cui ha controllato il mio nome e poi mi ha invitato a registrarmi sul libro dei visitatori. Ho fatto il mio ingresso attraverso una passerella delimitata da piccoli angeli di ceramica. I visitatori vengono raggruppati sotto a un piccolo gazebo a poca distanza dalla riva, circondato da un giardino.

In mezzo al giardino c'è una lapide con dei sassi appoggiati sopra. Omin mi ha spiegato che è una tradizione ebraica per commemorare i morti. Quando finalmente l'estate scorsa è riuscita ad ottenere il permesso di visitare l'isola ha portato con sé i sassi che le erano stati dati da familiari e amici, compreso un sasso dipinto dalla madre molti anni prima.

Sull'isola crescono fiori selvatici. Omin ne ha raccolti alcuni e ne ha fatto un piccolo mazzo da mettere sulla tomba insieme ai sassi. Poi ha letto ad alta voce una Kaddish, un'antica preghiera ebraica per i defunti, dedicandola al fratello.

David Joseph,
Possa la tua anima riposare in pace, con la certezza che non sei più consegnato all'oblio.
Riconosco e rendo onore alla tua breve e felice esistenza.
Sono venuto a stare con te. Siamo per sempre legati.
Ti ricordo e fai parte di me.
Tua sorella,
Roberta.

Sapere che ormai Joseph è parte dell'isola è stato abbastanza per Omin. Il fatto di non poter visitare una tomba concreta non l'ha infastidita. Si è semplicemente limitata a raccogliere qualche pigna che ha messo sul comodino di fianco al letto insieme al foglio con la Kaddish.

Quando ho visitato io l'isola c'era un vento pungente e il cielo era attraversato di stormi di oche canadesi. Il traghetto non è partito finché non è arrivato il camion dell'obitorio, che ogni giorno trasporta le bare di pino dagli uffici legali della città fino a Hart Island. Uno dei traghettatori aveva una felpa blu con la scritta: "Hart Island, quando nessuno ti vuole, ci prenderemo cura di te." Il capitano Marc mi ha detto che quelle felpe sono state un'idea sua e di un collega. "A qualcuno non piace," ha detto, "ma la nostra intenzione non è mai stata quella di offendere." E ha aggiunto "Quando sei qui tutto il giorno devi trovare per forza un modo per ridere."

A dicembre l'Unione Americana per le Libertà Civili ha avviato una battaglia legale per portare Hart Island sotto la giurisdizione del Parks Department, favorendo così una maggiore apertura al pubblico. La consigliera Elisabeth Crowley ha preparato un disegno di legge discusso durante un incontro della comunità del Bronx lo scorso mese. Ma per il momento, a eccezione della sua mappatura digitale, l'isola rimane ancora in gran parte inaccessibile.

Quando ho preso il traghetto da Hart Island per tornare indietro, il gazebo mi è sembrato piccolissimo, come se un pezzo di mobilio di una casa per le bambole fosse finito per caso su quel prato. Gli altri 131 ettari di terreno aleggiavano in lontananza, come un miraggio.

*Aggiornamento: Un portavoce del DOC ha fatto pervenire a VICE la seguente dichiarazione: "Il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria gestisce il cimitero cittadino da più di un secolo, e ne fa un compito una grande responsabilità. Negli ultimi anni abbiamo istituito dei giorni di apertura al pubblico, dando così la possibilità a familiari e conoscenti di visitare i loro cari in un luogo apposito all'interno del cimitero. Al momento, il cimitero di Hart Island non dispone delle infrastrutture per accogliere un grande numero di visitatori o per consentire loro di aver pieno accesso alla struttura, ma ci stiamo operando perché in futuro i familiari di chi vi è sepolto possano portare un saluto ai propri cari."

Segui Tess Owen su Twitter: @misstessowen.