FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Com'è essere giovane ad Atene oggi

"Ho lasciato Atene quando avevo 17 anni, per andare a studiare in Inghilterra. Ci sono tornata nel 2009, in piena crisi economica, e queste sono tutte le differenze che ho notato e tutto quello che ho imparato."

Foto di

Dimitris Michalakis

Pavlina ha 33 anni e vive e lavora ad Atene, dove è tornata dopo un periodo all'estero che l'ha portata anche in Italia. Proprio per questo motivo le abbiamo chiesto di raccontarci com'è la sua vita in un momento in cui la Grecia è sulla bocca di tutti. Ci ha parlato dei cambiamenti dovuti alla crisi, delle difficoltà di gestire un'attività propria ad Atene e di cosa si aspetta dal futuro.

Pubblicità

Ho lasciato Atene quando avevo 17 anni, per andare a studiare in Inghilterra. Da lì mi sono trasferita prima a Milano e poi a New York, per lavorare nel mondo della moda. Mi trovavo lì nel 2008, quando è scoppiata la bolla dei mutui subprime ed è iniziata la recessione. È stato allora che ho deciso di tornare in Grecia, perché ero stanca di vivere all'estero. Mi mancava la mia città, mi mancavano la mia famiglia e i miei amici e poi, sai, quando sei a casa tutto ti sembra più facile.

Sono tornata ad Atene nel 2009, dopo nove anni di assenza. Era un periodo deprimente, i negozi chiudevano uno dopo l'altro e bisognava reinventarsi e imparare di nuovo a lavorare in una situazione diversa. Rispetto a prima della crisi, era cambiato tutto, c'è stato un effetto collo di bottiglia. Una volta c'era troppo di tutto: troppi negozi tutti uguali che vendevano tutti le stesse cose, troppi bar, troppi caffè. Adesso molti di quei posti erano scomparsi. C'è stata una selezione naturale, e tutti noi siamo stati costretti ad adattare le nostre vite alla nuova situazione economica, a diventare più flessibili. Per qualcuno, flessibilità ha significato fare rinunce enormi.

Quanto a me, dopo il mio ritorno ho aperto un casa di moda e un negozio a Syntagma, nel centro di Atene. L'ho fatto perché avevo sempre voluto fare qualcosa di mio, ma anche perché non c'erano tante opportunità e il lavoro bisognava un po' inventarselo. Molte persone della mia età hanno fatto un percorso simile al mio. Non è stato facile, anzi è stato durissimo, ma se non altro la crisi ci ha costretti ad arrangiarci e ci ha reso più duri. Questa è la prima cosa che ci ha insegnato.

Pubblicità

Oggi, a distanza di sei anni, mi sembra che le cose non siano cambiate poi così tanto. Forse è solo una mia impressione: dopotutto non conosco tante persone che hanno perso il lavoro, nonostante le statistiche al riguardo siano parecchio pesanti. I miei amici lavorano quasi tutti, anche se alcuni di loro sono tornati a vivere con i genitori. Molti giovani greci hanno fatto questa scelta, perché gli stipendi sono molto bassi e le poche opportunità lavorative che ci sono danno poche garanzie.

Pavlina con il suo cane.

Foto per gentile concessione di Pavlina Papailiopoulou

Ma a parte questo Atene rimane una città molto viva: la gente esce ancora la sera, i giovani hanno ancora voglia di divertirsi. Personalmente, io faccio la stessa vita che facevo prima, la vita che facevo in Italia, in Inghilterra e a New York. La differenza è che oggi in Grecia la gente non compra molto, ma preferisce spendere i suoi soldi per mangiare e bere. Credo che il motivo di questo sia la grande incertezza che c'è oggi nei confronti del futuro e penso che anche questa sia una lezione che abbiamo imparato in questi anni di crisi.

Oltre a questo, certo, ci sono anche delle grosse contraddizioni. Però anche se la povertà è aumentata Atene non è diventata una città più pericolosa, forse perché di pari passo è cresciuta anche la solidarietà tra le persone. Magari ci sono più furti di prima, perché se la gente non ha da mangiare o muore di fame o ruba, ma non si tratta di crimini violenti e si può tranquillamente girare da soli di notte senza avere paura. Allo stesso tempo, sono aumentate le iniziative dal basso e le persone cercano di aiutarsi a vicenda per quanto possono, di mettere le cose in comune. La crisi economica ci ha resi più consapevoli, più capaci di rapportaci agli altri e alla loro sofferenza. Ci ha insegnato a empatizzare di più.

Pubblicità

Oggi ho 33 anni e credo che i ragazzi della mia età in qualche modo ormai ce l'abbiano fatta. Noi abbiamo vissuto la crisi, siamo stati plasmati dalla crisi e abbiamo imparato a viverci dentro. Ci era stato detto che avremmo potuto essere e fare tutto ciò che volevamo, ma poi ci siamo scontrati con una realtà molto diversa, in cui le alternative a nostra disposizione erano molto poche e tutti eravamo costretti lungo gli stessi percorsi predefiniti: tornare a vivere con i genitori, lasciare il paese, inventarsi un lavoro. Tutte queste difficoltà ci hanno fatti crescere in fretta, e abbiamo abbandonato quella visione ingenua della vita che avevamo prima. Per questo dico che quelli più in difficoltà sono i giovani: loro non hanno ancora rinunciato a quelle stesse fantasie che anche noi avevamo. E infatti sono stati soprattutto i giovani che hanno votato "no" al referendum—sono loro a essere i più toccati da questa situazione adesso.

Dal mio punto di vista (ma credo di parlare per tutti i greci) le ultime settimane sono state particolarmente pesanti. Nei giorni che hanno preceduto il referendum si parlava solo di quello che sarebbe successo e ognuno ci teneva a dire la sua. Atene è stata invasa dai giornalisti stranieri, e la stampa era sempre fortemente orientata. Se volevi farti un'opinione su quello che stava succedendo dovevi consultare diverse fonti, perché i giornali e i telegiornali erano tutti schierati dall'una o dall'altra parte. Nessuno è rimasto indifferente insomma, ognuno cercava di convincere gli altri della bontà della sua opinione.

Pubblicità

Manifestazione per il "sì" ad Atene. Foto di

Panagiotis Maidis

In più il fatto di dover scegliere tra "sì" e "no", di avere solo due opzioni, ha fatto nascere contrasti inutili. La verità è che volevamo la stessa cosa: nessuno voleva uscire dall'euro, tutti volevamo soltanto una vita normale e l'unica differenza era che c'era chi aveva ancora da perdere e chi aveva già perso tutto. Personalmente io ho votato "sì" perché dal mio punto di vista il "no" non era un'opzione. Capisco che molte persone siano disperate e non abbiano più niente da perdere, ma non è il mio caso: io di cose da perdere ne ho ancora parecchie, specie se uscissimo davvero dall'euro e dall'Europa. Comunque, col senno di poi, posso dire che anche se avesse vinto il "sì" non sarebbe cambiato niente. La sensazione è che ci abbiano chiesto di decidere su una cosa che non era in nostro potere, che il governo abbia cercato l'appoggio del popolo ma che in realtà nessuno dei due abbia avuto davvero voce in capitolo.

In quei giorni, con i miei amici abbiamo passato ore a commentare e discutere gli ultimi sviluppi. E alla fine ci siamo adattati anche a questa situazione, anche perché non è finita—anzi, semmai è appena iniziata. L'accordo c'è stato, ma il Parlamento deve ancora ratificarlo e le misure devono ancora venire applicate. Intanto abbiamo ancora i controlli al capitale, non possiamo fare pagamenti verso l'estero e le banche sono ancora chiuse. L'altro giorno quando sono andata a prelevare con il limite di 50-60 euro mi sono sentita profondamente a disagio. C'era una telecamera a riprendere la coda agli sportelli e mi veniva voglia di reagire. Perché siamo arrabbiati oltre che spaventati—almeno la maggior parte di noi lo è. È una rabbia che si è accumulata a lungo, e che col referendum ha trovato una specie di valvola di sfogo subito arrestatasi.

Anche io ero stremata: avevo smesso di dormire e non avevo neanche voglia di uscire a divertirmi, perché non ero dell'umore adatto. Ma mi sono ripresa in fretta, e lo stesso hanno fatto quelli che conosco. Perché dopotutto a noi greci piace divertirci e goderci la vita—e questa è un'altra grande verità su noi stessi che abbiamo imparato dalla crisi.