Come fregare la macchina della verità

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Come fregare la macchina della verità

Mentre tornavo dal college la polizia del Texas mi ha fermato e accusato di detenzione di sostanze illecite. È stato allora che per scampare al carcere ho imparato a mentire, con la complicità di mia madre e della scienza.

Ho una storia: di droghe, carcere in Texas, poligrafi, e una madre ebrea. Non ce l'abbiamo tutti? Comincia un mattino terso del maggio 1994, in una piazzola di sosta nel deserto fuori Las Cruces, in New Mexico. Stavo tornando in macchina da Los Angeles dove facevo il college, andavo verso casa di mia madre a Gulfport, in Mississippi. Ero sull'asfalto rovente da prima dell'alba, e con i cartelli lungo la strada che mettevano in guardia dai serpenti e dai prigionieri evasi dal carcere, la piazzola mi era sembrata il posto migliore per pisciare.

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È lì che ho incontrato l'autostoppista.

"Vai verso El Paso?" ha detto. Non lui; era un operatore ecologico con una felpa arancione che cercava di rimediargli un passaggio. L'operatore ecologico ha spiegato che il veicolo dell'uomo, un camionista, si era rotto, e che l'uomo era stato costretto a fare otto chilometri a piedi, fino alla piazzola. Magari mi andava di accompagnarlo alla stazione degli autobus, in città. Era un'ora di viaggio, in tutto. Stavo considerando se chiedere all'operatore ecologico perché giocava al Buon Samaritano, ma il camionista è emerso dal bagno prima che potessi farlo. Era scheletrico e portava jeans acid-wash e una maglietta con la bandiera di Panama. Aveva un tatuaggio azzurrino sull'avambraccio che non riuscivo a decifrare, denti marci e scarponcini da lavoro con la punta di metallo. Stava rollando una sigaretta e mi guardava di sbieco. Qualcosa mi faceva sospettare che non ci fosse nessun camion. Dovevo sembrare fuori luogo in quell'oasi solitaria, forse un buon bersaglio. O forse sembravo solo un'anima buona. Avevo dei calzoncini sporchi e una maglietta dello Steel Wheel Tour dei Rolling Stones. Avevo il pizzetto e anelli a entrambe le orecchie. E sandali tecnici.

"Andiamo," ho detto.

Avevo 21 anni, ero incosciente e senza meta, un laureando in letteratura inglese desideroso di grandi avventure picaresche e nuove esperienze. Il danno alla mia personalità causato dall'esposizione a Camus e Sartre e Dostoevskij e Hunter S.Thompson, per non parlare di Conan il Barbaro e I predatori dell'arca perduta e videogame come Defender, era palpabile. Per me la "vita vera" era un insieme di elementi alla Kerouac, ma non avevo lo slancio necessario per ripetere davvero tutti questi cliché. Ma ero pronto e bendisposto verso qualunque cosa. Per me la risposta era sì, qualunque fosse la domanda.

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Avevo lasciato Los Angeles un paio di giorni prima, dopo l'ultimo esame, coi postumi e in possesso di un gatto grasso grigio-tigrato di nome Gordon. La mia Jeep Grand Wagoneer del 1986, un ingombrante bestione marrone con pannelli decorativi in legno, era incorsa in una serie di piccole disavventure nel mese precedente il viaggio. Una notte un ladro aveva spaccato il finestrino del guidatore e aveva rubato l'autoradio che avevo stupidamente nascosto sotto il sedile invece che portare in casa. Avevo sostituito il vetro solo per svegliarmi un paio di giorni dopo e scoprire che qualcun altro aveva rotto il finestrino fisso anteriore e svuotato il posacenere, in cui avevo lasciato forse tre dollari in monetine. Non l'avevo fatto riparare, più che altro perché mi piaceva l'impressione che dava: io che guidavo con un vetro spaccato e un braccio abbandonato fuori, fendendo l'aria con una certa noncurante negligenza. Pensavo anche che non ci fosse più niente da rubare, ma mi sbagliavo: un'altra mattina al mio risveglio la macchina non c'era più. La polizia l'aveva ritrovata un paio di settimane dopo, ed è proprio in quella Jeep—rubata di fresco, con un vetro spaccato, senza autoradio, con Gordon che miagolava insistentemente dal suo trasportino—che ho fatto rotta a est attraverso le vastità del Deserto di Chihuahua, con l'autostoppista.

L'autostoppista mi ha fatto capire che avrei dovuto stare al gioco e fingere di credere che fosse un camionista, ed è quello che ho fatto. Ha parlato di strade infinite, di città, di donne, del vuoto. Ha menzionato qualche difficoltà che aveva avuto con la crystal meth, pur dicendo che era utile se dovevi cercare di non addormentarti al volante. Ha parlato di un periodo in marina e di uno in prigione e di un figlio che non vedeva da un po'. Continuava a dirmi che gli avevo fatto "un accidenti di favore." Gli ho raccontato le mie storie e me ne sono inventate un paio di migliori.

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Quando alla fine l'ho lasciato a El Paso, ha insistito perché accettassi un compenso per il passaggio. Non mi ha dato soldi, ma per caso aveva dell'eccellente—così ha detto— LSD. Me ne ha dati quattro cartoni come ringraziamento e non avrebbe accettato un no come risposta, ma 20 dollari li avrebbe accettati. L'ho guardato dirigersi dinoccolato verso la stazione degli autobus, perdendosi nella gran folla di drogati e vagabondi che si attardavano fuori. Ho fatto scivolare il pacchettino di stagnola nel portafoglio, sotto la patente, e ho fatto ritorno all'autostrada.

Il giorno dopo, mentre attraversavo Kerrville, in Texas, mi hanno fermato per eccesso di velocità. I poliziotti sembravano stranamente all'erta mentre mi chiedevano i miei dati. È venuto fuori che qualcuno nelle viscere della burocrazia municipale di Los Angeles si era scordato di aggiornare lo stato legale della mia Jeep. L'auto, straripante com'era di tutti i miei incasinati averi e di un gatto mezzo morto di crepacuore, e in quel momento lanciata a buona velocità sulla superstrada, a uno sputo figurato dal Messico, era ancora sulla lista dei veicoli rubati.

Ho cercato di giocar bene le mie carte, perciò non le ho giocate affatto bene. Mi sono impegolato in una spiegazione del furto dell'auto e balbettavo mentre loro passavano in rassegna i miei averi. Mi è sempre piaciuto pensare a me stesso come a uno Steve McQueen in incognito, un giusto e un ribelle, sexy senza esserne cosciente. In verità ero molto più simile a Woody Allen in Io e Annie, uno capace di starnutire nebulizzando un vassoio di cocaina di prima scelta per tutta una stanza. Che è essenzialmente quello che ho fatto dopo: alla richiesta di mostrare patente e libretto di circolazione, ho cominciato a lottare per estrarre la patente dal portafoglio. Era incastrata con qualcosa che non riuscivo a staccare, una cosa con cui avrei dovuto essere cauto. Finalmente l'ho liberata con un ultimo strattone, e facendolo ho letteralmente lanciato l'involto di stagnola contro l'agente, colpendolo al naso.

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Mi hanno ammanettato e piazzato sul sedile davanti di una delle auto della polizia. L'agente che mi ha arrestato era uno di quei rossi di capelli con la faccia da cane bastonato e lentiggini marrone chiaro e l'aria di una persona sempre un po' amareggiata. Guidava con una mano, aggiustandosi il bracciolo ogni tanto. Mentre mi portava in prigione chiacchieravamo, o perlomeno chiacchierava lui, tenendomi una lezioncina sui mali della droga e i benefici del comportarsi bene etc. (Anche il povero Gordon è stato incarcerato, al rifugio locale.) Chi sa cosa aveva in mente. Forse credeva di potermi salvare—un crocifisso d'oro faceva capolino tra i bottoni della sua uniforme—o forse stava solo recitando la parte di uno che salva le persone.

"Cosa credi che sia questa roba, figliolo?" mi ha chiesto l'agente al clou del nostro rapporto pappa e ciccia.

Non è una domanda strana come può sembrare. Avevo analizzato la cosa nella stagnola, e non somigliava all'LSD che avevo visto fino a quel momento. Invece che cartoni, ci avevo trovato piccole scaglie di una sostanza ambrata, viscosa, come dei pezzetti di sapone grandi come un'unghia. Ho fiutato l'opportunità e ho inventato su due piedi una storia che conteneva elementi veri insieme a una bugia specifica. Gli ho descritto la mia avventura con l'autostoppista-camionista, ma invece che ammettere di aver comprato la droga, ho detto che l'uomo aveva cercato di vendermela e che io mi ero rifiutato di accettarla. Allora, l'aveva messa in un pacchetto di sigarette, che aveva poi per errore lasciato in macchina quando l'avevo scaricato a El Paso.

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"Mi ha detto che era LSD," ho detto, ma dato che non l'avevo ancora provato, e non avevo intenzione di farlo, non potevo esserne certo. (Questo era vero—avevo avuto qualche brutta esperienza con gli allucinogeni e avevo in mente di sbarazzarmi delle droga.) "Per quanto ne so, potrebbero essere caramelle."

Il poliziotto ha sorriso col suo sorriso da piedipiatti. "Sappiamo tutti e due che non è vero, giusto?" ha detto.

Ho alzato le spalle.

Dopo una notte insonne in cella segnata dalle urla soffocate di un prigioniero immobilizzato, troppo belligerante per essere detenuto nella cella comune, ho potuto mettermi in contatto con mia madre e il mio patrigno in Mississippi. Mia madre mi ha procurato un avvocato, che a sua volta ha fornito la mia versione dei fatti alle autorità. Ho abbastanza rispetto per l'intelligenza dei membri del sistema giudiziario texano per sospettare che abbiano trovato la mia storia di un autostoppista che "lascia" dell'acido nella mia macchina una stronzata nemmeno troppo originale. 1 Ma ero un ragazzo bianco con un avvocato, ed era più facile per tutti darmi il beneficio del dubbio. L'avvocato ha negoziato il mio rilascio (e quello di Gordon) su cauzione di 25.000 dollari, e sono stato messo in custodia dei miei genitori.

Si è giunti a un accordo; avrei passato l'estate con la mia famiglia, impiegato con profitto nell'officina da meccanico del mio patrigno. Alla fine dell'estate, sarei tornato in Texas e mi sarei sottoposto all'esame del poligrafo. Se il test avesse confermato la mia favola, le accuse a mio carico sarebbero cadute. Altrimenti, dal momento che il possesso di LSD è un reato, avrei potuto scontare fino a due anni in carcere.

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1 Nessuno, ma proprio nessuno, ha mai creduto che l'autostoppista sia effettivamente esistito.

Il mio patrigno aveva un'officina a Gulfport. Randy era un omone con la pelle bruciata dal sole e una faccia aperta e buona, mani callose da lavoratore e avambracci sformati dal girare i bulloni. Aveva incontrato mia madre quando io avevo 11 anni, aveva riparato il suo Maggiolone, le aveva chiesto di uscire finché lei non aveva detto di sì. In breve tempo avevo sviluppato un forte legame con lui. So che rischio di risultare banale, ma lo amavo come un padre. Era stato imbarazzante comunicare a mia madre che ero stato arrestato; ma a dirlo a Randy mi ero vergognato.

In qualità di meccanico più inesperto dell'officina, cambiavo l'olio e aggiustavo i freni, bilanciavo e mettevo in asse le ruote, rimpiazzavo gli accendisigari e le cinture, e facevo il caffè. Gli altri meccanici dell'officina erano afroamericani, e le dinamiche lavorative erano a metà tra un romanzo di Richard Wright e una versione maschilista di The Help. Bill (non è il suo vero nome) era un ministro battista e un veterano dell'esercito, che si era fatto dare un paio di passaggi da Randy e aveva finito per farsi carico del lavoro che noi non riuscivamo a fare. Butch (un altro nome falso non troppo diverso dal suo nome reale) era un ex giocatore di basket a livello semi-professionistico e diacono nella congregazione di Bill. Era un po' zoppo per un vecchio infortunio sul campo da basket e per lo più ramazzava e raccontava storie con un accento nero del Mississippi così impenetrabile che non riuscivo ad averci davvero una conversazione. Il cugino di Billy O.J. (questo è il suo vero soprannome) faceva i lavoretti che rimanevano e le riparazioni più piccole mentre valutava i pro e i contro di un futuro al college o in marina. Una sera dopo il lavoro ho giocato con lui a basket al centro ricreativo. Era più alto e più svelto di me, e faceva battute sui ragazzi bianchi e sui loro tiri in salto e dopo quel giorno non abbiamo più ripetuto la partita.

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Le correnti sommerse di tensione razziale, di classe e tra uomini sarebbero riemerse periodicamente. Bill si sarebbe lamentato che Randy gli dava i lavori più difficili. (Randy lo pagava a lavoro, non a ore; le riparazioni complicate richiedevano più tempo e quindi erano mento fruttuose.) A Bill scocciava, ma gliene veniva anche un certo orgoglio passivo-aggressivo. "Non ti piace più sporcarti le mani, eh, Randall?" ridacchiava. E si assicurava di chiamarmi " Signor Taaaaed" quando mi insegnava i rudimenti della riparazione.

Allo stesso modo, Randy mi provocava un irritante senso di inadeguatezza. Pur cresciuto in Mississippi, non ero mai stato in grado di eguagliare il suo machismo silezioso, la sua forza fisica, la sua presenza grossa e roca. Facevo schifo a calcio, dopo che mi avevano mandato praticamente ko durante una partita. A dare una mano ero un disastro, mandavo a monte qualsiasi riparazione mi passasse tra le mani. Non mi facevo di ecstasy, non sapevo pescare, sugli sci d'acqua non stavo in piedi e perdevo tutte le scazzottate che non ero in grado, nonostante la mia codardia, di evitare. Randy, al contrario, era americano in un modo che mia madre—ebrea figlia della generazione postbellica, nel mezzo tra minoranza modello e privilegio mainstream—adorava ciecamente, invidiava, rispettava, e a cui voleva disperatamente che i suoi figli somigliassero. Per lei, e per estensione per me, Randy rappresentava un ideale di maschio a cui non sarei mai stato in grado di adeguarmi.

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In ogni caso, mi piaceva lavorare all'officina, anche se non ero affatto bravo. Mi piaceva arrivare a casa la sera e lavarmi via il grasso dai capelli, sentire la stanchezza nelle braccia e nelle spalle. A dire il vero, non è preciso dire che mi piaceva. Più che altro mi piaceva dire che lavoravo con le macchine. Mi giuggiolavo con l'idea di continuare col negozio invece che tornare all'università, anche se sapevo che non l'avrei fatto. Altri giorni mi cullavo nell'ipotesi che, se avessi fallito il test del poligrafo in Texas, sarei scappato in Messico, forse, per dedicarmi a una vita avventurosa e dissipata del genere che avevo letto nei miei libri. Oppure avrei confessato tutto alla polizia del Texas e sarei finito in galera. Un paio d'anni mi sembravano una punizione onesta in questo caso; una che almeno mi sarebbe stata utile nella vita.

Non ricordo la conversazione nel corso della quale ho detto a mia madre che avevo mentito alla polizia a Kerrville e che, se mi facevano il test del poligrafo, avrei di sicuro fallito. Era ovvio. Ricordo che mi ha spedito da uno psicologo per determinare se un soggiorno in un qualche rehab avrebbe potuto essere d'aiuto. Il terapeuta mi ha definito un "consumatore di droga" e non un "tossicodipendente," ed è morta lì.

"Non ero preoccupata che fossi un drogato," mi ha detto di recente. "Solo che fossi un completo idiota."

Mia madre aveva lasciato mio padre nel 1976, quando avevo tre anni, e ci eravamo trasferiti in Mississippi circa cinque anni dopo, quando lei era stata assunta all'ospedale locale per stabilire una procedura standard. Ho passato i successivi anni della mia infanzia tra la Costa del Golfo e il Greenwich Village, dove era rimasto mio padre. Ma anche oggi, tre decadi dopo che mia madre si è trasferita a Gulfport, il Sud mantiene una specie di distanza da lei. Ebrea di un metro e cinquanta trapiantata dal Queens, New York, è posseduta da un lampante complesso di Napoleone, un indomito istinto materno e una naturale disposizione al profano—"Non me ne frega un beato cazzo!" è stato il ritornello della mia adolescenza. Non è mai stata incline ad adattarsi alla Bible Belt.

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In Mississippi, una costellazione di personalità un po' sghembe orbitavano intorno a mia madre. Gravitavano intorno alla sua personalità dominante, la aiutavano a risolvere litigi, le offrivano mediazione diplomatica con gli autoctoni, le aggiustavano il computer. Accettavano il suo marito meccanico disorientati, con un'alzata di spalle, e sopportavano i suoi figli scapestrati perché lei non dava loro modo di fare altrimenti.

Questo si è rivelato utile per il piano che mia madre aveva progettato per scagionarmi. Un suo associato, mi ha detto a colazione una mattina, 2 sapeva come battere una macchina della verità. Le aveva spiegato alcune delle tecniche di base, che lei mi ha riportato.3

L'auto-ipnosi sembrava la base. Scegli un punto focale nella stanza e fissalo. Controlla il tuo respiro. Conta da dieci a uno un po' di volte. Usa queste semplici tecniche per entrare in uno stato meditativo e mantenerlo. I poligrafi, mi ha detto mia madre, non sanno distinguere tra vero e falso. Non fanno che registrare l'alterazione dei parametri fisici—aumento del battito cardiaco e della pressione sanguigna, respirazione e temperatura della pelle—che lo stress emotivo della menzogna porta con sé. Controlla la tua risposta fisica e per la macchina stai dicendo la verità.

"Che tu dicessi la verità o meno, dovevi sottoportici," mi ha detto di recente. "Cosa avresti dovuto fare?"

L'associato aveva espresso riserve sul successo del piano. "Non pensava che saresti stato abbastanza bravo," ha detto mia madre. Ma immagino che lei fosse convinta che sarei stato in grado di mentire con un'aria convincente. L'associato ha suggerito che facessi una prova, per capire se possedevo le doti del bugiardo credibile. Conosceva qualcuno in una compagnia di sicurezza, discretamente collocata fuori dallo stato, in Alabama, e mi ha organizzato un test del poligrafo prima che dovessi tornare in Texas. Se tutto fosse andato bene, avrei affrontato quello vero. Se no… be', il piano si fermava all'ipotesi che tutto sarebbe andato bene.

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2 Mia madre, medico, portava a casa i soldi e comunque non faceva mancare a me e Randy una sostanziosa colazione, prima che andassimo a lavorare all'officina.

3 Questo associato era stato d'aiuto nel trovarmi un avvocato in Texas e mi aveva reso lo stesso servizio quasi esattamente un anno prima, quando percorrendo la stessa strada ero stato fermato per eccesso di velocità a Kearney, in Nebraska, ed ero stato arrestato per possesso di due pasticche d'ecstasy. Avevo patteggiato per sospetto possesso di una sostanza illegale, e me l'ero cavata con una piccola multa. Il fatto è scomparso dalla mia fedina penale poiché sono arrivato a 21 anni senza compiere ulteriori crimini nei confronti dello stato del Nebraska.

Il test di prova si è tenuto a Mobile, in Alabama, ai primi di agosto. Randy mi ci ha portato in macchina. Un temporale estivo incombeva, e i nuvoloni torreggianti lanciavano una luce grigiastra su tutto, come scene tagliate di un vecchio film in bianco e nero. La sensazione della distanza, di muoversi in un set cinematografico, mi dava un'idea di calma accogliente, ma cercavo di resistere alla tentazione di scivolarci dentro. Mi sentivo stanco fin nelle ossa, per lo stress del test che incombeva e il lavoro all'officina e forse i nuovi antistaminici che mia madre mi aveva prescritto quella settimana. Mi aveva anche negato il caffè quella mattina, preoccupata che la caffeina avrebbe causato un falso positivo al poligrafo, e continuavo a cadere in un sonno leggero.

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Il sole si è aperto a forza un buco tra le nubi mentre arrivavamo agli uffici della compagnia di sicurezza, e tutto si è fatto nitido. Una scossa di nervi mi è scesa giù per la schiena fino all'inguine, e mi sono chiesto se avrei potuto fare pipì prima del test. Uno specialista con i capelli a spazzola e la faccia imperscrutabile ha aperto la porta d'ingresso e ci ha fatto segno di entrare. Sono uscito dalla macchina e ho respirato con foga l'aria della Costa del Golfo: benzina ed erba tagliata. Randy mi ha dato una gran pacca sulla spalla e me l'ha stritolata.

"Sei pronto?" ha chiesto.

Sono entrato senza rispondere. L'uomo con la zazzera mi ha accompagnato a registrarmi, poi ha detto a Randy che c'era un'area ristoro e ha suggerito che si mettesse comodo. L'abbiamo lasciato nella sala d'attesa e siamo entrati in una stanza sul retro, un gabbiotto vuoto con le pareti coperte da carta da parati, luci a fluorescenza accecanti, e un paio di poster incorniciati rappresentanti le delizie del pescato e della selvaggina dello stato. Il controsoffitto di pannelli insonorizzanti mi rassicurava. Gli angoli e le fughe mi sarebbero serviti da punti focali per auto-ipnotizzarmi. Potevo usarli per controllare la respirazione e ridurre il mio campo visivo.

La macchina della verità troneggiava su un tavolo in compensato al centro della stanza. Era una scatola rettangolare e tozza decorata con manopole vintage da programma-Apollo e interruttori e, a un'estremità, un rotolo di carta quadrettata e tre testine d'inchiostro. Come tutti, ero entrato in contatto con esemplari simili in innumerevoli programmi tv e film. Era così famigliare che faceva quasi ridere.

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Mi sono seduto, e l'uomo ha cominciato a sistemarmi i sensori addosso. Tra questi, un manicotto per misurare la pressione intorno a un braccio, due pneumografi intorno al busto, un galvanometro su un dito per controllare la temperatura corporea. Mi ha descritto le funzioni di ogni singolo sensore, mi ha raccontato un po' delle domande che mi avrebbero fatto, e ha fatto un paio di cenni ai falsi positivi. Ho allontanato da me il pensiero della bugia che era al cuore della mia storia: avevo pagato l'LSD, ma la mia libertà dipendeva dalla credibilità con cui avrei affermato che non l'avevo fatto. Mi ha chiesto se ero pronto, e io ho detto sì. Il nervosismo era calato, rimpiazzato da un leggero formicolio trepidante. Ero ansioso di cominciare.

La prima cosa che mi ha chiesto è stata di mentire. La macchina della verità, a cui l'esaminatore si riferiva come "lei", aveva bisogno di una bugia per stabilire il pattern della mia reazione. Mi ha letto il mio indirizzo e mi ha chiesto se era lì che vivevo. Ho detto di no. Il poligrafo è schizzato sulla carta, ed eravamo partiti.

Un inquietante senso di distacco si è impadronito di me mentre raccontavo la storia dell'autostoppista. Ho fissato il soffitto finché le fughe delle piastrelle hanno cominciato a girare. Il sangue mi ruggiva nelle orecchie. Il mio respiro andava e veniva ritmicamente. Un'ondata di nausea e malessere mi ha investito e se ne è andata, seguita da una leggerezza spossante, una sensazione a metà tra volare in un sogno e l'iperventilazione. Tutto il resto mi dava un senso di calma e serenità. Ho detto all'esaminatore che l'uomo mi aveva offerto dell'LSD e che io l'avevo rifiutato. Che aveva messo gli acidi in un pacchetto di sigarette, l'aveva appoggiato nel posacenere, e si era dimenticato di prenderlo quando l'avevo lasciato a El Paso. La consapevolezza che stavo mentendo non mi ha mai abbandonato. Eppure le bugie sembravano uscirmi con tranquillità, in modo piacevole—erano leggere, in qualche modo, non un fardello.

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"Allora?" mi ha chiesto Randy quando l'ho rivisto nella sala d'attesa.

"Chissà."

Un paio di giorni dopo, mia madre è stata contattata dalla compagnia di sicurezza: avevo passato l'esame.

Nel 1730 Daniel Defoe (a ragione noto piuttosto per Robinson Crusoe) pubblicò un breve trattato intitolato An Effectual Scheme for the Immediate Preventing of Street Robberies and Suppressing All Other Disorders of the Night. "C'è un tremito nel sangue del ladro," scriveva; gli investigatori dovrebbero "prendere il polso [del criminale] e sentirgli il battito, ed è così che lo troveranno colpevole." Centosessantacinque anni dopo, il pioniere della criminologia e fisico italiano Cesare Lombroso modificò un idrosfigmometro—uno strumento per misurare il battito cardiaco attraverso lo spostamento dell'acqua—e lo usò per monitorare i cambiamenti fisiologici nei sospetti sottoposti a interrogatorio criminale. Il 2 febbraio 1935 la prova del poligrafo fu usata per la prima volta in un processo, in un caso di omicidio in Wisconsin. (Quest'anno era l'ottantesimo anniversario del caso.) In quell'occasione fu utilizzata una macchina della verità per stabilire se l'imputato aveva sparato allo sceriffo, a viso scoperto.

L'affidabilità del test del poligrafo, ovviamente, resta fortemente dubbia. Nel 1984 un uomo di nome Gary Ridgway fu interrogato sull'assassinio di una donna e superò il test della verità, un altro uomo invece fallì e venne accusato del fatto, anche se non venne incarcerato. Vent'anni dopo Rigdway ha confessato l'omicidio; nel frattempo aveva ucciso altre sette donne. Nel 1986 a Wichita, in Kansas, Bill Wegerle fu ostracizzato dalla comunità in cui viveva dopo aver fallito per due volte il test del poligrafo a cui era stato sottoposto in seguito all'assassinio di sua moglie. Tempo dopo la prova del DNA scagionò Wegerle e stabilì che l'assassino di sua moglie era stato il serial killer Dennis Rader. Dalla fine della Seconda guerra mondiale almeno sei spie americane risultarono innocenti al test del poligrafo, mentre in verità facevano il doppio gioco. Nel 1998 la Corte suprema stabilì che "non c'è alcuna garanzia che il poligrafo sia affidabile"; e nel 2013 l'Accademia Nazionale delle Scienze ha dichiarato il poligrafo "inaffidabile, non scientifico e parziale." Nonostante questo, circa 70.000 persone che aspirano a lavorare per il governo federale vengono sottoposte alla macchina della verità ogni anno, e l'FBI, la CIA e i dipartimenti di polizia usano il poligrafo per interrogare i sospetti.

Cercare la menzogna e la disonestà in un corpo è un concetto molto strano. C'è una contraddizione alla base stessa del meccanismo del poligrafo: la verità e l'autocontrollo non sono la stessa cosa. Ciononostante l'idea di macchina della verità mantiene una certa credibilità sociale. Il poligrafo non è in grado di riconoscere una persona onesta; ma fallisci e sarai un bugiardo. È un controsenso. Per convincere le persone del fatto che stai dicendo la verità devi sembrare onesto; per farlo devi usare delle strategie; e questo è disonesto, anche se stai dicendo la verità.

Mentre facevo i preparativi per tornare in Texas, il mio avvocato ha chiamato. Il laboratorio della scientifica di Kerr County aveva completato le analisi della sostanza in mio possesso al momento dell'arresto. I risultati erano negativi. L'autostoppista mi aveva ringraziato per il passaggio (e per i miei 20 dollari) fregandomi. L'LSD era innocuo tanto quanto le caramelle che avevo menzionato al poliziotto. Senza droga in mio possesso, non potevo essere incriminato. Non c'era alcun bisogno di ripetere il test del poligrafo. Ero libero di smettere di mentire.

Alla fine dell'estate, sono tornato a Los Angeles. Prima che partissi, mia madre mi ha ricordato di smettere di prendere l'antistaminico che mi aveva prescritto. Non serviva più, mi ha detto. Mi è sembrato di riconoscere una strana nota di autocompiacimento nel modo in cui parlava, come se ci fosse qualcosa che voleva dirmi ma non sapesse se dirmelo era una buona idea. Ho insistito, e alla fine ha parlato.

Come l'LSD del camionista, i miei antistaminici non sembravano proprio antistaminici, perlomeno, non ne avevo mai visti di simili. Erano piccole tavolette effervescenti esagonali, azzurrine e con una I impressa a sbalzo su un lato. La lettera, mi ha detto allora mia madre, stava per Inderal, un farmaco per l'ipertensione che sottobanco viene usato per combattere l'ansia da palcoscenico. Dato che non aveva alcuna fiducia nelle tecniche per fregare il poligrafo del suo nefando associato, mia madre aveva preso in mano la situazione. Mi aveva drogato perché mentissi meglio riguardo alla droga.

Volevo ringraziarla, teneramente, esprimere il mio affetto e rispetto e comprensione. Dirle che capivo che la verità implica l'inganno e che lei l'aveva brandito come un'arma e un'espressione d'amore. Ma non riuscivo a trovare le parole per dirlo, non avevamo un linguaggio comune che ci permettesse di farlo. Sono partito alla volta del college e ho cancellato l'episodio dalla mia memoria.

Una volta ho chiesto a mia madre cosa avrebbe fatto se avessi fallito il test di prova. Mi avrebbe davvero permesso di andare in Texas e tentare quello vero? Forse la strategia migliore sarebbe stata di ritrattare la mia bugia e cercare di arrivare a un accordo con la polizia.

"Non ne ho idea," mi ha detto. "Forse ti avrei trovato un avvocato più bravo."