L'ho fatto di nuovo: sono due mesi che non esco di casa

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L'ho fatto di nuovo: sono due mesi che non esco di casa

Sono quasi due mesi che non esco di casa. Non è una specie di voto sacrificale, non sto cercando di diventare un bonzo, ma ogni tanto mi succede: cerco un isolamento quasi totale, e riduco al minimo ogni interazione con l'ambiente circostante.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Sono quasi due mesi che non esco di casa. Non è una specie di voto sacrificale, non sto cercando di diventare un bonzo, ma ogni tanto mi succede: cerco un isolamento quasi totale, e riduco al minimo ogni interazione reale con l'ambiente circostante al perimetro della mia abitazione.

In generale non sono mai stato un tipo molto mondano: le persone mi stressano abbastanza (e spesso mi annoiano), così come i luoghi affollati e molte delle attività che gli esseri umani associano al divertimento. Le cose che veramente mi interessano—tranne il sesso—vengono molto meglio se si fanno in completa solitudine. Quindi in generale passo molto tempo da solo, ma la mia attuale situazione è un pelo più drastica. Quando mi riferisco al non uscire di casa intendo proprio una segregazione totale: tipo che credo di aver visto al massimo sette esseri umani dal vivo negli ultimi due mesi. Tre dei quali fanno parte della mia famiglia.

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Tirando fuori l'argomento con una persona—chiaramente su internet—questa mi ha dato dell'hikikomori. Ma senza stare a scomodare quanti dall'altro capo del mondo hanno scelto di "ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento," è corretto dire che anche alla base della mia scelta ci sono fattori personali e sociali di varia natura.

Un amico particolarmente testardo mi telefona ogni giorno, cercando di convincermi ad uscire: tenta di farmi sentire in colpa perché sono un rimasto, oppure mi sobilla con ipotetiche possibilità di avere interazioni sessuali con le sue amiche tettone che si sono lasciate dal fidanzato. Adesso la sua strategia è di tipo coercitivo: ieri mi ha detto che ha prenotato il capodanno a Berlino, e che sono obbligato ad andarci perché ormai ha pagato. Non succederà, perché—come mi è già successo altre volte—so che questo isolamento durerà ancora qualche mese. In una specie di calendario ciclotimico ho calcolato che mi auto procuro questa situazione ogni circa quattro anni, spinto da un bisogno fisico e un'intolleranza verso il mondo esterno—cadenzata da attacchi di panico fulminanti e una generale disillusione verso le motivazioni che solitamente mi spingono verso la vita sociale.

La prima volta avevo 19 anni, e per quasi un anno ho passato il mio tempo, insieme alla mia fidanzata dell'epoca, nella dependance della casa di mio padre, a guardare Nip/Tuc e scopare. Alla fine lei, giustamente, mi ha lasciato, e fra pochi giorni si sposa. Da allora sono passati quasi dieci anni, e ormai ho una certa confidenza con questa situazione, tanto che stavolta ho deciso di abbracciarla senza troppa disperazione, perché tanto so che prima o poi mi passa. Ho un lavoro che posso svolgere comodamente da casa, nessuna relazione, e una cerchia di amici—salvo alcune eccezioni—che ormai mi conoscono e che sanno per quale motivo non mi faccio più vivo.

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Il primo effetto dell'isolamento che ho notato, è la scrematura delle cazzate: quando sei in questo ordine di idee tendi a diventare piuttosto minimalista circa le priorità della tua vita. Quando mi succede chiudo ogni tipo di rapporto con le persone che non mi interessano davvero—non voglio sentirle nemmeno via messaggio o su Facebook—perché come per magia mi rendo conto che di loro non mi frega niente. Subito dopo vengono gli impegni personali inutili: tutte quelle attività che ci sforziamo di compiere perché facciamo parte di un corpus sociale che le apprezza. Non mi frega niente di sapere se è uscito l'ennesimo album della Dark Polo Gang, o di vedere l'ultima serie di Sorrentino, per rimanere aggiornato e poter intraprendere delle conversazioni di circostanza. Semplicemente perché non mi interessa niente delle conversazioni di circostanza, e quindi le elimino. Nel setaccio rimangono solo le cose che mi interessano davvero, e che mi procurano piacere.

Nonostante quella dell'hikikomori sia una condizione facilmente associabile con uno stato di abbandono, poi, ho notato che in realtà tendo a stabilire una sorta di routine rassicurante: anche se passo tutto il mio tempo chiuso in casa, e sono libero di fare quello che voglio, come voglio, perché tanto nessuno mi vede, scandisco dei tempi piuttosto netti per le mie attività.

Mi alzo prestissimo ogni mattina, verso le 5 e mezzo, e me ne vado in giro in vestaglia per la dependance: faccio colazione, leggo quello che mi va di leggere degli articoli che sono usciti il giorno prima sulle riviste che seguo, e ascolto la radio. Poi inizio a lavorare. Suddivido i vestiti comodi in cluster: al momento ho cinque diverse tute da casa, più diversi maglioni, che alterno in base a un ordine preciso che sarebbe troppo lungo elencare. In questi periodi, poi, sviluppo un rapporto atavico con i mezzi di intrattenimento: guardo una marea di serie e film, leggo un sacco di libri, ascolto un botto di programmi radio, guardo continuamente interviste a Natalie Portman su YouTube. Mentre lavoro, ma anche mentre mangio o faccio il bagno, guardo film o serie tv, o ascolto la radio.

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Ricordo che durante uno di questi periodi mi ero preso una vera e propria fissazione per Dottor House, e mi ero fatto prestare da mia sorella un lettore dvd portatile in modo da poterlo vedere ovunque andassi. Se seguo più di una serie, le raziono durante il giorno, come una specie di palinsesto, e tengo quelle che ho già visto come rumore di fondo mentre faccio altre cose.

Probabilmente se internet non esistesse, e fossi un mezzadro dell'Agro Pontino durante la Resurrezione, dovrei obbligarmi ad uscire di casa ogni giorno per procurarmi dei tuberi, zappare l'orto per la sussistenza e andare alle funzioni religiose per paura delle ritorsioni del diavolo. Ma fortunatamente internet esiste, e ogni interazione umana è gestibile tramite una connessione wi-fi. Sento le persone che voglio sentire su Skype o Facebook, e per qualche motivo questo mi basta.

Internet, poi, offre tutta una serie di benefit accessori per coloro che non vogliono muoversi da casa: puoi acquistare a domicilio qualsiasi tipo di servizio o bene materiale. Il lato negativo, è che cominci a comprare cose a caso, tanto per riempire il tempo. E soprattutto perché diventa una droga. L'altro giorno, ad esempio, ho ordinato tre scatole di lapis professionali con gommino dalla Germania, perché credevo di averne bisogno. Non ne userò mai più di due.

Questa specie di alienazione da intrattenimento e consumo è allentata solo dai bisogni fisiologici: ovviamente la frustrazione maggiore quando vivi questo tipo di situazione è il sesso. Prima di finire nuovamente nel limbo dell'isolazionismo sentivo una ragazza, ed eravamo già nella fase in cui ci si scambiano le foto dei genitali su Whatsapp, ma poi mi sono reso conto che l'unica cosa che mi interessava era il sesso, e che in quel momento non ero in grado di gestire lo stress del dover passare del tempo con un altro essere umano prima e dopo averlo fatto. Così ho deciso che non ne valeva la pena, e ho smesso di sentirla.

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Quindi guardo un sacco di porno, e non ho problemi a comunicarlo, sempre per quel discorso della limitazione delle cose di cui non mi frega, fra cui rientra l'accettazione sociale. Il che, per uno strano ciclo di Krebs delle compensazioni, aumenta l'alienazione. Un altro aspetto fastidioso, è la gestione delle aspettative delle persone che ti circondano direttamente: come è ovvio che sia, coloro che tengono a voi, in special modo i vostri familiari, tenderanno a essere piuttosto allarmati dal fatto che non uscite più di casa. Perché pensano che siete strani, e hanno ragione.

Per quanto mi riguarda, risolvo la questione isolandomi ancora di più: la dependance è il mio regno, e ho imparato a sopperire ai miei bisogni in modo autonomo, così che nessuno possa mai farmi osservare come questo tipo di vita sia deleterio anche per altre persone. Ho un reddito, mi cucino i pasti da solo, so usare la lavatrice e rifare un letto, non ho bisogno di rassicurazioni affettive. Voglio solo essere lasciato in pace.

Il lato più doloroso sul lungo periodo, invece, è la malinconia. Ecco, diciamo che sul lungo periodo la malinconia ti rende una persona piuttosto sgradevole. Non so se avete mai provato quella sensazione di benessere fisico nell'essere un po' tristi e avere nostalgia del passato o di determinate persone. E quando te ne accorgi sperimenti un altro tipo di tristezza, molto più acuta ed esistenziale. A me ad esempio capita spesso in questi momenti, e mi ritrovo a guardare fuori dalla finestra mentre piove e ad ascoltare Giovanni Lindo Ferretti che canta "Depressione Caspica"in loop.

La situazione che ho descritto e che sto vivendo, insomma, è una lunga e inesorabile ridiscesa verso i desideri infantili più basilari. Essere completamente isolati, intrattenuti, e non aggrediti dalla vita, come avviene soltanto quando sei immerso nel liquido amniotico. Ora come ora, semplicemente, il mondo non è un bel posto in cui trovarsi per troppo tempo.

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