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Demented parla da solo

I film di John Hughes sono ancora la definizione più precisa dell'adolescenza

A trent'anni dall'uscita di Breakfast Club, rivedere l'opera di John Hughes mi ha fatto pensare che, paradossalmente, non c'è un regista in grado di fotografare i ragazzi di oggi meglio di lui.

Illustrazione di Simone Tso.

Ciò che state per leggere nasce da una pura casualità: una sera di gennaio non sappiamo che vedere, e la mia dolce metà mi propone un film anni Ottanta. Io dico "Ma quale film anni Ottanta, siamo nel 2015… almeno un film d'autore, dai!" Poi mi fa, "Guarda che è Breakfast Club": e lì per lì non mi ricordavo precisamente di averlo visto. Cioè, mi ricordavo che i Simple Minds avevano cantato il pezzo forte della soundtrack, quello si ricordano tutti—"Don't you (forget about me)".

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I Minds erano talmente affezionati al pezzo che hanno sempre sabotato la sua uscita in qualsiasi raccolta ufficiale, in qualsiasi disco (era stato scritto da Keith Forsey, il produttore di Billy Idol e covincitore del premio Oscar per "What a Feeling" di Irene Cara, a quattro mani con il chitarrista di Nina Hagen). Insomma gli faceva cagare, anche il film gli faceva schifo, si vergognavano perché per loro era roba per adolescenti sfigati. Eppure la A&M glielo impose. Nonostante ciò è il loro singolo più venduto di sempre—segno che si sbagliavano di grosso e che tutta 'sta merda non c'era. A parte il video del brano il resto mi era quindi sparito dal cervello, ma una volta davanti alla pellicola tutto è stato chiaro.

Uscito nel 1985, lo associo alla nascita di mio fratello. In verità la storia rappresentava meglio il vissuto dei fratelli maggiori che non ho mai avuto, ma valeva anche per me che ero alle elementari. L'idea di un tot di adolescenti chiusi a scuola per punizione, ognuno coi suoi problemi e le sue differenze sociali, che improvvisamente resettano sovrastrutture e antipatie reciproche per trovarsi non solo amici, ma anche di più, non poteva che essere efficace

Nel film ci sono degli stereotipi se vogliamo, ma alla fine si dissolvono—in tutte le scuole c'è lo sportivo pressato per diventare un campione, il nerd, il teppista sottoproletario con la famiglia a pezzi, la dark mezza autistica, la fighetta più ricca della scuola. Volendo è un riassunto di una situazione universale che, con le dovute differenze, c'è anche nel libro Cuore. La cosa che unisce tutti è l'odio per il preside stronzo e corrotto, e soprattutto il proprio fallimento personale, le classiche debolezze da brutto anatroccolo di un'età che trae bellezza proprio dal sentirsi futuro ma con una palla al piede di infinito, un sogno da cui sembra non ci si svegli mai (però anche il cannone che si fanno assieme aiuta).

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Nel film si sente tutto questo, e non è neppure un film ad alto budget. Zero effetti speciali, solo dei bravissimi e giovanissimi interpreti che fanno loro la sceneggiatura (quelli del brat pack, per intenderci) e una colonna sonora divisa perfettamente fra un'elettronica di plastica romantica a cura di Forsey (estremamente attuale viste le nuove derive) e la new wave che raggiunse il mainstream proprio grazie alla propulsione della gioventù ritratta nel film. Ovviamente il mio personaggio preferito è la darkettina scoppiata Allison, una figura che in qualche modo anticipa il caos che porterà al noise e ai suoi giovani adepti.

Ad ogni modo nel giro di un mesetto è uscita la notizia che in occasione del trentennale del film sarà organizzata una proiezione restaurata in varie sale degli Stati Uniti. Questo perché negli anni il film ha mantenuto un culto notevole, considerato giustamente un caposaldo del genere: il film adolescenziale. E pensare che è stato scritto in soli tre giorni.

Nel frattempo sono entrato in fissa con i film adolescenziali del periodo, e ho chiaramente cercato di recuperare quelli, girati e non, scritti dal regista, ovvero John Hughes. Morto nel 2009, costui aveva una visione delle cose davvero singolare: la leggerezza dei suoi film galleggia sopra a un profondo baratro esistenziale che fa da perenne drone, a prescindere dal lieto fine. Opere sempre acute, divertenti, piene di trovate che pattinano sul ghiaccio sottile delle commedie hollywoodiane pur essendo fondamentalmente d'autore.

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Il film che mi ricordavo meglio poiché visto 40 volte nelle tv private e che non sapevo fosse suo, è La donna esplosiva: due ragazzetti moderni non riescono a beccare una fidanzata e se la creano al computer, rendendola viva imitando Frankenstein. E mica esce una tipa qualsiasi, ma Kelly Le Brock ! Ovvero La signora in rosso, altra grande icona sexy del periodo. La nostra eroina digitale inizia i nostri due amici alle gioie della vita adulta, anche se più che altro crea il terreno per una mega festa a casa di uno di loro per fare in modo che—ovviamente da timidi e sfigati—rimorchino. Questo poi comporterà tutta una serie di casini esilaranti che non vi sto a dire, mescolando lo sci-fi alla commedia in maniera molto simile a Ghostbusters (uscito l'anno prima).

La cosa eccezionale è che La donna esplosiva viene generata da un pc in casa, usando dei programmi 3d, con una visionarietà senza eguali visto che all'epoca non esistevano computer di tale potenza anche solo per usare Autocad. Anche oggi è impossibile crearsi una ragazza vera a casa propria, ma credetemi: prima o poi succederà. Ogni film di Hughes ha queste chicche avveniristiche atte a portare il futuro nel presente, che poi spesso è la "morale" dei suoi film. In questo caso i due amici imparano ad accettarsi per quello che sono, acquistano sicurezza, scoprono l'amore e soprattutto riescono a mettersi alle spalle la donna artificiale. Tutta roba che era già in potenza e che viene solamente riconosciuta per quello che è.

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All'epoca il film venne criticato come sessista, ma a me sembra invece che spinga parecchio sull'abbandonare i modelli alla Playboy e tornare al variegato eros della realtà fatto anche di denti imperfetti, brufoli e cellulite. Tra l'altro Kelly le Brock sembra Hegel per quanto è saggia, quindi anche lì l'apparenza inganna. La colonna sonora del film è acutamente trasversale: troviamo gli OMD, i Wall of Vodoo come Kim Wilde, i Lords of the New Church, i Killing Joke e i Taxxi accanto a Van Halen e soprattutto il tema del film con gli Oingo Boingo detti i "Devo coatti", quando ancora il fu premio oscar Danny Elfman ci militava. Strano pensare che in un film del genere ci sia tutta sta roba, ma anche la musica originale è firmata dal produttore Jimmy Iovine e Ira newborn, una compositrice che è passata da Joe Dante a De Palma e che si proietta in atmosfere totalmente elettroniche proto Vesper town. È la stessa di Sixteen Candles aka Un compleanno da ricordare.

Sì, perché nell'84 il primo film da regista di Hughes porta questo nome ed è un altro film scoppiato: la storia di una ragazza che compie 16 anni ma l'intera famiglia se lo dimentica, tutti proiettati sul matrimonio della sorella. Ovviamente ciò porterà a situazioni paradossali (devastanti feste alla Foxes—altro fondamentale film giovanilista degli Ottanta) con scommesse con mutandine rubate, ubriachi, minorenni che perdono la verginità a buffo, intorno al semplicissimo tema del "mi piace uno ma non mi caga".

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La capacità di Hughes è quella di tenerti attaccato al film basandosi sul nulla, ricamando le situazioni come se fossero una storia nella storia, in pratica come vedere un'installazione, un pezzo di vita che va perché deve andare e le motivazioni possono anche non esserci. Chiaramente anche questo film creò controversie: a parte Duk, il personaggio asiatico considerato uno stereotipo ma in realtà il più vincente di tutti tanto da finire sbronzo e nudo su un albero, c'è una scena in cui è incoraggiato e attuato quello che dicesi "date rape", cioè fare sesso con ragazze ubriache che poi non se lo ricordano. Così, una cosa che oggi in un film del genere sarebbe impensabile, Hughes te la piazza hardcore come fosse normale (e la storia ahimè ci dice che è cosa assai diffusa). Illuminata dalla colonna sonora in questo caso mista anche se più tendente al pop (ma ci vediamo in mezzo anche gli Stray cats e i Vapors), in questo film splende la stella di Molly Ringwald, che sarà una delle icone usate da Hughes anche nei film che sceneggerà soltanto, due dei quali diretti dal video maker Howard Deutch (famoso soprattutto perThe Replacements).

Come ad esempio Bella in rosa, che però a mio avviso non raggiunge i picchi sperati nonostante il culto e le ottime performance dei giovani attori. C'è addirittura una somiglianza rovesciata con il film dei Vanzina Amarsi un po', di due anni prima: la storia d'amore tormentata fra Sam, ragazza povera della suburbia, e il riccone. In questo caso costui ha un amico stronzo, snob e doppiogiochista che cerca di soffiargliela; ovviamente l'ambiente upperclass le è ostile. E c'è l'amico di Sam che è praticamente uno stalker tollerato (all'epoca ancora non era illegale tampinare fino all'esaurimento, ma la figura è attualissima) che alla fine si mette da parte per la felicità di lei. Tutto ciò fra negozi di vinili, con poster new wave annessi, ambienti yuppie, balli del liceo e tutto il cocuzzaro che forma il contrasto culturale e politico dell'America giovane dell'86. Interessante è anche lo scambio con la precedente generazione "punk", come quando la sua amica più anziana rievoca il ballo di fine anno: infatti il punto di forza del film non è la storia in sé ma ancora una volta il contorno, gli individui che la vivono.

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Vero è che questo stile sarà ripreso più avanti nelle serie tv stile Dawson's Creek o Una mamma per amica, in quel caso svuotato di gran parte della ciccia new wave che rende i film di Hughes "qualcosa". Anche in questo caso la soundtrack è lo specchio del film mescolando l'alto e il basso, il commerciale con l'alternativo (frullati insieme brani di The Smiths, Belouis Some, Spandau Ballet, New Order e gli Psichedelic Furs, che riarrangiano una loro vecchia canzone dell'81 sulla quale pare davvero costruito il film). E ci sono i soliti cortocircuiti spaziotemporali, come quando in biblioteca la protagonista Sam comincia a chattare con messaggi istantanei dal pc, allegando addirittura immagini: all'epoca era improbabile una tecnologia del genere. Evidentemente Hughes pensava che i suoi film sarebbero dovuti durare nel tempo e parlare anche alle generazioni del futuro, poiché i sentimenti sarebbero stati universali (era ottimista, non ha pensato agli smartphone).

L'altro film da sceneggiatore, Un meraviglioso batticuore del 1987, è una storia in cui forse il taglio è più punk (a questo proposito da ricordare il personaggio di Duncan, vera icona). Watts, la ragazza batterista dei titoli di testa che percuote un rullante con pelle a forma di cuore, è una maschiaccia che scopre di innamorarsi del suo amico pittore, ovviamente incompreso in una famiglia modesta che ne vuole fare un commerciante. Lui si innamora di una ragazza ricca e Watts deve difenderlo dall'ex fidanzato di lei: il futuro è ridotto ad un paio di orecchini. La commedia più sottovalutata fra quelle scritte da Hughes risulta migliore di Bella in rosa, se non altro per il discorso politico/sociale più approfondito, e ha una colonna sonora da urlo firmata da Stephen Hague, ovvero uno dei più grandi produttori di synthpop della terra. Anche qui la festa è vista come spinta propulsiva del cambiamento, dello scontro/incontro di classe e dell'amore. Più che la scuola.

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L'ultimo film da regista di Hughes è però Una pazza giornata di vacanza, del 1986. E si sente l'amarezza per un'età che deve giocoforza finire, o meglio trasformarsi. Il protagonista Ferris, un ragazzo di una famiglia ricca, fa un giorno di sega a scuola: si finge malato, trova tutti i modi divertenti e ingegnosi per non farsi sgamare e parte all'insaputa di tutti con la ragazza e l'amico imbranato, sulla Ferrari del padre di quest'ultimo, verso Chicago. Da qui un interminabile bomba di storie, alla ricerca della pura evasione, della leggerezza tipica dell'edonismo anni Ottanta visto però come implacabile sentore di fine, come liberazione dal male e non come diabolico e superficiale Reaganesimo (che anzi è sbeffeggiato e aggirato con la figura del preside che lo cerca per fargli il culo).

Fine sì, se non altro dell'innocenza, poiché i protagonisti sembrano divertirsi come se fossero (e lo sono) in gabbia. Tant'è che la macchina preziosa del padre già di per sé portata in giro per disubbidienza viene alla fine sfracellata come simbolo di un amore che non c'è. Insomma ok, ci siamo svagati ma da domani saremo yuppies, e il cinismo disincantato è visibile nei commoventi occhi di Ferris che sembrano gli stessi di Hughes conscio che non potrà più girare film sui giovani.

In quella che sembra forse una delle migliori, critiche e paradossalmente "mature" prove, Hughes tira fuori altre trovate futuribili. All'epoca chi avrebbe potuto permettersi un campionatore Emulator per simulare i colpi di tosse al telefono? Nessuno: oggi forse qualche nerd riesce ad avere un Ensoniq in casa a prezzo di un Microkorg, ma all'epoca era assurdo pur avendo i soldi.

Ferris simula una pertosse grazie alla tecnologia Emu

Vedendolo oggi sembra infatti quasi credibile, come credibili sono i finali nonostante spesso prevedibili. Perché in fondo anche un finale prevedibile va sudato, ed è questo che fa grandi i film di Hughes. Il quale, terminata la fase giovanilista, purtroppo è ricordato dal pubblico solo per Mamma ho perso l'aereo e a dire il vero neanche troppo: poiché la sua personalità è diafana, evapora dietro le sue opere lasciando il sale sul fondo della pentola. Come i giovani col mondo adulto: qualcosa da proteggere nella sua amara purezza. All'epoca era l'anti Porky's, oggi della sua opera rimangono citazioni sparse (memorabile quella di Bella in rosa in Grindhouse), ispirazioni, omaggi, revival. Ma c'è paradossalmente un regista in grado di fotografare i ragazzi di oggi meglio di lui? Mentre cerchiamo la risposta speriamo che Violetta prima o poi si metta a fare lo schifo coi cornflakes come Allison. Sennò che cazzo di giovane è?

Segui Demented su Twitter: @Dementedthement