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Demented parla da solo

Prendi a calcio Demented

Un soliloquio sul gioco del calcio.

Illustrazione di Simone Tso.

Ci sono cose che succedono una volta ogni morte di papa. Ultimamente, vedere l’unione sportiva Latina (città alla quale sono praticamente gemellato) salire in serie B è stata una sensazione di quel tipo. Mi ha fatto in un certo senso pensare a quello che è il mio rapporto con una materia spinosa, scomoda, nello stesso tempo terra terra: in questo caso il calcio. Calcio inteso come gioco del pallone, ovvio, non come minerale: un gioco tanto popolare quanto osteggiato da certe frange che si reputano “intellettuali “o “progressiste”, neanche si trattasse dei discutibili giochi di massa che architettava Caligola. Procediamo dunque immediatamente a carpirne il senso, ovviamente in un soliloquio colorato.

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Il mio rapporto col calcio è particolare: non mi porta al fanatismo ma riesce a incuriosirmi e a ipnotizzarmi quanto basta. Da piccolo sfido chiunque a dire di non aver mai toccato palla su marciapiedi polverosi o giardini impraticabili, zozzi di catrame o di sabbie di varia natura. Chiunque ha fatto rotolare una palla tentando di fare gol fra una porta arrangiata con tute e sassi o in mezzo a due alberi. Insomma il calcio è divertente, non ci sono cazzi. Anche la pallavolo è divertente e molto popolare, certo, ci sono duecentomila sport interessanti d’altronde, ma il calcio mantiene un suo fascino intrinseco per il fatto di essere immediato e terreno. Il fatto della palla che rotola fa un po’ pensare al mondo, che finalmente hai ai tuoi piedi mentre ad esempio nella pallavolo rimane dove sta: in cielo. Fare una partita di basket improvvisata a cazzo è tipo impossibile, per farne una di rugby prima ti devi imparare le regole e via dicendo. Il calcio invece disinibisce, ci giochi anche se sei una pippa. Spesso ho assistito con ammirazione agli allenamenti dei giovani del Vis Aurelia calcio: mi piaceva il piglio affamato, quasi rock, del modo in cui i pischelli interpretavano il gioco della palla. Riscatto, tirare su un impero da un’astrazione—perché la palla questo sembra. Non è un caso che i calciatori siano in un certo senso delle rockstar: c’è lo stesso livello di epicità e di rischio, si gioca coi sogni. Chi fa i soldi in quell’ambiente appena sgarra lo silurano, chi non ce li ha e viene dalla merda vuole dimostrare di poter spaccare il mondo: i vari Maradona ne sono il lampante esempio. Il calcio è uno sport antiborghese, anarchico: l’inventiva sui passaggi è pressoché totale nelle partite spontanee, poi quando subentrano gli schemi ci sono comunque allenatori capaci di ingegno tale da rischiare spesso e volentieri la sconfitta in nome di ardite sperimentazioni (vedi Zeman, mio personale mito al punto che per me è l’”allenatore noise" per eccellenza). Certo, queste persone non sono ben accette nel calcio “moderno”, dove conta solo vincere e non giocare. Ma che cazzo, è una partita, mica un film! Ed ecco apparire la magagna all’orizzonte.

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Quando si associa il calcio al marito medio italiano tutto birra rutto e donna vammi a fare un panino, ci si sbaglia di grosso. A parte che oramai lontani sono i tempi de "La partita di Pallone" di Rita Pavone; lì si tratta più che altro di rincoglionimento generale, di gente morta, di un calcio che si fa televisione anziché “teatro” (vedremo poi perché), di assoluta e inconsapevole perdita di sé. Ma la fruizione di questo fenomeno di massa non si limita a quello, a volte il calcio salva la vita: cosa che ho provato sulla mia pelle. Nel lontano 2003 ebbi un momento piuttosto difficile della mia esistenza che mi ridusse a depresso maggiore: il che significa stare il più delle volte costretto a letto in pigiama in preda a una “cupa disperazione cupa” e a una rabbia cieca. Il piacere nel fare le cose? Sparito, era come vivere in una roulette russa. Ma una delle poche cose che mi faceva stare bene era guardare le partite in tv, anche solo per gli highlight. In questi momenti di totale scissione dell’io mi chiedevo: ma come cazzo è possibile che sto attaccato a questo schermo a vedere questi che giocano, io che di calcio non ci capisco praticamente una mazza e l’ho sempre seguito con le pinze (il che vuol dire vedere solo la Roma o al massimo la nazionale con gli amici)? Ebbene, vedere quegli omini fare gol, esultare, correre mi dava una sensazione di libertà, di pace: come se fossi io là sul campo a vincere o a perdere quando il perdere è solamente un gioco. Addirittura mi vedevo anche i dibattiti, cosa per me impensabile prima di allora e anche adesso: lì mi resi conto che nel calcio c’era una cosa che mi era sempre sfuggita, cioè una visione filosofica molto potente. Anche se sei ridotto al grado zero dell’emotività il calcio tira fuori quella parte di spensieratezza, di leggerezza e nello stesso tempo tensione esistenziale fra caso e calcolo, abisso e vetta che in qualche modo è dovuta a questa semplicità di ruoli: portiere da una parte e gente che spinge per segnare dall’altra (come disse Bjork, 11 spermatozoi in cerca di un ovulo). “Una metafora della vita” come diceva Sartre: ecco perché tanti scommettitori, è una ventata di speranza simbolica. Da quel momento non ho più preso sottogamba il fenomeno.

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Anche perché—a proposito di Sartre—il calcio ha più o meno subliminalmente influenzato poeti, musicisti, artisti, scienziati e chi più ne ha più ne metta. Gente che ha applicato gli schemi di gioco alle loro creazioni come fosse un innesto in una pianta di un giardino rigoglioso. Uno dei tanti, Pasolini: citato sempre a cazzo di cane da chiunque, in qualsiasi occasione  da parte combat o da parte cattocomunista, era uno che spingeva come un assassino nei campi di pallone e forse è questo il contesto in cui citarlo davvero in maniera puntuale, in quanto ex ala destra del Casarsa, convinto che il pallone fosse una lingua con le sue poesia e le sue prose: “Ebbene, anche per la lingua del calcio si possono fare distinzioni del genere: anche il calcio possiede dei sottocodici, dal momento in cui, da puramente strumentale, diventa espressivo. Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico." Lo ricordiamo per l’appunto in una partita fra le truope del suo famigerato Salò e quella di Novecento di Bertolucci, dove la squadra di Pasolini perse 13 a 19 a causa delle magliette psichedeliche degli avversari: “maglie viola copiativo con le cifre 900 in giallo verticale, calzettoni a strisce multicolori destinati a sviluppare, per il gioco di gambe, un effetto caleidoscopico (e psichedelico) tale da rendere difficile l'individuazione del pallone ai rivali." Roba serissima.

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In effetti le partite di calcio sembrano dei libri che si scrivono piano piano, come se ci fosse una fitta trama, una storia da inventare e raccontare o semplicemente degli atti performativi che vanno dal portiere del Liverpool che fa le boccacce per sviare il rigorista o l’attaccante che si toglie la maglia o che manda messaggi “punk” con t- shirt appositamente customizzate, fino ai falli che certe volte sono vere e proprie sceneggiate da Actors Studio. Insomma, uno spettacolo totale, completo anche di musica: i cori da stadio, unici e irripetibili momenti di mash up musicale che riescono a far diventare un inno anche una canzone di Pupo .

E poi a livello visivo—come da aneddoto sopra—la meraviglia degli scudetti e delle maglie. Operazioni di grafica nel migliore dei casi di una geniale sintesi cattura neuroni, delle maschere, come indossare la maglia di qualche supereroe. Lo stesso effetto non me lo fanno altri sport: perché il calcio è pop nel vero senso della parola (ovvero un frullato di opposti che si incontrano) e le maglie sono la sintesi di una fede laica. Tanto che rispetto alle altre discipline sportive, in Italia, fino al 1979 era proibito far apparire sponsor sulle maglie da football in quanto agenti deturpanti. Siamo ai livelli della lotta alla simonia.

Tornando all’appeal del calcio sulle varie sfere del sapere, Pasolini era in buona compagnia: Saba—che inizialmente irritato da tale sport dopo una partita rimase invece folgorato dalla forza popolare del fenomeno tanto da scrivere 5 poesie sul gioco del calcio—, Carmelo Bene, grande fan del “calcio totale“ dell’Olanda di Van Basten, suo mito al punto di piangerne il prematuro ritiro, i Pink Floyd, che omaggiano la curva del Liverpool in “Fearless” su Meddle e Bob Marley, morto per una ferita sul campo diventata melanoma… per non parlare di tutta la scena hardcore punk odierna e il noise: brucianti passioni maggiori per serie calcistiche “minori”. La lista è lunga,ma possiamo sintetizzare tutto con i nostri Battisti/Mogol: "e corre sulle spiagge atlantiche seguendo il calcio di un pallone, per finire nel grembo di grosse mamme antiche dalla pelle marrone.” Insomma a meno che tu non sia Beppe Grillo un minimo di curiosità per il football la devi avere. Addirittura i fisici ne sono affascinati, come si puo’ vedere qui.

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Io ad esempio, anche se ci gioco in maniera estemporanea, ne sono catturato come un tonno da una tonnara. Ricordo—fra le altre—una partita di calcetto “noiser“ (che mi vedevano in difesa) contro “indie rocker” di pochi anni fa, finita 11 a 11. La nostra punta principale si era dimenticata di dover giocare, arrivò in ritardo ma in compenso segnò praticamente da sola perché intanto si era “dopata”: ci massacrammo, ma l’acido lattico era per me un premio. Una volta che prendi il via col calcio ne sei risucchiato. Nonostante ciò ricordo una partita vista allo stadio solo in tenerissima età, una partita dell’Italia, penso fosse un’amichevole. Un'altra volta mi presi un’insolazione per essere andato in giro per il quartiere con una bandiera dell’Italia in testa, di materiale sintetico: tifavo sì, ma per la strada. Non sono uno che può parlare quindi di vita in curva, ma nello stesso tempo non mi fermo alle apparenze della comoda—si fa per dire visto che salta una volta si e dieci pure—visione via streaming. Quando vedi una partita tipo Roma-Atalanta, con la neve che non si vede un cazzo (tantomeno il pallone che pure è ARANCIONE), lì senti freddo anche tu, figurati chi ci va davvero. Conosco amici ultrà dai cui racconti si evince che non sono tutti una mandria di coglioni impasticcati: la loro è una lotta per la libertà di giocare ed esultare, punto. Tralasciando tutte le implicazioni politiche fuori e dentro la curva è indubbio che allo stadio c’è un’energia tale che un Wilhelm Reich potrebbe far piovere. Come affermano gli Ultras San Fruttuoso, gruppo ultras sampdoriano, “Siamo cresciuti leggendo I ragazzi della via Pal che non erano né violenti né ultras, ma semplicemente difendevano il loro territorio, il loro campo da gioco, scontrandosi con la banda rivale. Noi non vogliamo né diventare personaggi di un romanzo di culto né ricevere il Nobel per la pace, ma il nostro è un modo di vivere che va compreso.” Certo, ho conosciuto anche degli ex ultras che imbottiti di droghe e quindi insensibili alle mazzate andavano a mani nude contro poliziotti bardati di tutto punto. Anche personaggi della stessa tifoseria che rischiavano di pestarsi fra di loro perché non vedevano bene i vessilli nella nebbia. Ognuno può farsi la sua idea, la cosa certa è che il calcio è uno sport sporco, nel senso buono: contiene tutte le contraddizioni umane e inumane ed è autoalimentato dall’amore per un’aggregazione interclassista che ad occhio e croce è in pratica “tutti contro gli sbirri”: ovviamente senza sfidarli ad una partita di calcio, in quanto perderebbero già prima di giocarla.

Con questo spero si capisca che un’apologia del calcio commerciale non è nelle mie corde: quello moderno è una cosa spesso indegna. Però è brutto sapere che l’associazione mentale calcio-cagata sia così diffusa. Fortunatamente esisteranno sempre baretti, cineforum, associazioni che ti fanno vedere la partita su maxischermo con gente che bestemmia, esulta e dalla serie D si arriva alla A dopo un bucio di culo così. È il mio modo di vivere il calcio.

Il mio sport preferito è però lo squash, confesso. Stai davanti a un muro a tirare una palla, è una roba allucinante, è costoso e non lo potrò mai fare. Secondo me però crollerà tutto il sistema e il futuro sarà il jorkyball, un fatale ibridone fra calcio e squash. Chissà, forse un giorno ne sarò un campione.

Segui Demented su Twitter: @DementedThement

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