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Demented parla da solo

Più che famiglia, un casino

La famiglia è un treno su cui sali con criterio o dal quale vieni arrotato emotivamente senza tanti complimenti. Per chi ne esce intero, però, a volte va anche bene.

Illustrazione di Simone Tso.

Eccoci di ritorno con questa spensierata rubrica che riapre i battenti per il nuovo anno: di giorni però ne sono passati dall’ultimo scritto, avete ragione. I motivi del ritardo sono in un certo senso famigliari, come si scriveva nelle giustificazioni a scuola, e tuttavia molto poco familiari: non mi capita spesso infatti di seguire strascichi burocratici derivati da buffi lasciati da buonanime. Oltre a quello, mi sono ritrovato a dover svuotare la cantina dei miei nonni causa probabile annidamento di topi tradizionali, e nello stesso tempo ho avuto grossi problemi e pubbliche polemiche nei rapporti con noverche e affini. Insomma, una situazione un po’ “arruffata”. Normale quindi che sia scaturita una riflessione sulla famiglia, uno dei motivi ansiogeni che rodono più della metà della popolazione mondiale.

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Mentre stavo lì in cantina a rovistare tra le scartoffie mi rendevo conto di essere di fronte a un museo: nulla riuscivo a buttare, tutto aveva una storia particolarissima. Quella della mia famiglia, ovviamente, ma non solo della mia: cartoline mandate da sconosciuti, lettere di amici, sedie di non si sa quale era, oggetti di ogni tipo intrisi di sentimenti autonomi. Quasi una situazione animista, un’enorme biografia collettiva in cui trovi anche confessioni sorprendenti lasciate in un cassetto, cortocircuiti continui su quello che pensavi fosse la tua famiglia. Diventa un concetto che non ha più il valore che pensavi. Perché è un po’ questo la “famiglia”, un treno su cui sali con criterio o dal quale vieni arrotato emotivamente senza tanti complimenti.

Il problema però è che quando ho mandato la bozza in redazione nessuno ci ha capito una mazza: evidentemente perché è un argomento intricato, un nido di vespe che mi porta a scrivere in modo aleatorio. Proverò quindi a fare dis-ordine nell’osservare l’argomento come qualcosa di mutante, camaleontico, e che tuttavia molti si ostinano a volere immutabile e inattaccabile. Non so se ci riuscirò ma (usando una freddura) se uno riesce poi non si sa se rientra…

La famiglia pare reggere, piace ai giovani e di base piace un po’a tutti, ammettiamolo. Questo perché per molti non c’è stata neanche la possibilità di sputarci sopra in quanto una famiglia non l’hanno mai avuta, segati da separazioni e lutti, messi in giardino tipo i nanetti di Biancaneve o davanti a tv e cellulari come diversivo. Per eccesso di zelo esiste poi una controparte di famiglie onnipresenti, che però—subdolamente—inglobano le personalità fino a stritolarle (ciò che è peggio, a fin di bene) un po’ alla the wall. E alla fine chi subisce famiglie di questo tipo ne desidera un’altra, che sempre famiglia è. Insomma, la famiglia regge per una serie di equivoci.

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Per come la si spaccia, infatti, è un concetto immaginario. È annullare l’individuo in qualcosa di teoricamente più grande, una specie di chiesa gotica con le sue regole che bene o male ti mette soggezione. La “vera” famiglia, al contrario, è quella in cui l’individuo viene prima di tutti: quando si è educati ad essere padre madre e zio di se stessi e non ci sono mura e guglie che tengano. Qualcuno osa anche chiamarla “ricostruita” quando due nuclei familiari diversissimi si incontrano e si fondono. Io la chiamerei più che altro “appiccicata”, perché la famiglia ricostruita sarebbe già semplicemente composta dai tuoi rapporti affettivi con chicchessia. Il più delle volte è un insuccesso se non si ha la volontà di condividere gioie e dolori—fatto che vale anche per la famiglia di “sangue”, che vi credete.

È una questione di famiglia dice Sly, come dargli torto?

Infatti il sangue è una cosa, la famiglia è un’altra, mentre per molti l’essere parenti di qualcuno significa doverlo per forza onorare. Ma quante volte mi è stato sul cazzo un cugino, oppure ho adorato alla follia uno zio che i miei detestavano? Evidentemente la famiglia vera non ha leggi se non quelle dell’attrazione, un qualcosa che ci sostiene ma non fino al punto da essere comoda bambagia. Del resto la storia che la famiglia debba essere necessariamente il gioco di ruolo della “tranquillità”, abitato solo da gente con lo stesso corredo genetico, è una solenne balla probabilmente messa in giro da chi vende cucine, camere da letto e dentifrici. “Una famiglia un dentifricio,” recitava l’antico adagio. Nella realtà è un continuo cambiamento di prospettiva e, appunto, basta un diario segreto scovato in una cantina per fare luce sulla stranezza dei legami. Così magari ti rendi conto che certi comportamenti inspiegabili si basavano sulla confusione mentale dei soggetti che più che stare in famiglia con lo spirito stavano altrove. In quei casi, i legami fuori dalla famiglia nucleare erano così forti da esserne considerati parte integrante.

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La storica corrente psicologica capitanata (per dirne uno) da David Cooper vedeva nella famiglia uno dei cancri della società perché costellata di ipocrisie, sfogo delle frustrazioni dovute alle restrizioni sociali e quindi luogo di violenze più o meno consapevoli. Sì, siamo d’accordo: l’attualità della cronaca nera ci dice che il grande vecchio aveva visto giusto. Ma il limite del suo pensiero forse sta nel dargli tutta questa importanza… per quale motivo? In sé—come detto sopra—la famiglia non esiste: cito testualmente dalla vostra fonte di informazioni preferita, ovvero Wikipedia: la voce famiglia procede dal latino famīlia, "gruppo di servi e schiavi patrimonio del capo della gens." Fico no? Vorremmo forse confessare, dunque, che oggigiorno siamo tutti patrimonio di qualcuno?

Idee semplici sul concetto di famiglia, espresse in maniera chiara e concisa dalle Sister Sledge.

Eh, molti in effetti lo pensano. Pensano che avere una famiglia voglia dire comportarsi da sanguisughe, che tutto si basi sul patrimonio. Fate conto di ritrovarvi con un’eredità di una vecchia parente. Bene, in breve sarete circondati da consanguinei spariti da anni che resuscitano dalle catacombe per cercare di spillarvi quattrini, pronti anche a mangiarsi le briciole che ad ogni modo non gli spettano. Incredibilmente, si tratta di uno schema fisso sempre alla moda che prevede tutta una serie di atteggiamenti studiati, dall’aiuto falsamente disinteressato al ricatto morale. In quel caso è chiara la funzione del concetto di famiglia, cioè il farti sentire in una gabbia di vincoli. Diciamo che la legittimazione te la estorcono: nella mia storia familiare ci sono molti di questi casi, che ti fanno maledire di averne una.

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Potete capire l’accezione negativa che do alla parola famiglia dal fatto che preferisca pronunciarla AILGIMAF, oppure anagrammarla in: FAM.GILIA, ovvero famiglia della pianta rigogliosa che cresce anche nei peggiori deserti (la Gilia, appunto). Fortunatamente ce ne sono di famgilie, zone di confronto fra ere, saperi ed esperienze dove non ha importanza da dove si viene: a mio parere vanno conquistate, costruite e ricostruite, e a volte sembrano morire per poi rinascere. Insomma, non è roba scolpita nel marmo. D’altronde, cari miei, quando si ha a che fare con delle creature (generate o adottate) non si è genitori per dato di fatto, non si capisce al volo come rapportarsi. Magari dovrete imparare, dimenticare e re-imparare tutto fino al giorno della vostra morte. Questo è il fattore fico della famiglia, il suo brivido, tanto che molti lo trovano insostenibile e se ne scappano abbandonando baracca e burattini.

Ognuno di noi è segnato da qualche turba familiare nata da questi equivoci, e sovente ne si è tanto affezionati da non volersela mettere alle spalle. In questo senso è divertente anche notare come stiano riprendendo piede i matrimoni: da una parte è positivo, significa che la gente non dà alcuna importanza alla faccenda. Si può sposare infatti solo chi sa che la cosa in sé non ha nessun valore—si tratta di celebrare una follia, un delirio, un fuori da sé. Non certo il mettere le manette a qualcuno. Da questo punto di vista tutti questi matrimoni e relativi divorzi nel giro di pochi anni sono l’unico possibile attacco alla famiglia nucleare classica, un messaggio molto più dirompente di quello che lancia chi convive ma è forse rassicurato dall’assenza di cerimoniale e di diritti/doveri prestabiliti da poter poi trasgredire. È paradossale, ma d’altronde i riti di passaggio in qualche modo vanno vissuti: c’è chi mangia i cactus allucinogeni e chi si veste di bianco, magari in chiesa nonostante si tratti di bestemmiatori incalliti. È sempre qualcosa di stupefacente.

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La casa è dove è il cuore, di conseguenza anche la famiglia. E Lydon lo sa bene.

Io vengo da un retroterra di famiglia semi “allargata”, in cui convivevano più generazioni. Ricordo come una cosa eccezionale avere a che fare con i bisnonni, i figli degli zii e via dicendo. Una cosa che ti dà sicurezza e in cui il discorso, più che di genere, era di ruolo. In un certo senso è una cosa non molto diversa da quello che accade nella famiglia di topi che passeggia per la mia cantina, una famiglia che ho adottato e in un certo senso ha riportato in primo piano la mia originaria.

So già che vi chiederete: ma Demented con tutta questa filosofia spicciola si farà mai una cazzo di famiglia? Certo. Farò sicuramente molte miglia con chi amo veramente, che siano parenti, amici, amanti o semplici conoscenti di un percorso breve o lungo che sia. Questa è la famiglia per me, la compagnia del percorso. Ovviamente con questa colonna sonora in sottofondo, a scanso equivoci, perché non c’è famiglia senza un gran “casino”.

Segui Demented su Twitter: @DementedThement, e sulla sua rubrica di monologhi, Demented parla da solo.