"Tutte volevamo essere la più malata": la gerarchia dei disordini alimentari
Illustrazione di Laura Callaghan.

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"Tutte volevamo essere la più malata": la gerarchia dei disordini alimentari

Tra chi soffre di disordini alimentari c'è una vera e propria gerarchia, in cui l'anoressia rappresenta un traguardo, la bulimia occupa una posizione intermedia e in fondo alla scala c'è il BED, il distubo da alimentazione incontrollata.

La prima volta che ho dato segni di soffrire di un disordine alimentare avevo 12 anni. Mia madre mi ha affrontata quasi subito, dopo aver trovato del vomito nello scolo della doccia. In famiglia la depressione e i disordini alimentari non erano così rari, per cui le è stato subito chiaro quale fosse il problema. Io invece ero alle medie, e non avevo idea di cosa fosse la bulimia nervosa.

Come la maggior parte dei pazienti bulimici il mio peso era nella norma. I miei genitori sapevano che avevo questo problema ma non riuscivano a capire come aiutarmi, perché appunto non avevo problemi di peso e non ero in pericolo. Dopo sei anni di abitudini alimentari estremamente irregolari, vomito, lassativi e perdita di capelli, mi sono trovata ad avere le palpitazioni e non avere le mestruazioni per mesi. Lo stomaco mi si era gonfiato in modo assurdo, come se stessi aspettando un bambino. Poco prima del mio 18esimo compleanno ho finalmente accettato di farmi ricoverare in una clinica di Leidschendam, in Olanda.

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Mi hanno messa in un gruppo di cure intensive insieme a pazienti anoressici e bulimici. La terapia mi ha aiutata tantissimo, ma appena sono entrata in clinica ho capito che nella mente dei pazienti esisteva una gerarchia molto precisa dei vari disordini mentali. La maggior parte di noi vedeva l'anoressia come lo scopo finale di un percorso, ciò a cui tutti segretamente aspiravamo anche se non tutti avevamo la disciplina necessaria per rimanere a lungo senza mangiare. La bulimia occupava una posizione intermedia. Al gradino più basso c'era il BED, il disturbo da alimentazione incontrollata. Il BED è un disturbo che ti porta a ingurgitare un sacco di cibo senza però poi—ed è questo che lo distingue dalla bulimia—cercare di compensare facendo troppo esercizio fisico, vomitando o digiunando. All'epoca, i pazienti affetti da BED erano una specie di personificazione della mia paura più grande ed erano ciò che non volevo assolutamente diventare.

Ma proprio per via di questa gerarchia precisa che porta ad aver rispetto per alcune patologie e a sdegnarne altre, è una buona idea sottoporre pazienti affetti da diversi disturbi alla stessa terapia? Ero curiosa di scoprire come la pensassero altre persone che avevano fatto esperienza di quelle gerarchie, così ho parlato con cinque donne che sono state in terapia per diversi disturbi dell'alimentazione.

Lucy de Boer ha iniziato a soffrire di anoressia—che più tardi si è trasformata in bulimia, il disturbo dell'alimentazione più comune—quando aveva 19 anni. Mi ha detto che "il concetto di autocontrollo è molto importante per le persone che soffrono di disturbi dell'alimentazione. Io guardavo con disprezzo le persone che avevano BED o bulimia, le consideravo deboli perché si lasciavano andare… ero fiera del fatto di avere sempre il controllo su me stessa."

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Dopo nove mesi, l'anoressia di Lucy si è trasformata in bulimia. "Sono stata messa in un gruppo formato solo da pazienti bulimici. All'epoca pesavo 49 chili. Anche quando avevo la bulimia, però, non mi identificavo come bulimica, perché mi sarebbe sembrato di non avere abbastanza forza di volontà e perseveranza per meritarmi l'anoressia," mi ha spiegato.

Anche Liselotte ha sofferto a lungo di bulimia. Le è stata diagnosticata ufficialmente solo nel 2005, ma ce l'aveva da molto più tempo: è cresciuta tra i disordini alimentari, perché anche sua madre aveva sofferto prima di bulimia e poi di anoressia. "Durante la terapia, per la mia esperienza con mia madre, non guardavo ai pazienti anoressici come modello. Ci facevo caso solo in alcuni momenti, come quando parlavano di cibi ipocalorici. Personalmente, penso che per me non farci caso fosse la cosa migliore." Quale potrebbe essere la soluzione? "Penso che sarebbe meglio se i pazienti anoressici venissero seguiti uno a uno da un terapeuta specializzato, e solo dopo avviati alla terapia di gruppo."

Marianne Army è stata sottoposta a un sacco di terapie diverse. Mi ha spiegato: "Le gerarchie esistevano non solo tra i pazienti, ma anche tra i terapeuti." Mi ha fatto un esempio per farmi capire meglio: "Appena ho iniziato a soffrire di bulimia, una mia professoressa se n'è accorta e ha avvisato i miei. Non molto tempo dopo sono finita in un gruppo di terapia insieme a una ragazza anoressica. L'idea era che ci saremmo dovute dare man forte. Il terapeuta che ci seguiva mi ha detto che questa ragazza 'stava molto peggio' di me. Questo approccio mi ha segnata molto, perché mi ha fatto capire che tra i pazienti esistevano dei livelli."

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Parlando di questi livelli, mi ha detto che "il sentimento predominante all'interno dei gruppi di terapia che ho frequentato era la gelosia. C'era una gara a essere più magri degli altri. C'erano anche tanta ipocrisia e tanta falsa compassione. Alcuni pazienti non facevano mistero del loro disprezzo per chi soffriva di BED. Io non ho mai subito questo genere di discriminazione, ma provavo compassione per loro e ammiravo la perseveranza dei pazienti anoressici."

Maria Dijkstra ha sofferto a lungo di anoressia. "Avevo 13 anni quando sono finita in terapia," mi ha detto, "e lì c'era una competizione durissima, in cui più eri magra più eri rispettata. Io stessa provavo grande ammirazione e rispetto per le ragazze più magre della clinica. E anche se non provavo disprezzo per le persone con la BED o la bulimia, di certo le ammiravo meno."

Maria mi ha parlato della competizione all'interno della clinica. "C'era un sacco di gelosia, tutte volevamo essere la paziente più malata—e quindi la più magra—ma per fortuna sotto sotto quasi tutte volevamo guarire e tornare a vivere. In passato io ero stata molto attiva nei siti pro-ana e pro-mia, che erano delle specie di sette in cui si era tutti gelosi l'una dell'altra." Secondo Mary, mettere in gruppo insieme persone con diversi disordini alimentari non fa che peggiorare la situazione. "Se qualcuno non è motivato a stare meglio, questo ha un impatto negativo anche su tutti gli altri."

Anche Sharon East ha sofferto di anoressia. "Non sono mai stata in buoni rapporti con altre persone che soffrivano del mio stesso disturbo, perché non ho mai partecipato a terapie di gruppo. Ma è vero che l'anoressia è considerata la regina dei disordini alimentari. Avevo un sacco di ammirazione per ragazze che riuscivano a essere più magre di me, ma si trattava sempre di un sentimento complicato perché allo stesso tempo riuscivo a vedere bene la situazione in cui mi trovavo e non ho mai avuto l'illusione di essere più bella da anoressica," mi ha detto. "Forse sembrerà contraddittorio, ma ho sempre avuto ben chiaro che non mi stavo facendo del bene. Solo che non potevo smettere." Anche per lei curare i pazienti che soffrono di disturbi alimentari in terapie di gruppo specifiche per il loro disturbo è il metodo più efficace.

Volevo anche parlare con qualche specialista per farmi spiegare come la questione della gerarchia dei disordini alimentari viene affrontata durante la terapia, ma all'inizio sembrava che nessuno volesse rispondere alle mie domande. Alla fine sono riuscita a mettermi in contatto con una terapeuta—che ha voluto rimanere anonima—che lavora in una clinica di Amsterdam specializzata nel trattamento di anoressia e bulimia. "Di certo una gerarchia esiste. Per esempio, se qualcuno viene ricoverato in ospedale poi quando torna in terapia gli altri lo vedono come un esempio," mi ha detto. "Oppure, quando arriva qualcuno nuovo, c'è molta gelosia nei suoi confronti."

"Come terapeuta, devi riuscire a ricordare a tutti che ognuno è lì per uno scopo e che ognuno è in gara solo con se stesso," ha proseguito. "Quando un paziente smette di fare progressi perché subisce l'influenza negativa di un altro, devi prenderli da parte e parlarci. Eppure, la gelosia e la competizione non sono mai del tutto eliminabili dalla terapia. Molti pazienti sono combattuti: una parte di loro vorrebbe guarire e avere una vita normale, ma un'altra è gelosa del suo disordine alimentare e non ci vuole rinunciare."

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