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Come far fallire un gruppo editoriale e mandare per strada centinaia di giornalisti

Nel 2006 E Polis, tramite le sue edizioni locali, dichiarava una tiratura complessiva di 780.000 copie. Cinque anni dopo il quotidiano è fallito, e il mese scorso sono arrivati gli arresti. Questa è la sua storia.

Ricordo poco degli anni del liceo. Tra le cose che ricordo c'è che mi alzavo ogni mattina alle 6.30 e che alle 7.20 prendevo l'autobus che mi portava a scuola. Nei 40 minuti di viaggio, un po' per ammazzare il tempo un po' per svegliarmi, leggevo un quotidiano gratuito fatto molto bene e dal nome accattivante: E Polis.

Era il dicembre 2006. E Polis––tramite le sue edizioni locali sparse in tutta Italia––dichiarava una tiratura complessiva di 780.000 copie. Nel giro di nemmeno cinque anni sarebbe fallito, in quello che Ciro Pellegrino, che a E Polis ci ha lavorato, ha definito "il fallimento editoriale più grande degli ultimi dieci anni."

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Il mese scorso, nell'ambito delle indagini sul fallimento di Publiepolis––la società controllata da E Polis che si occupava della raccolta pubblicitaria per le testate del gruppo––sono stati arrestati Sara Cipollini, Vincenzo Maria Greco e Alberto Rigotti, membri del CdA di entrambe le società, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. I primi due sono finiti agli arresti domiciliari (poi revocati nel caso di Greco); Rigotti, presidente sia di E Polis che di Publiepolis, è invece finito in carcere. Sarà il processo ad accertare eventuali responsabilità dei dirigenti.

Ma come si è arrivati a questo, e com'è possibile che ci si sia arrivati in così poco tempo?

LA NASCITA

Il nucleo di quello che sarebbe stato E Polis si costituisce nel 2004, con la fondazione de Il Sardegna da parte dell'imprenditore sardo Nicola Grauso.

L'idea di Grauso era quella di entrare nel mercato dei quotidiani gratuiti con un prodotto  di alta qualità e che riuscisse a essere allo stesso tempo sia nazionale che locale:  un free press delle dimensioni di un quotidiano vero e proprio––più corposo, strutturato e attendibile rispetto ai suoi diretti concorrenti–– e articolato in una serie di edizioni locali. Una redazione centrale, a Cagliari, si sarebbe occupata della sezione di cronaca nazionale, comune a tutte le edizioni; le redazioni distaccate di ogni edizione si sarebbero invece occupate della cronaca locale.

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Nel 2005, la tiratura del Sardegna era di 150.000 copie. L'anno seguente vengono aperte altre tredici edizioni locali, tra cui quelle di Venezia, Firenze, Roma e Milano. A questo punto però qualcosa inizia a scricchiolare.

Nonostante avesse una doppia distribuzione––sia gratuita, come free press, che a pagamento, a prezzo ridotto––la sopravvivenza di E Polis era strettamente legata alle entrate pubblicitarie. Della raccolta pubblicitaria per i quotidiani del gruppo si occupava Publikompass. Giudicando la raccolta pubblicitaria insufficiente a garantire la sopravvivenza del giornale, nel 2007 Grauso decide di fare da sé: lascia Publikompass e costituisce Publiepolis, concessionaria di pubblicità interna al gruppo.

Marco Mostallino, che ha lavorato a E Polis fin dalla sua fondazione, mi ha spiegato come questa scelta sia stata "un errore strategico" di Grauso. Il contratto tra E Polis e Publikompass prevedeva il cosiddetto "minimo garantito", una cifra minima che la concessionaria avrebbe versato al gruppo indipendentemente dall'esito della raccolta pubblicitaria; nel caso di Publiepolis, invece, questo "minimo garantito" non c'era––non poteva esserci, dato che Publiepolis era controllata al 100 percento da E Polis.

A seguito del cambiamento di concessionaria, gli introiti pubblicitari crollano. E Polis accumula debiti, tra cui 19 milioni di euro con Umberto Seregni, lo stampatore. Secondo Marco––ma la stessa considerazione si trova anche nella ricostruzione della vicenda fatta dal GIP di Cagliari––anche in questo caso ci sarebbe stato un errore imprenditoriale di fondo di Grauso: "Pagavamo le copie molto care, 18-20 centesimi l'una. Altre tipografie che avevamo contattato ce l'avrebbero fatte pagare meno."

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Nel luglio 2007, il giornale sospende le pubblicazioni. L'editore annuncia che gli stipendi di luglio non verranno pagati––dopo che quelli di giugno erano stati pagati al 75 percento––e "invita" i 130 giornalisti a mettersi in ferie. Sembra la fine della vicenda E Polis, invece è solo l'inizio. Dopo un'estate di trattative, a settembre arriva Alberto Rigotti.

LA GESTIONE RIGOTTI

"Rigotti mi aveva detto di aver acquistato E Polis su consiglio di Dell'Utri––l'amico Marcello, lo chiamava lui," mi ha raccontato Marco Mostallino. E in effetti con l'arrivo di Rigotti, che nel 2008 arriva a controllare il 91 percento di E Polis, "il più grande bibliofilo italiano" farà anche lui un piccolo cameo in questa storia––per qualche mese, a cavallo tra 2008 e 2009, sarà consigliere d'amministrazione del gruppo E Polis, prima di lasciare l'incarico per fondare un altro free press, DNews.

Al suo arrivo, Rigotti promette di risollevare le sorti del giornale tramite nuovi investimenti e innovazioni. Una di queste innovazioni è il ricorso in maniera diffusa al telelavoro: i giornalisti delle edizioni locali di E Polis lavorano da casa, coordinati dalla redazione centrale di Cagliari; in questo modo è possibile smantellare le redazioni locali e abbattere i costi. Per circa un anno le cose sembrano funzionare––nel senso che gli stipendi vengono pagati con regolarità. Ma è solo un'illusione: nel frattempo i debiti non fanno che aumentare.

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Il vero padrone di E Polis, però, non è Rigotti ma Vincenzo Maria Greco, che tramite la sua società Investimenti Editoriali controlla la Valore Editoriale di Rigotti che a sua volta controlla il gruppo E Polis. Greco è legato agli ambienti di Futuro e Libertà e a Italo Bocchino, Rigotti a Forza Italia e a Dell'Utri; secondo Marco Mostallino, il motivo principale del fallimento di E Polis sarebbe proprio questo: la guerra scatenata da questi due gruppi per il controllo del giornale.

"Entrambi i gruppi volevano controllare un giornale per scopi politici, ed entrambi pensavano che E Polis fosse un buon affare," mi ha detto Marco. Cercando di distruggersi l'un l'altro, i due gruppi avrebbero finito per distruggere E Polis.

Francesca Fradelloni, anche lei a E Polis dal 2004, non crede a questa tesi. "Non credo alla tesi dello scontro per il potere tra i due gruppi di investitori. Penso che sia solo un'interpretazione, magari anche legittima, ma non un fatto, " mi ha detto. "Molti dei miei ex colleghi sostengono le motivazioni alla base dell'acquisto di E Polis fossero politiche. Io non credo: se fosse stato davvero così, se a queste persone fosse davvero interessato possedere un giornale, avrebbero dato dei segnali ai giornalisti che ci lavoravano. E invece questo non è mai accaduto. C'è sempre stata grande libertà."

L'unica cosa certa sono i numeri contenuti nei bilanci di E Polis. Nelle carte dell'inchiesta si legge che "i libri contabili erano tenuti in grande disordine ed è stato molto difficile ricostruire la contabilità. Inoltre i bilanci sono stati redatti in modo non veritiero e inattendibile, dal 2007 in avanti. […] È del tutto evidente la finalità di occultamento delle perdite e di sopravalutazione di alcuni crediti da parte della società fallita." Il bilancio 2007 di E Polis riporta un attivo di 22 mila euro, quando avrebbe dovuto riportare una perdita di 31 milioni––questo per far capire quanto erano "non veritieri e inattendibili."

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All'inizio del 2009 cominciano a esserci ritardi nel pagamento degli stipendi, che da agosto in poi non verranno più pagati. I piani di ristrutturazione societaria vengono rigettati e la crisi societaria si aggrava sempre di più. A questo punto il destino di E Polis è segnato, ma questo lo sanno solo i suoi vertici––che iniziano ad arraffare più che possono prima che crolli tutto quanto. Stando alle carte del procedimento, Rigotti si sarebbe comprato una Porsche Cayman con i soldi di Publiepolis; nel frattempo i giornalisti continuano a lavorare senza percepire stipendio e spesso in condizioni estremamente precarie.

"L'ultima estate, nella redazione di Cagliari, il condizionatore era guasto e c'erano 42 gradi," mi ha raccontato Marco. "Ci è capitato di dover chiamare l'ambulanza per soccorrere dei colleghi che si erano sentiti male. Noi facevamo tutto questo perché credevamo in E Polis."

Finché, nel luglio del 2010, il giornale cessa definitivamente le pubblicazioni.

CHE COSA RESTA

Che cosa resta, oggi, del giornale che––probabilmente per via del suo nome grecizzante––spopolava nel liceo classico che frequentavo?

E Polis è stata dichiarata fallita nel gennaio 2011; Publiepolis, sei mesi dopo. I debiti complessivi delle due società ammontavano a circa 130 milioni di euro. Nel 2012 erano arrivati gli avvisi di garanzia per sette componenti del consiglio di amministrazione di E Polis e Publiepolis. Adesso sono state chiuse le inchieste—e sono arrivati gli arresti.

Ho ascoltato le testimonianze di molte persone che hanno lavorato a E Polis, e in tutte ho trovato sì tanta rabbia––rabbia per com'è andata a finire––ma anche tanta nostalgia. Si sente che ci credevano, che erano convinti di star facendo qualcosa di bello. Stavano facendo il giornale che gli piaceva, e per quel motivo hanno fatto grossi sacrifici.

"Siamo grati alla magistratura per questi arresti," mi ha detto Marco commentando la notizia dell'arresto di Rigotti, Cipollini e Greco. Non chiedono di riavere indietro il tempo che hanno speso o i sacrifici che hanno fatto. Chiedono che venga fatta giustizia nei confronti di chi li ha resi vani.

Segui Mattia su Twitter: @mttslv