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Ho camminato cinque ore per Milano vestito da me stesso

Tutti quegli esperimenti video virali sono l'opposto della realtà quotidiana per gran parte della popolazione umana: essere totalmente ignorati, passare del tutto inosservati e non venire cagati di striscio.
Tutte le foto di Stefano Santangelo.

Sono le due di pomeriggio e mi fanno male i piedi. Sto camminando da quattro ore in giro per il centro di Milano, e finora mi hanno rivolto la parola solo alcuni venditori ambulanti, attratti dal mio aspetto rassicurante e dalla mia attitudine normcore. Così facendo, però, sono entrato in un inferno in cui tutti tentano di raggirarmi con il sorriso sulle labbra, e al posto dei soldi ora in tasca ho tutta una serie di volantini promozionali e paccottiglia che non sentivo minimamente il bisogno di possedere.

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Tutto è cominciato dopo aver visto più volte quel genere di video in cui una persona—una ragazza, un ebreo o uomo "vestito da imam", qualunque cosa voglia dire—va in giro per una grande città, ripresa di nascosto, per vedere che tipo di reazioni suscita il suo passaggio.

Quei video girano da vari mesi (il più famoso, quello della ragazza che andava in giro per New York venendo molestata 108 volte in 10 ore, è di ottobre), in varie forme e ambientazioni, e hanno generato un certo dibattito, dando anche vita a un discreto numero di copie e parodie. Anche se si presentano come dei tentativi di mostrare una realtà nel modo più diretto e onesto possibile, sono sempre artificiali e costruiti a tavolino per far passare un determinato messaggio—e del resto è inevitabile che sia così, visto che non durano cinque-otto-dieci ore ciascuno.

Ma soprattutto, nessuno di questi video è veritiero in quanto descrive l'esatto opposto di quella che è la realtà di tutti i giorni per gran parte della popolazione umana: essere totalmente ignorati, passare del tutto inosservati e non essere cagati di striscio. Per questo ho deciso di provare a documentare la giornata di una persona qualsiasi a Milano—la mia, per la precisione. Com'è essere "normale", totalmente nella media e potenzialmente ignorabile da tutti?

Così, giovedì mi sono alzato presto e sono uscito di casa. Per quanto fossi convinto della mia tesi, sentivo che un "esperimento" che mirava a constatare quanto sarei stato ignorato avrebbe potuto avere conseguenze infauste sul mio ego—perché un conto è avere una teoria, tutt'altro testarla nella pratica. Ancora mezzo addormentato sono andato a prendere la metropolitana. Sono arrivato in piazza Duomo alle dieci in punto.

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L'autore prima dell'esperimento, solo.

Stranamente, non c'era tanta gente in giro. Per le prime due ore ho vagato per la zona dell'università, dove i pochi studenti presenti se ne stavano al bar a fare colazione o ripassare. Ho approfittato del fatto che ci fosse poca gente in giro per andare a prelevare, presagendo che l'avere qualche soldo nel portafoglio sarebbe stato un incentivo per le interazioni sociali della giornata—ossia che la maggior parte delle interazioni sarebbe avvenuta con persone che cercavano di vendermi qualcosa. Dopotutto, ero pur sempre in una città che abusa del verbo "fatturare" e che ha dato i natali al Pagante.

E infatti, è andata così. Sono stato fermato da praticamente tutti i venditori ambulanti di fronte all'università, tanto che alla fine ho dovuto cambiare posto—non prima di aver comprato una penna—per evitare che questo articolo si trasformasse in un pezzo sulla riproducilibità del mercato di biro e accendini all'interno della facoltà di Lettere e Filosofia.

Ho camminato ancora un po' per il centro, ritrovandomi alla fine in corso Vittorio Emanuele. Qui ho superato indenne una folla di turisti, mimi, statue viventi, ballerini di break dance—per quanto passassi loro vicino e guardassi nella loro direzione, nessuno mi fermava o mi rivolgeva la parola. A quel punto ero in giro da tre ore e avevo pronunciato non più di 20 parole.

Ma poco dopo la mia solitudine è stata interrotta da un'altra transazione: l'acquisto di una penna-calendario che ho pagato cinque euro perché "non ho il resto, dai, facciamo che va bene così." Questa semplice frase mi ha fatto capire che nella realtà moderna anche la più piccola interazione umana va pagata in contanti, e il suo prezzo minimo è cinque euro—con un piccolo oggetto di dubbia utilità in omaggio.

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Per mettermi a mio agio, o forse per farmi sentire meno stupido e distrarmi dal pensiero di come avevo appena impiegato i miei soldi, il venditore mi ha chiesto di dove fossi e cosa facessi nella vita. Lui era di piazza Prealpi, un posto vicino a casa mia e in cui mi capita spesso di passare. Non conoscevo nessuna delle persone che mi ha citato, ma era così poco convinto che nel salutarmi mi ha detto, "Ci vediamo al mercato di piazza Prealpi, dai, martedì o giovedì."

Solo qualche metro più in là, però, mi aspettava un altro contatto umano, e di conseguenza un altro tentativo di vendita al dettaglio—avendo accettato passivamente l'esistenza di un nesso di causalità tra le due cose non mi restava molto altro da fare. Ho speso gli ultimi spicci che mi rimanevano in una veduta delle piramidi. Mi sono sempre piaciute le piramidi.

A San Babila ho tirato dritto verso via Conservatorio, e poi sono passato di fronte alla Camera del Lavoro e al Tribunale. Qui mi sono attardato a guardare i titoli esposti su una bancarella di libri usati. Mi sono fermato lì qualche minuto, sotto lo sguardo severo del proprietario, ma lui non mi ha rivolto la parola—né per chiedermi se stessi cercando qualcosa di particolare, né per dirmi di non toccare.

Nel frattempo, quando sono arrivato in Duomo, la piazza si era riempita di coriandoli, mamme e bambini travestiti per una qualche festa di Carnevale. Anche se là in mezzo ero l'unica persona vestita normale—quindi paradossalmente l'unica diversa—nessuno mi ha degnato di uno sguardo. C'era anche un operatore televisivo, che ha ripreso e intervistato tutte le persone che mi circondavano. Tutte tranne me.

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L'autore a metà esperimento, ancora solo.

Mi sentivo alienato, e non tanto perché la realtà della vita di tutti i giorni sia alienante di per sé—cosa ormai banale a ripetersi—ma perché stavo realizzando che, prestandoci attenzione, lo diventava ancor di più. Normalmente la mancanza di interazioni con gli sconosciuti è compensata dal nostro relazionarci costante con persone che conosciamo, per cui tendiamo a dimenticare che, se eliminiamo le seconde, non ci resta che l'ostinata impassibilità delle prime.

Da lì, mi sono incamminato lungo via Torino, diretto verso le Colonne e i Navigli. All'inizio di via Torino c'era una certa ressa e più di una volta ho rischiato di andare a sbattere contro qualcuno. Nonostante questo, nemmeno le persone che urtavo e a cui chiedevo scusa mi degnavano di uno sguardo o di una risposta.

Contro ogni pronostico, però, è proprio lì che sono stato avvicinato da persone che non avevano alcuna intenzione di vendermi nulla. Il primo è stato un tipo a caso che, vedendomi fumare, mi ha chiesto da accendere. Una cosa da niente, direte voi—ma dopo una lunga serie di interazioni finalizzate a ottenere i miei soldi, mi è sembrato un semi traguardo.

In Colonne ho incontrato solo qualche punk, delle ragazzine intente a mangiare patatine fritte, e Massimo Cacciari. In corso di Porta Ticinese, l'unico contatto umano che ho avuto è stato con un ragazzo che mi ha allungato un volantino della Tim su una promozione legata all'acquisto di biglietti per l'Expo. Quando poi sono arrivato sui Navigli, non c'era anima viva. Ma del resto non avevo bisogno della presenza di altre persone per capire qual è la vera critica che si può muovere a quei video—più incisiva e radicale rispetto a quella secondo cui sarebbero artificiali, costruiti a tavolino per far passare un certo messaggio.

Andandomene in giro a vuoto per Milano, e prestando un minimo di attenzione, è diventato quasi subito palese quanto fossi invisibile e anonimo. Nonostante siano diventati virali, i video offuscano questa realtà, presentandone una secondo la quale, se ti vesti da chassidico, la tua presenza acquista rilevanza. E non hanno la minima capacità di comunicare quanto fondamentalmente sia una merda essere me. O te. O voi.

Ho percorso la strada a ritroso fino a piazza Duomo, dove ho preso la metro. Nonostante l'esperimento fosse finito, in realtà è come se fosse andato avanti per tutto il viaggio verso casa: non si trattava di qualcosa di particolare, ma di una condizione dell'esperienza umana. Una lezione importante, che penso annoterò alla data di oggi sulla mia nuova penna-calendario.

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