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Un fascista italiano è finito a combattere in Ucraina con i separatisti filorussi

Mentre nell'Ucraina dell’est la guerra continua, in entrambi gli schieramenti si contano "volontari" di varie nazionalità. Dopo l'italiano del Battaglione Azov, ora sembra ce ne sia almeno un altro, ma dalla parte dei separatisti di Donetsk.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Manifestanti filorussi durante la presa di Sloviansk, il 13 aprile 2014. Foto di Frederick Paxton.

Nell’Ucraina dell’est la guerra continua senza esclusione di colpi, nonostante il cessate in fuoco (teoricamente) in vigore da due settimane e le recenti trattative di pace. Sabato 20 settembre, infatti, a Minsk è stata siglata un’intesa che prevede la creazione di una “zona cuscinetto” per le armi pesanti sulla linea del fronte, l’istituzione di una “no fly zone” (ad eccezione degli osservatori Ocse) e il ritiro dei “combattenti stranieri”—un riferimento piuttosto chiaro ai militari russi che, secondo Kiev e l’Occidente, prendono attivamente parte agli scontri.

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I soldati stranieri in Ucraina, tuttavia, non sono solo russi. La presenza di “volontari” di varie nazionalità che combattono da una parte e dall’altra è ormai assodata. Nelle milizie filorusse, ad esempio, si contano francesi, spagnoli e anche americani.

Tra questi “combattenti stranieri” ci sono anche degli italiani. Qualche tempo fa avevo intervistato un “volontario” di estrema destra che combatteva nel Battaglione Azov, una delle più controverse formazioni paramilitari pro-Kiev che recentemente ha ricevuto gli onori militari dal presidente ucraino Petro Poroshenko.

Ora sembra che ci sia almeno un altro italiano che combatte nel Donbass—ma dalla parte dei separatisti di Donetsk.

L’8 settembre Pavel Gubarev, leader dei ribelli nonché “governatore” della Repubblica Popolare di Donetsk, ha postato su Facebook questo status: “Un mese fa un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia. Alla mia domanda su cosa l’abbia spinto a farlo, lui ha risposto così: ‘Loro (i nazisti ucraini) sono filo-americani. Uccidendoli combatto contro gli Stati Uniti.’”

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Pubblicazione di Павел Губарев.

Il “vero fascista italiano,” come ha scritto l’esperto di estrema destra Ugo Maria Tassinari, si chiama Andrea Palmeri ed è un personaggio parecchio noto a Lucca (la sua città) e alle forze dell’ordine. Da sempre nell'orbita dei movimenti neofascisti, lui stesso ha detto di non essere infastidito dall’appellativo “fascista,” “perché valuto il positivo fatto dal fascismo.”

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Il suo nome inizia a comparire a metà degli anni Duemila, quando sulla scena calcistica di Lucca irrompe il gruppo ultras di estrema destra “Bulldog 1998”—uno dei più violenti nella storia recente del tifo organizzato—di cui Palmeri è il “generalissimo.”

Dopo una dura “guerra” con gli altri gruppi di ultras lucchesi, i Bulldog fanno pulizia della “marmaglia rossa” e riescono a impadronirsi della curva. Le violenze e le scorribande degli ultras, tuttavia, esondano fuori dallo stadio piuttosto in fretta. “Il clima in città era assolutamente irrespirabile,” mi racconta un militante della sinistra lucchese che ha vissuto gli anni in cui i Bulldog e Palmeri spadroneggiavano a Lucca. “I giornali dell’epoca parlavano di lotta tra bande, di ‘rossi e neri tutti uguali’, ma in realtà era un massacro.”

I due casi più eclanti riguardano l’aggressione a Edoardo Seghi, che il giorno di ferragosto del 2004 viene brutalmente aggredito nel centro storico, e l’accoltellamento di Emanuele Pardini, inseguito e picchiato da un commando di Bulldog nella notte del 23 febbraio 2007. Da quanto mi dice il militante lucchese, la cittadinanza –  a parte “uno sparuto gruppo di persone politicamente coscienti” – non reagisce minimamente a questa escalation: “Lucca è comunque una città piccolo-borghese, di estrazione cattolica, in cui vige la regola del farsi gli affari propri.”

Le violenze si arresteranno solo mesi dopo, al termine di “mirate indagini” portate avanti da Digos e Ucigos, quando Palmeri e altri nove Bulldog finiscono in carcere con un’accusa decisamente pesante: “associazione per delinquere finalizzata ai reati di violenza privata, percosse, lesioni personali gravi, minacce, danneggiamento e porto ingiustificato di strumenti atti all’offesa.”

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Nel corso delle varie perquisizioni salta fuori di tutto, comprese mazze, coltelli e bandiere con svastiche e celtiche.

A distanza di qualche anno dai primi arresti, i giudici stabiliscono che i Bulldog (nel frattempo discioltisi) “operavano come una struttura verticistica quasi militare e facevano della violenza il loro cavallo di battaglia.” Palmeri, in quanto capo del gruppo, è quello che finora ha preso la pena più alta: cinque anni e sei mesi di reclusione in appello, in attesa del giudizio finale della Cassazione.

Le sue imprese calcistiche non finiscono però qui. A ottobre del 2008, nel corso di una partita a Sofia tra la nazionale e la Bulgaria segnata dagli scontri tra le opposte tifoserie, Palmeri viene immortalato mentre brucia una bandiera bulgara e fa il saluto romano.Due anni dopo viene condannato in primo grado a due anni e due mesi di reclusione per il reato di lancio di oggetti e violazione della legge Mancino. In appello, tuttavia, arriva l’assoluzione per entrambi i capi d’accusa perché “il fatto non costituisce reato.”

Palmeri mentre brucia la bandiera bulgara.

Lontano dagli stadi e dal tifo organizzato, Palmeri continua a farsi notare per aggressioni che puntualmente finiscono nelle aule giudiziarie. Nel 2012, secondo la versione della polizia e dei testimoni, Palmeri colpisce con un tirapugni un giovane fuori da una discoteca in Versilia, mandandolo al pronto soccorso.

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Il 9 marzo 2013, al culmine di una serata ad alto tasso alcolico, Palmeri irrompe in un locale nel centro di Lucca e comincia a puntare Stefano Benassi, colpevole di avere un aspetto troppo “di sinistra.” Secondo il racconto fatto da quest’ultimo, Palmeri prima avrebbe iniziato a gridargli in faccia “viva il Duce!” facendo il saluto romano, poi gli avrebbe puntato un coltello alla gola. Una volta uscito dal locale, Palmeri ha sferrato un pugno a Benassi nell’occhio sinistro, causandogli gravi lesioni e costringendolo a sottoporsi a un intervento chirurgico.

Qualche giorno dopo il pestaggio, Palmeri dirà a Il Tirreno di non avere “alcun ricordo di quella notte” e ammetterà di avere “un grosso problema da risolvere: devo smettere di bere e curarmi seriamente.” Al termine della stessa intervista si dice “quasi certo” di finire in galera—e nel giugno del 2013 ci finisce sul serio.

Dopodiché gli viene notificata la sorveglianza speciale, con cui Palmeri non può allontanarsi dal comune di Lucca senza l’autorizzazione del questore, e a febbraio del 2014 arriva la condanna in primo grado a tre anni e dieci mesi di carcere per il pestaggio di Benassi.

Ma Palmeri, nonostante le buone intenzioni espresse dopo l’aggressione, non l’ha “finita una volta per tutte.”

Nel luglio di quest’anno i quotidiani locali riportano che è scomparso da Lucca “fin dall’inizio di giugno,” violando gli obblighi di sorveglianza. Mentre ci si chiede dove possa essere finito e si vocifera su una sua presenza nell'Europa dell'Est, sul suo profilo Facebook cominciano ad apparire foto del genere.

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A giugno, commentando sulla pagina Facebook dello scrittore Nicolai Lilin, Palmeri articola la sua posizione sulla crisi ucraina.

All’inizio di agosto è lo stesso Palmeri a rivelare di trovarsi nel Donbass per combattere “contro l’imperialismo americano,” chiedendo ad “amici ed amiche” di pregare per lui “perché possiamo rivederci presto e perché la vittoria sia con noi che siamo nel giusto.”

Palmeri riferisce a un sito di essere a Lugansk “a casa di una contadina,” e racconta le condizioni in cui si trova: “Qui non c’è né acqua né luce, non funziona né il telefono né internet, c’è un popolo in rivolta, dai bambini ai vecchi, e stiamo partendo per un combattimento molto duro. L’unica cosa è pregare.”

A ulteriore riprova della sua presenza nel Donbass, qualche giorno fa l’ex capo dei Bulldog ha caricato una foto su Facebook che lo ritrae con un fucile in mano, in compagnia di altri due miliziani armati.

In un’intervista del 2011 Palmeri, alla domanda su “cosa farà da grande”, rispose con queste parole: “Ho tanti progetti, vedremo cosa riuscirò a fare.” Intanto la guerra non accenna a placarsi, e le milizie dall'una e dall'altra parte continuano a riempirsi di "volontari" che arrivano da tutto il mondo.

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