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Ho passato il fine settimana guardando femministe in topless far incazzare i neonazi

Una giornata di addestramento nella sede parigina di Femen.

Inna, fondatrice del gruppo francese di Femen, nel quartier generale di Parigi.

Venerdì scorso ho preso un Eurostar da Londra a Parigi per incontrare il gruppo di femministe Femen. Nata in Ucraina, l’organizzazione ha trovato seguaci in tutto il mondo; la mia idea era quella di documentare l'organizzazione di una delle loro proteste, ma non avevo idea di cosa mi aspettava, almeno finché non sono arrivata al loro quartier generale—un loft sopra il teatro Goutte D’or.

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La zona è a maggioranza musulmana ed è punteggiata da centri culturali islamici, e considerato che le ragazze protestano soprattutto contro il conservatorismo dell’Islam, bisogna avere delle grosse palle (o tette?) per stanziarci la propria base. La loro ultima azione, per esempio, è stato il Topless Jihad Day in solidarietà alla tunisina Amina Tyler.

Quando sono arrivata, le pareti del quartier generale parigino erano ricoperte da striscioni delle manifestazioni precedenti—uno dei quali con la parola “Sextremism” scritta in rosa vivo, che ricopriva un muro intero. Alcune attiviste discutevano su quale fosse lo slogan migliore da scrivere sullo striscione principale, che una ragazza chiamata Oksana stava già decorando con immagini delle attiviste a seno scoperto. Si chiedevano se “Nazi Factions” andasse bene o fosse meglio al singolare. Perché nessuno, nel mondo delle proteste, ti prenderà sul serio se sbagli la grammatica.

Le ragazze di Femen lavorano al loro striscione per la protesta.

A complicare ulteriormente le cose, Inna Shevchenko—una delle Femen della prima ora—protestava perché lo slogan ”Femen Action Against Nazi Factions” non era abbastanza forte. Inna ha fondato il gruppo francese di Femen nel settembre del 2012, dopo aver lasciato l’Ucraina perché, per esprimere solidarietà con le Pussy Riot, aveva tagliato con una motosega un crocifisso altro cinque metri nella piazza principale di Kiev. Il governo russo non deve essere stato troppo felice di assistere a un'azione del genere, dato che le Pussy Riot erano state incarcerate per essersi esibite in una “preghiera punk” in una cattedrale—che è cosa ben più blanda che distruggere un monumento pubblico rappresentante un simbolo religioso.

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Inna era chiaramente la leader, ma spesso un “Mettiamola ai voti!” veniva lanciato e rilanciato nel tentativo di concludere le discussioni. Dopo che varie proposte sono state avanzate e successivamente scartate—se non da Inna, dalle altre ragazze—ci siamo ritrovate in piedi in un imbarazzante e rabbioso silenzio. L’atmosfera era tesa.

Il gruppo non voleva svelare cosa avesse esattamente in programma, nel caso le autorità lo venissero a sapere, e avessero così la possibilità di accerchiarle prima ancora di riuscire a srotolare i cartelloni. Ma, a questo punto, avevo indovinato (non è stato difficile, dopo averle viste litigare sui cartelloni) che l’azione era diretta contro alcuni gruppi di estrema destra che stavano pianificando di radunarsi a Parigi quella stessa domenica.

Margueritte, un membro di Femen, lavora allo striscione.

Inna ha spiegato che l’ultima volta che si erano confrontate con dei neo-nazisti erano state picchiate e lei aveva perso un dente. Per questo round avevano pianificato un approccio diverso, leggermente meno aggressivo—mostrare gli striscioni ai fascisti da una certa distanza. Il piano di Inna e Sarah, un’altra leader delle Femen francesi, era di tenere d’occhio un hotel di lusso vicino alla statua di Giovanna d’Arco in Place des Pyramides, luogo di ritrovo dei gruppi di estrema destra. Arrivati neo-nazisti e giornalisti, avrebbero srotolato i loro enormi striscioni e scandito slogan, con nulla indosso dalla vita in su, a parte corone di fiori.

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Il giorno successivo mi hanno invitata a una delle sessioni di allenamento sextremista settimanale di Femen. Al mio ingresso, le 11 ragazze—molte delle quali indossavano shorts di jeans e maglie di Femen—erano riunite in cerchio e urlavano con foga i loro motti: “Nudità è libertà!”, “’Fanculo la tua chiesa!”, “’Fanculo la vostra morale!”, “Non sono un giocattolo erotico!”, “Omofobi fuori dai piedi!” e “Dov’è Amina? Amina libera!” in supporto alla sorella tunisina.

Membri di Femen si esercitano nelle tecniche di protesta.

Marianne—attivista di Femen tunisina che vive a Parigi—mi ha spiegato che Amina aveva ispirato il loro Topless Jihad Day. Quando le ho chiesto della pagina Facebook “Muslim Women against Femen” nata in risposta alle loro azioni, mi ha assicurato che Femen non è contraria alle donne che indossano il burqa, è contraria alle donne costrette a indossare il burqa. Insistendo sull’oppressione femminile diffusa in Tunisia, Marianne aggiunge che la sua famiglia, musulmana, non sa che è un membro di Femen. Sostiene che la diserederebbero se lo scoprissero.

Poi è stato chiesto a una nuova recluta del gruppo di mostrare cosa aveva imparato durante la sua prima sessione di addestramento. Di fronte a tutte, si è messa in posizione e ha iniziato a urlare gli slogan a pieni polmoni. Inna le ha detto che era andata bene, ma che aveva le braccia un po’ piegate. Poi è passata a illustrarmi gli aspetti tecnici della posa Femen: gambe ben larghe e cartello molto alto, con le braccia tese poco dietro le orecchie. “Non stiamo vendendo yogurt o birra, stiamo rivendicando i nostri corpi. È una nudità aggressiva—siamo pronte all’attacco!”

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Addestramento nel quartier generale Femen.

Essere in grado di togliersi velocemente la maglia prima di mettersi in posizione è un’altra abilità essenziale per ogni membro di Femen. Alcune ragazze tirano fuori le tette talmente velocemente che a malapena si capisce che si stanno svestendo. Dopo essersi esercitate nello spogliarello aggressivo, le ragazze sono passate all’addestramento attivo. Metà interpretava il ruolo delle attiviste Femen, l’altra metà quello di poliziotto o membro della sicurezza, trascinando le compagne per tutta la stanza mentre queste urlavano slogan e cercavano di rendere le loro azioni il più possibile visibili alle telecamere. Inna ha ricordato al gruppo che tutto quello che fanno per protestare è per le telecamere: “L’azione continuerà finché ci saranno telecamere nei paraggi."

“Sento solo rumore—non siete coordinate. Vogliamo che le persone sappiano esattamente perché siamo qui,” ha tuonato Inna commentando il primo tentativo.

Femen che si preparano a essere calpestate.

L’adrenalina era molta e le ragazze erano senza fiato. Poi hanno fatto addominali, sollevamenti e flessioni, il tutto in pieno stile militare. Pauline, attivista Femen francese a tempo pieno, mi ha rivelato che i corpi delle donne sono molto più resistenti al dolore di quando pensereste. “Ci viene insegnato che siamo fragili, ma non lo siamo! Probabilmente resistiamo al dolore più degli uomini. Durante i miei primi sei mesi come Femen sono stata picchiata in varie occasioni e sono sorpresa da quanta violenza posso sopportare, per poi rialzarmi e continuare a protestare.”

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Al mio commento sull'aspetto gradevole (in particolare per quanto riguarda il seno) di praticamente tutte le attiviste, Inna mi ha assicurato che non fanno alcun casting, poi è arrossita e ha ammesso di non andare pazza per il suo décolleté.

Quando le novelle attiviste se ne sono andate, Inna, Pauline, Sarah, Oksana e un altro membro centrale, Margueritte, hanno dato il tocco finale ai loro cartelloni, che ora portavano lo slogan: “SEXTERMINATION FOR NAZISM". Una volta asciutto, lo hanno ripiegato dentro a una valigia. Inna e Sarah, agghindatesi per il check-in nell’hotel di lusso, hanno preso la valigia e sono saltate su un taxi, pronte all’azione.

Fascisti francesi si riuniscono a Place de la Madeleine.

Il giorno seguente mi sono diretta al luogo di incontro degli ultra nazionalisti a Place de la Madeleine. L’esercito di teppisti in giubbotto nero agitava bandiere e reggeva cartelloni, in fila dietro a un furgone con musica classica ad alto volume simile a quella della scena dell’attacco aereo di Apocalypse Now, ma più fascista. Nell’esatto momento in cui abbiamo tirato fuori la nostra telecamera, il PR del noto gruppo neo-nazista francese Troisième Voie si è avvicinato a noi e ci ha informato su cosa potevamo e non potevamo riprendere.

Poi ci è stato presentato il leader del gruppo, Serge Ayoub—un robusto uomo di mezza età che indossava una giacca, aveva la testa rasata e il naso storto. Serge ci ha spiegato che si erano riuniti per la celebrazione annuale di Giovanna d’Arco, che aveva sbattuto gli inglesi fuori dalla Francia, ma anche per protestare contro la globalizzazione, “che sta distruggendo la nostra economia e identità nazionale." Dopo circa un’ora, il gruppo ha iniziato a marciare in direzione della statua di Giovanna d’Arco, dove Inna, Sarah e le altre Femen li stavano aspettando, armate di cartelloni.

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Lo striscione Femen fa innervosire la distesa di fascisti.

Le Femen erano riuscite ad avere una stanza al terzo piano dell'Hotel Regina, situato in posizione strategica dietro alla statua di Giovanna D'Arco. A mezzogiorno circa, quando le fazioni più violente degli ultra nazionalisti sono arrivate alla statua, Inna, Sarah, Pauline e Oksana sono uscite sul balcone, a seno scoperto e con le loro corone di fiori, e hanno srotolato lo striscione in faccia ai neo-nazi. Ovviamente i fascisti hanno tentato di attaccare l'albergo, ma sono stati respinti dalla polizia in tenuta antisommossa.

Dato che non potevano mettere le mani sulle ragazze, hanno ripiegato su saluti a braccio teso e diti medi urlando "Salopes!" [puttane], "Suicide toi!" [ammazzati] e una serie di altre cose poco amichevoli. Le ragazze rispondevano mandando baci ai fascisti infuriati, mantenendo salda la loro posizione—mento in su e le braccia tese a reggere fumogeni. Un piccolo gruppo di ragazze della marcia si sono riunite sotto il balcone delle Femen, urlando, "Vi aspettiamo!"

Dopo qualche palleggiamento tra i due gruppi, una camionetta dei vigili del fuoco ha evacuato le attiviste Femen tramite una lunga scala a pioli. Le ragazze sono scese, fermandosi ogni tanto per salutare con orgoglio la folla che le fischiava. Le Femen sono state scortate via dalla polizia prima che Serge Ayoub facesse un discorso in cui le accusava di essere al soldo del governo. Secondo lui, il mostrare il seno era una cospirazione volta a disturbare le proteste nazionaliste. Agli occhi delle ragazze di Femen, invece, l'azione è stata un successo.

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Prima di incontrarle ero un po' titubante sul loro operato. La strategia che hanno adottato è indubbiamente in grado di attirare l'attenzione, ma è possibile che la gente sia troppo distratta dai loro capezzoli perché il messaggio riesca a farsi strada? Che la si veda in un modo o nell'altro, le proteste in topless al grido di non violenza sono addirittura valse al gruppo il titolo di "nuovo volto del femminismo", accolto non troppo positivamente dalle numerose femministe convinte che mostrare le tette non sia esattamente compatibile col manifestare contro prostituzione e oppressione.

Fasciste arrabbiate urlano contro le Femen. 

Il dilemma esiste, ma Inna assicura che è tutto voluto. Del resto, molti saranno arrivati su questa pagina proprio per via dell'immagine o la parola topless nel titolo. Forse Inna ha ragione, e il marchio associato a nudità femminile e sessualità ha ostacolato fin troppe donne, mercificate o timorose di andare incontro a quel destino. In tutto ciò, non cessa di stupirmi il clamore che si solleva ogni volta per qualche capezzolo. Per ora le Femen non fanno male a nessuno e hanno trovato una forma di protesta non violenta capace di farsi notare—perché non dovrebbero poter girare in topless con ghirlande di fiori tra i capelli?

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