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La manifestazione "spontanea" a Battistini si è trasformata in un raduno di neofascisti

Siamo stati alla manifestazione per commemorare le vittime dell'incidente di martedì sera a Roma. Doveva essere un evento spontaneo, ma la presenza dell'estrema destra romana ha cambiato le cose.

Tutte le foto sono di D.O.O.R.

La prima cosa che vedo quando esco dalla stazione metro Battistini, nel quartiere Boccea di Roma, sono le telecamere e i giornalisti intenti a fermare passanti, raccogliere dichiarazioni e fare stand-up davanti alle scale della stazione. Una troupe ferma anche me, chiedendomi se mi sento sicura nel quartiere e se ho "paura dei rom." Sono circa le 11 di mercoledì mattina, e la situazione sembra andare avanti già da diverse ore. "Tutta sta gente qua nun l'ho vista mai," mi confermeranno più tardi alcuni residenti.

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La curiosità della stampa deriva da un pesante fatto di cronaca successo intorno alle 20 del giorno prima. Proprio all'incrocio dove c'è la stazione, tra via Battistini e via Monti di Primavalle, martedì sera un'auto con a bordo tre ragazzi rom non si è fermata a un posto di blocco della polizia travolgendo almeno nove persone. Corazon Perez Abordo, una donna filippina di 44 anni, è morta sul colpo. Mezz'ora dopo l'impatto la polizia ha fermato una diciassettenne che si trovava all'interno della macchina. Gli altri due ragazzi—a quanto pare anche loro minorenni—sono ancora ricercati.

Il tragico episodio ha scatenato commento politici di ogni genere. Il tema di fondo, però, non è stata la sicurezza della circolazione o l'omicidio stradale, ma il fatto che i tre a bordo dell'auto fossero rom. Questa circostanza ha scatenato le solite reazioni misurate.

Decido di andare al bar a prendere un caffè per farmi un'idea dell'aria che tira nel quartiere. In realtà un assaggio del clima l'ho avuto già uscendo dalla metro, quando sul muro ho notato questi adesivi.

#battistini, il giorno dopo. Un font a caso. pic.twitter.com/oiCqpbzJQR
— Claudia Torrisi (@clatorrisi) May 28, 2015

Origliando i discorsi dei residenti mi rendo conto che non si parla d'altro che dell'episodio degli "zingari". Due signore discutono animatamente del fatto che "questi qui bisogna mandarli tutti al paese loro, sono degli strafottenti e sempre ubriachi." Anche l'edicolante è d'accordo, mi dice che il clima è "infervorato" e a sostegno della sua tesi fa notare che "oggi di rom non se ne vedono in giro, c'hanno giustamente paura." E probabilmente non a torto, visto che anche la polizia ha deciso di rafforzare la vigilanza per evitare possibili ritorsioni.

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Torno verso la fermata della metro, dove vengo avvicinata da Christian, un omone in maglia nera e anfibi che ci tiene a dirmi che lui è di Tor Sapienza e capisce benissimo l'esasperazione, perché "a Roma tra zingari e immigrati non si può più vivere. Sono più di noi, ti rendi conto? Che dovemo fa, se ne annamo noi?"

L'uomo ritratto nella foto non è stato intervistato.

Poco più in là incontro Michela, la sorella di una delle prime persone che martedì sera hanno prestato soccorso alle vittime dell'impatto. "Io te dico solo una cosa. Io non sono razzista, c'ho anche amici stranieri in comitiva, ma ho sempre avuto quest'idea: gli zingari sono la peggio razza."

Verso la fine della mattinata esce la notizia che nel tardo pomeriggio si terrà una "fiaccolata spontanea" nel quartiere. In realtà, lo apprendo da Marco Visconti, presidente di Movimento Capitale, che dopo aver messo dei fiori al semaforo del luogo dell'impatto—con il messaggio "Caro Marino i tuoi cari amici zingari portali a casa tua"—ha passato lì il resto della mattinata. Visconti mi dice che l'evento sarà alle 18.30, e sarà "senza simboli di partito, per la cittadinanza." Poi aggiunge di essere "da sempre impegnato in questa battaglia contro i rom," tanto da essersi preso negli ultimi mesi tre denunce dall'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar). "Ma, credimi, non sono razzista," ci tiene a precisare.

Man mano che passa il tempo, però, la fiaccolata diventa un po' meno "spontanea." Noi con Salvini del Municipio XIII annuncia che alle 18.30 "ci sarà un presidio per cordoglio alla vittima e vicinanza ai feriti che ieri sono stati travolti da tre rom." All'iniziativa dichiarano di aderire anche Fratelli d'Italia, Sovranità e Prima l'Italia. La manifestazione, insomma, sembra prendere un'altra piega. Il presidente del comitato di quartiere Aurelio-Boccea, tra i promotori dell'evento, rassicura che "è un'iniziativa nata spontaneamente" per "stare vicino alle vittime di un'assurdità che poteva essere evitata."

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Intorno alle sei e mezza lo spazio antistante alla fermata della metropolitana inizia a riempirsi di bandiere tricolori e volantini con varie scritte. I più diffusi sono "Adesso ditelo alle famiglie che state lavorando per l'integrazione" e "+ romani, - rom." Inizialmente la folla è un po' smarrita, i (pochi) residenti non organizzati non sembrano sapere bene cosa fare. Anche perché, nonostante debba essere una fiaccolata, in giro non c'è l'ombra di una candela.

La situazione si sblocca quando una donna urla "Riprendiamoci Roma, Roma è nostra, fuori gli zingari," affermazione cui segue un lungo applauso e qualche coro. Mentre iniziano a comparire striscioni contro il sindaco—"Basta violenze rom, Marino vattene"—mi faccio un giro nell'angusto spazio riservato all'iniziativa. Per il momento la strada non è chiusa, e i manifestanti sono tutti stipati tra il marciapiede e l'inizio delle scale della metro.

Al centro c'è un banchetto allestito da Fratelli d'Italia dov'è possibile firmare una delibera di iniziativa popolare "per chiedere lo smantellamento dei campi rom." Dal muro che circonda la stazione, intanto, viene fatto srotolare lo striscione di CasaPound che recita "Alcuni italiani non si arrendono."

Poco dopo uno degli organizzatori della manifestazione prende il megafono e spiega agli astanti di essere qui "a ricordare una donna che è morta falciata dai rom, stiamo mettendo una corona di fiori. Ma noi oggi chiediamo giustizia, qui non sta speculando nessuno. Siamo comitati di quartiere, comitati di quartiere di destra. Io sono qui come cittadino. Sono di CasaPound, ma che c'entra?"

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Sebbene il presidio—che non diventerà mai una fiaccolata—sia stato formalmente indetto per esprimere solidarietà alle vittime dello scontro di martedì sera e alle loro famiglie, questa sarà una delle due o tre volte in cui sentirò parlare della vittima.

Man mano che i presenti in piazza giustificano il loro essere, sì, magari di destra, ma lì come semplici cittadini, il clima sembra precipitare: i discorsi si fanno sempre meno velatamente violenti e la gente inizia a salutarsi tranquillamente con la presa idraulica.

Il megafono passa al comitato Fenix 13, nato "con l'intento di difendere il TERRITORIO del Municipio 13 e i CITTADINI ITALIANI che vi risiedono." A parlare a nome di questo comitato è Simone Montagna, uno che sul suo profilo mette "Lavora presso CasaPound Italia" e come immagine ha una foto in cui indossa una maglietta di CPI.

In sottofondo, intanto, si sentono cori da stadio come questi: "Noi i rom non li vogliamo," "Diamo fuoco ai campi rom" e "daje foco!" A questo punto la situazione si fa paradossale.

Mentre si continua con altri interventi sulla stessa linea, seguiti da reazioni sempre più scomposte—"Le case ai rom gliele facciamo direttamente al Verano!"—dall'altro lato della strada, davanti al semaforo dove è sbalzato il corpo senza vita della vittima dello scontro, la comunità filippina, i parenti della donna, alcune suore e alcuni residenti del quartiere si sono riuniti in una veglia di preghiera recitando il rosario e deponendo una candela e dei fiori.

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Poco dopo si stringono attorno al semaforo e iniziano a piangere. Durante questo momento, un familiare della vittima ha un malore e sviene. Gli astanti chiedono aiuto, vogliono dell'acqua o che qualcuno chiami un'ambulanza.

Nel marciapiede di fronte, intanto, si canta l'inno di Mameli, con qualche piccola variazione: "Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò. DUCE! DUCE!"

Finita l'esibizione, la piazza decide di dedicare dieci minuti ai parenti della donna morta e, dietro lo striscione di solidarietà "Alcuni italiani non si arrendono," si avvicina al semaforo per mettere dei fiori.

Nel frattempo l'incrocio con via dei Monti di Primavalle viene chiuso al traffico da alcune camionette di polizia e carabinieri. I manifestanti inizialmente non capiscono cosa stia succedendo e nella piazza inizia a serpeggiare eccitazione: "Ma chi arriva? Arrivano dai campi rom!"; "Vengono dai centri sociali!"

E invece no, si tratta di altri "cittadini esasperati"—ossia una cinquantina di camerati di "Nessuno tocchi il mio popolo," sigla di nuova formazione che raggruppa militanti di Forza Nuova e del Movimento Sociale Europeo. Arrivano con due fumogeni accesi, cantano a ripetizione "Contro il sistema la gioventù si scaglia / Boia chi molla è il grido di battaglia" e recitano ossessivamente lo slogan "Renzi, Salvini, fateci pompini."

Che tra le due fazioni non corra buon sangue lo dimostra anche quello che è successo a La Storta e Casale San Nicosia, due zone dell'estrema periferia nord di Roma dove da qualche settimana ci sono proteste per la possibile apertura di un centro d'accoglienza per rifugiati.

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In un primo momento, infatti, il presidio dei residenti era stato affiancato e sostenuto dai militanti di CasaPound. Poi, riportano le cronache, il 18 maggio sono arrivati quelli di "Nessuno tocchi il mio popolo" con "una carovana di macchine e motorini" per occupare l'ex scuola a Casale San Nicosia dove dovrebbe sorgere il centro. Sfumato il tentativo, i neofascisti hanno allestito un "campo profughi per italiani" nel piazzale antistante. La loro posizione è chiara: "Non stiamo né con Salvini che vuole bombardare queste vittime del sistema capitalistico, né con il Governo che vuole speculare creando nuovi lager."

A ogni modo, la contromanifestazione camerata-contro camerata non sembra sortire nessun effetto, visto che mentre "Nessuno tocchi il mio popolo" parlava, i componenti del presidio "principale" hanno arrotolato striscioni e bandiere e levato le tende.

Sciolto il sit-in, in piazza restano solo le telecamere di Quinta Colonna puntate addosso a tre residenti che si urlano addosso mentre mostrano cartacce a terra, inveiscono contro gli zingari—"so' come i topi, più li ammazzi, più ce stanno!"—e invocano Salvini, perché "deve tornare l'amore della patria."

Mentre vado via incrocio due ragazze filippine che avevo visto alla veglia di preghiera. Chiedo cosa pensano del pomeriggio di oggi. Una di loro mi risponde di essere contenta, perchè "vuol dire che gli italiani si sono svegliati. E non solo gli italiani, ma anche tanti altri stranieri come noi." Quando faccio presente che mentre loro pregavano dall'altro lato della strada si cantava l'inno italiano, la ragazza mi dice che, sì, se n'era accorta ed era felice perché "cantavano per noi." Non me la sono sentita di smentirla.

Quello che è successo a Battistini, e la relativa manifestazione, si innestano comunque in una situazione di rinnovata tensione sociale a Roma. Oltre al già citato caso di Casale San Nicosia, a Marino—comune di più di 40mila abitanti sui Castelli Romani—qualche giorno fa i residenti sono scesi in strada per protestare contro l'arrivo di 78 migranti.

La possibile destinazione di una parte degli sfollati di Ponte Mammolo ha causato polemiche—decisamente strumentali—persino nel quartiere di San Lorenzo a Roma. La scorsa domenica, inoltre, si è tenuta a Ponte di Nona una manifestazione (poco partecipata) contro i rom, organizzata dei soliti comitati di quartiere "apolitici" che avevamo già visto all'opera nella "rivolta" delle periferie dello scorso autunno.

Per qualche mese era sembrato che questo tipo di proteste fossero state disinnescate dall'esplosione di Mafia Capitale. A quanto pare, però, di tutto quello che è successo ci si è dimenticati in fretta, ed episodi di cronaca di questo tipo sono tornati a essere il terreno di caccia prediletto per chi vuole fomentare gli animi, vendere copie e sfruttare l'accaduto a fini politici.

Segui Claudia e Leonardo su Twitter: @clatorrisi, @captblicero