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Una filosofa ci ha spiegato perché crescere è così difficile

Si sente spesso parlare di questa come di una generazione immatura che si sposa più tardi, fa figli più tardi e fa di tutto per non diventare adulta. Ma secondo la filosofa Susan Neiman crescere può essere l'atto più rivoluzionario di tutti.

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Durante il mio ultimo anno di università, un paio di amici che si erano laureati l'anno prima sono tornati al campus per un raduno annuale. Mentre bevevamo birra e guardavamo una partita di football (che non ci interessava, ma andava guardata per tradizione), un paio di loro si sono girati verso di me. "Goditi ogni singolo giorno qua," mi hanno detto, "perché una volta che ti laurei, diventa tutto una merda."

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Non era la prima né l'ultima volta che qualcuno mi diceva che quelli dell'università sarebbero stati "i migliori quattro anni della mia vita." Che dopo l'università tutto si sarebbe fatto più difficile. Che essere adulti era orrendo e che dovevo aggrapparmi agli ultimi barlumi di gioventù prima di essere catapultata nel crudele "mondo reale." Nelle settimane immediatamente precedenti la mia laurea, sono stata paralizzata dall'idea terribile che, se quelli erano stati davvero i migliori anni della ma vita, allora li avevo sprecati tra lo stress, la confusione e il tentativo di capire cosa volessi davvero fare. E se i migliori anni della mia vita erano passati, cosa mi avrebbe aspettato dopo?

Be', a quanto pare, nulla di tremendo—anzi, forse anche qualcosa di meglio. L'ho capito grazie all'aiuto della filosofa morale Susan Neiman, il cui ultimo libro, Why Grow Up? Subversive Thoughts for an Infantile Age, è in grado di trasformare in adulti coscienziosi tutti i giovani là fuori affetti dalla sindrome di Peter Pan. Ho capito di amare Neiman già dalla seconda pagina, quando cita la Critica della ragion pura di Kant, che avevo letto durante il mio primo anno di università bollandola come "il libro peggio scritto della storia della filosofia moderna."

Nel corso del libro, Neiman ha il merito di riuscire a rendere la filosofia kantiana comprensibile e usa le parole di Kant come spunti per esporre i propri pensieri sull'argomento della crescita. La conclusione a cui arriva è piuttosto sorprendente: crescere può essere l'atto più sovversivo di tutti.

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Di solito pensiamo alla crescita come a un fenomeno moderno—i dolori inevitabili del primo amore, l'angoscia esistenziale dell'adolescenza e il non avere idea di quale strada scegliere ci sembrano problemi legati strettamente al nostro tempo—ma in realtà si tratta di qualcosa che esiste almeno dal diciottesimo secolo. "Crescere è diventato un problema verso la metà del diciottesimo secolo, quando per la prima volta le persone hanno potuto scegliere di fare qualcosa di diverso dai loro genitori," mi ha detto Neiman quando l'ho contattata per telefono. Kant e Rousseau—i filosofi a cui Neiman si appoggia di più nel corso del libro—hanno entrambi fatto i conti con questo problema. "Con le dovute differenze, Kant e Rousseau venivano entrambi da famiglie che noi definiremmo della 'classe operaia', all'interno della quale ricevere un'istruzione era una specie di miracolo," mi ha spiegato Neiman. Quindi "crescere," per loro, ha assunto un significato particolare. "La verità è che crescere significa badare a se stessi, una cosa che spesso siamo troppo pigri o spaventati per fare quanto dovremmo."

Durante l'Illuminismo, quando i pensieri sovversivi venivano di per sé considerati pericolosi, pensare a se stessi—e, quindi, crescere—era rischioso e spaventoso. (Su questo punto, Neiman fa un parallelo con la situazione attuale in Arabia Saudita e in Cina, dove ci sono restrizioni sociali simili.) In più, come ha affermato lo stesso Kant, gli stessi governi non vogliono che le persone crescano. "È molto più difficile gestire cittadini adulti e maturi che ragionano con la loro testa, che 'capre' compiacenti—come li chiama lui—che fanno semplicemente ciò che ci si aspetta da loro e che consumano senza fare domande," mi ha detto Neiman. "Quindi, il problema della crescita va affrontato da due diversi punti di vista: i limiti che ci poniamo noi stessi, ossia la nostra pigrizia e la nostra paura, e quelli che ci vengono imposti da fuori, ossia che nessuna società incoraggia davvero i suoi cittadini a diventare adulti."

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Aggiungete a questo il fatto che viviamo in un mondo saturo di informazioni—un mondo in cui sedersi a guardare un episodio di un qualsiasi reality è molto più facile che mettersi non solo a formulare, ma anche solo a pensare, a dei valori. Il risultato è una società di adulti del tutto infantili.

È vero che i millennial ci mettono più tempo a raggiungere quelle tappe generalmente associate all'età adulta. Ci sposiamo sempre più tardi, se ci sposiamo. Facciamo figli più tardi—curiosamente, questo non sempre avviene dopo che ci siamo sposati—e siamo più dipendenti dai nostri genitori. Siamo meno indipendenti economicamente e sembra che "ci siamo smarriti" durante il passaggio all'età adulta. Si è scritto molto sull'argomento, compreso un intero libro che rumina sul perché i giovani adulti sembrano essersi "bloccati."

Secondo Neiman, però, queste tappe non hanno nulla a che vedere con il crescere. "Crescere non vuol dire prendere la patente, poter bere legalmente, sposarsi o fare figli. E non ha nemmeno niente a che vedere con la morte dei propri genitori," mi ha detto Neiman. "Ci sono tutti questi traguardi che la gente associa comunemente all'età adulta ma che, nonostante questo, non hanno nulla a che vedere con il "crescere" nel senso in cui lo intendo io, ossia l'essere indipendenti e in grado di riuscire a stare in equilibrio tra l''essere' e il 'dovere.'" L'"essere" e il "dovere" sono le due forme che Neiman usa per conciliare l'idealismo infantile (come il mondo dovrebbe essere) e il pragmatismo degli adulti (come il mondo è veramente). Se durante l'infanzia vediamo tutto per come dovrebbe essere, durante l'adolescenza vogliamo ribellarci e ricostruire tutto in base a ciò che vediamo. Essere adulti—sempre secondo Neiman—significa trovare un equilibrio tra questi due estremi.

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Secondo Neiman, crescere non è qualcosa che può essere imposto dall'alto. Devi volerlo davvero. Una persona diventa adulta tramite le esperienze, l'educazione, i viaggi, le letture, l'apprendimento e mettendo in discussione le proprie idee. Inoltre, Neiman suggerisce di prendersi una pausa da internet, dato che nonostante il suo valore informativo spesso distrae e impedisce di crescere veramente. ("Si possono trarre grandi benefici dal passare il proprio tempo in modo più proficuo rispetto al guardare porno e video rap coreani," scrive verso la fine del libro, quando propone di passare un'intera settimana senza internet).

Se si vede il crescere in questo senso, allora non si "cresce" mai davvero—più che altro, si tratta di una costante ricerca di equilibrio, di un continuo stato di crescita.

Alla fine del libro, Neiman riflette su una conversazione che ha avuto con un collega, il quale ha reagito con fastidio al fatto che lei abbia scritto un libro sulla crescita. "Che cosa brutta," dice di avergli sentito dire. "Il mio eroe è sempre stato Peter Pan."

L'errore, in questo caso, è il confondere il crescere con l'arrendersi—rassegnarsi a vivere una vita piatta e compiacente, che passa attraverso le tappe tradizionali, in cui si accettano i pensieri convenzionali e non si cresce né si cambia mai. "In realtà," mi ha detto Neiman al telefono, "Se tutti decidessimo di crescere, di diventare adulti indipendenti e responsabili e non bambini che chiudono gli occhi di fronte alle cose che non gli piacciono, le cose andrebbero molto meglio sotto molti aspetti."

L'idea della vita adulta che ci viene trasmessa dalla nostra società è tutt'altro che appetibile. Nella versione di Neiman, però, crescere diventa un atto sovversivo. Il problemi che la nostra generazione affronta durante la crescita non sono poi così diversi da quelli affrontati da Kant o da Rousseau, e come loro anche noi possiamo farcela.

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