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Foto di una ragazza che si è tolta la vita

La fotografa Isolde Woudsta ha trascorso tre anni al fianco di Melissa, documentando il processo che l'ha portata al suicidio.

Isolde Woudsta ha conosciuto Melissa su un forum di persone che parlano del loro desiderio di morire. Le due hanno stabilito un forte legame, che ha permesso a Isolde di stare al suo fianco per tre anni e di fotografarla. Melissa si è tolta la vita nel novembre del 2009. Quella che segue è una breve selezione delle foto scattate da Isolde, uno dei progetti più intensi che abbiamo visto da un bel po’ di tempo a questa parte.

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VICE: Come hai conosciuto Melissa?
Isolde Woudstra: Nel 2007 ero in cerca di un progetto per finire i miei studi fotografici alla scuola d’arte. Inizialmente avevo pensato di fare qualcosa che riguardasse i problemi psichici. Tramite internet ho inviato messaggi per dire che stavo cercando persone depresse e che volevano suicidarsi. Così mi sono messa in contatto con Melissa.

Cosa ti ha spinto a scegliere persone che volevano morire?
Il desiderio di morte è una cosa affascinatane. È anche un tabù, nonostante nella sola Olanda siano circa 94 mila l’anno le persone che cercano di uccidersi. Facendo due conti, si parla di 25 persone al giorno. Per quanto possa suonare patetico, volevo dare una voce a queste persone. Penso che molti di quelli che si buttano sotto un treno preferirebbero prendere una pastiglia e addormentarsi vicino ai propri cari. Ma non è permesso. Non fraintendermi: mi rendo conto che ci sono alcuni suicidi impulsivi. Ma sono convinta che ci siamo anche persone che hanno ponderato sull’idea di morire per anni e anni, arrivando alla conclusione che: “Questo è quello che voglio.” E penso che ognuno dovrebbe avere il diritto di morire nel modo che desidera.

Com'è stato il tuo primo incontro con Melissa?
La prima volte che abbiamo deciso di vederci siamo andate a bere una cioccolata su una terrazza. Allora Melissa viveva ancora in una clinica. Dopo poco si è trasferita in una casa dove poteva abitare da sola, ma era comunque sottoposta a monitoraggio e supervisione. Aveva 24 anni. Aveva tentato di suicidarsi la prima volta all'età di 14, quando le fu diagnosticato un severo caso di disturbo della personalità. A scuola era stata vittima di bullismo e non penso abbia mai finito il liceo. Ma quando l’ho conosciuta mi sembrava che le cose stessero andando per il meglio. All’inizio parlammo soltanto. Le proposi la mia idea e le chiesi se le andava di farlo.

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Andavate d’accordo?
Sì. Le piaceva poter parlare apertamente dei suoi problemi con qualcuno della sua età. Le uniche altre persone con cui parlava erano i suoi dottori e il suo psichiatra che erano costretti a dirle che la vita era preziosa e che bisognava viverla. Io avevo una posizione più neutrale verso la difficile situazione che stava vivendo. Non so se sia una cosa giusta, ma diceva di apprezzare il fatto che non la giudicassi.

D'altronde le cose stavano così.
Non avevo alcuna intenzione di dirle “Dai, vedrai che andrà meglio, domani ci sarà il sole." Cercavo di consolarla e di darle conforto, stavamo bene insieme. Facevamo camminate, andavamo nei bar…

Ma continuava a non stare bene.
Da un paio di anni prendeva farmaci piuttosto potenti, un farmaco anti-psicotico di cui non ricordo il nome, ma che la faceva stare veramente male. Ma se non lo prendeva, le tornavano i sintomi da psicosi. Una volta mi disse che durante un episodio di psicosi aveva iniziato a dire che le persone con un colore di pelle diverso venissero da un altro pianeta. Quando usciva da questi episodi, si ricordava tutto quello che aveva fatto, e andava fuori di testa. Pensava: Che cavolo ho fatto? Chissà cosa pensano quelle persone di me?

E si intristiva?
Sì. Si vergognava. Me ne parlava, e quasi ridendo mi diceva: “Non immaginerai mai cos'ho fatto scorsa settimana.” Sono proprio queste cose che rendono la vita difficile. Sapere che sei diverso.

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E la famiglia, come affrontava la situazione?
Aveva due fratelli minori e dei genitori carinissimi. Sono tutte belle persone. Non penso vedesse i suoi molto spesso, ma chiamava sua mamma di continuo. I genitori continuavano a sperare che un giorno avrebbero trovato una cura che funzionasse. Dicevano che c'erano persone che stavano cercando di capire se l'elettroshock poteva aiutare Melissa. Ma per Melissa era difficile aspettare una cura di cui non era convinta. Aveva aspettato per 13 anni. Quanti anni puoi stare ad aspettare?

Al tempo ti faceva stare male? Le tue foto sono deprimenti. Sono belle e oneste, ma deve anche essere stato difficile, no?
Non è stato così male. Ridevamo. A volte succedeva che mi raccontasse quello che stava passando e io iniziavo a piangere, e poi stavamo lì a piangere insieme. Una situazione piuttosto malata. Diventi coinvolto quando sei amico con una persona del genere. Ma di solito quando stava con me era un persona piuttosto allegra.

Com'è morta?
Per quanto mi hanno detto, è morta nel suo letto. Non ho tutti i dettagli. Ad un certo punto si era messa in contatto con la NVVE, un'organizzazione olandese per l'eutanasia volontaria. Il suicidio assistito è illegale in Olanda, ma non è illegale sedersi vicino a qualcuno mentre questo si toglie la vita. Una persona dall'organizzazione è andata da lei e le è stata vicina mentre se ne andava. È uno dei servizi che forniscono.

Come sei venuta a saperlo? Ti aveva già detto che l'avrebbe fatto?
Non me lo aveva detto esplicitamente. È tutto molto complicato per via di questioni legali. Se avesse detto a chiunque che aveva deciso di suicidarsi l'avrebbero rimessa in un istituto. Aveva fatto qualsiasi cosa per evitarlo. Sapevo che aveva richiesto l'eutanasia ai suoi dottori, ma non era servito a nulla. Se lo vuoi fare, devi essere spietato. Ma lei lo aveva accennato. Una volta mi chiamò per dirmi: “Puoi venire prossima settimana, vorrei vederti un'ultima volta.” Voleva che la portassi al suo ristorante cinese preferito. Quando ci siamo salutate, mi disse: “Ti voglio bene, sei molto importante per me.” Due settimane dopo è morta.

Come sei venuta a sapere che se n'era andata?
Mi hanno chiamata i suoi genitori. Non mi avevano mai chiamata prima, così quando ho sentito che era sua madre sapevo già cosa doveva dirmi. “Se n'é andata.” Melissa aveva già pensato a tutti i particolari per il suo funerale, persino che cosa avrebbe voluto indossare, la sua lapide e il suo invito. Anche tutti gli indirizzi a cui mandare gli inviti. Dopo quella telefonata mi è sembrato come di essere dentro a un film. Mi ha sorpreso più di quanto mi aspettassi. Sapevo quanto stavano soffrendo i suoi genitori e avevo paura solo a pensarci, ma dentro di me mi dicevo: L'hai fatto, ce l'hai fatta, e la cosa mi dava un po' di conforto.