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Attualità

Dovremmo davvero continuare a prendere per il culo chi crede alle bufale?

La vicenda della risposta di Gasparri su Twitter al meme su Jim Morrison rapinatore mi ha fatto pensare una cosa: è giusto alimentare questo processo per il proprio divertimento, o dovremmo comportarci diversamente con le immagini fake?

Via Twitter.

L'ignoranza è un diritto? Stando ai recenti avvenimenti si direbbe di sì, o almeno sembra sia sul punto di essere riconosciuta come tale. L'ultimo esempio è quanto successo domenica: quando un tizio ha twittato a Gasparri un meme di Jim Morrison presentato come un rapinatore (tale Goran Hazdic) chiedendogli cosa ne pensasse, il vicepresidente del Senato non l'ha riconosciuto e ha commentato con "vergogna." Poi, incalzato, ha rivendicato il diritto a non conoscere il cantante dei Doors—"Conosco Platone, Hegel, Beethoven, di questa star occupatevi voi"—ed è finito a litigare un'altra volta con mezzo Twitter.

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— Maurizio Gasparri (@gasparripdl)9 Gennaio 2016

La verità è che trollate del genere sono un passatempo facile e divertente, oltre che ormai sdoganato—il problema è che Gasparri fa parte di una corrente molto più grande, quella delle vittime designate del trolling online. Negli ultimi anni, uno dei cambiamenti più rilevanti che hanno interessato internet è stata l'enorme diffusione di bufale e articoli fake che si nascondono dietro la comoda (ed errata) etichetta di "satira". Il motore di tutto questo meccanismo è la facilità con cui simili contenuti si diffondono sui social, e si può dire che la loro propagazione su queste piattaforme segua due direzioni: in verticale e in orizzontale. Per quanto una divisione di questo tipo sia quasi classista, sarebbe stupido non ammettere che l'ignoranza giochi un ruolo fondamentale.

Il primo gruppo è quello delle bufale create per fini economici o per la volontà di imporre un pensiero: casi in cui un individuo o un gruppo di persone modificano, distorcono, ingigantiscono o addirittura inventano notizie e fatti al solo scopo di smuovere gli istinti più primordiali dei lettori e generare traffico sui loro siti. Si tratta di casi simili a quello del ventenne siciliano che lo scorso settembre è stato denunciato per aver creato un sito da cui diffondeva bufale razziste per portare click al suo sito e guadagnare tramite i banner.

Del secondo gruppo fa parte invece tutta quella letteratura di internet composta da siti ironici, come Lercio e la corrente di pagine del "gentismo ironico" come quella di cui è rimasto vittima Gasparri. Tutte queste fonti creano contenuti a uso e consumo di chi quell'ironia la capisce e ne ride, ma purtroppo spesso finiscono per mischiarsi alla categoria precedente creando ancora più confusione. Ovviamente la divisione in queste due macrocategorie non è rigida, così come non lo è la realtà che vuole descrivere.

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Nell'ultimo periodo, i siti e le pagine appartenenti a quest'ultima tipologia stanno spopolando—Giovani Cattolici contro la Frivolezza e Vergogna Finiamola Fate Girare sono alcuni dei casi più emblematici. L'obiettivo di tutte queste pagine, in teoria, è rappresentare in modo esagerato una certa realtà per far ridere chi da quella realtà è ben lontano, ma alcune di queste pagine sono così attente a costruire un immaginario credibile in ogni loro espressione che spesso i meno attenti faticano a riconoscere e discernere realtà e finzione. Il che porta a cortocircuiti, come quando la pagina di una sezione di Fratelli d'Italia ha condiviso, prendendola sul serio, un'immagine ironica postata da Giovani Cattolici contro la Frivolezza—di fatto mutandone il significato.

"I meccanismi tra una bufala del primo e una del secondo tipo sono gli stessi, come quelli dietro ogni fenomeno virale," mi ha detto Walter Quattrociocchi, capo del CSSLab dell'IMT di Lucca, che ho deciso di interpellare sulla questione. Quattrociocchi è tra gli autori di un noto studio sulle bufale online, e da tempo analizza la loro diffusione e i meccanismi che vi stanno dietro.

Secondo Quattrociocchi chi si informa attraverso le bufale ha, con il tempo, creato intorno a sé un microcosmo informativo costituito solo da fonti per lui attendibili e quindi il più delle volte fallaci. L'algoritmo dei social, il primo mezzo tramite cui ci informiamo, porterebbe dunque chi si ciba di bufale a vedere solo quelle, alimentando un circolo vizioso infinito e desolante. "Siamo indotti a selezionare contenuti e informazioni da ripostare attraverso il confirmation bias (ovvero selezionare informazioni coerenti con il nostro sistema di credenze)," ha proseguito Quattrociocchi. "Il valore di verità dell'informazione non importa, conta quanto l'informazione sia strumentale all'appagamento del bisogno personale del momento. L'immagine gentista serve per distinguersi dalla massa; la bufala, a seconda del momento, è ancillare ad una necessità identitaria."

Ma se alla radice di tutto c'è la necessità di distinguersi dalla massa e ciò che conta non è tanto che un'informazione sia vera quanto che serva a questo scopo, che responsabilità ha chi crea le bufale del secondo tipo, quelle apparentemente ludiche e innocenti? È giusto alimentare questo processo per il proprio divertimento o ciascuno di noi dovrebbe cercare di contribuire ad arginare la disinformazione, per quanto possibile?

via Facebook/Vergogna Finiamola Fate Girare

Negli ultimi mesi mi è capitato di fare esperienza diretta di queste dinamiche, maturando una consapevolezza che mi fa ben sperare. Gestisco una pagina Facebook comica che ha decine di migliaia di like e facendo questo ho potuto osservare quanto fosse facile influenzare i fan: bastava un tentativo di lanciare un trend e questo si riproponeva per numerosi post, in modo quasi ossessivo. Ovviamente questo mi ha portato a pensare alle responsabilità di chi si trova nella mia posizione e ha il potere di influenzare un pubblico, fosse anche composto da una sola persona—soprattutto in un paese in cui i dati sull'"analfabetismo funzionale" non sono esattamente confortanti. Alla luce di questo, è corretto portare avanti questo tipo di ironia? E soprattutto, c'è modo di modificare quest'ironia in una specie di cavallo di Troia per portare la gente a prendere consapevolezza dei mezzi che ha a disposizione? "Credo che questa domanda sia un retaggio della credenza di base che l'essere umano sia un essere razionale, ma non è così," mi ha detto Quattrociocchi. "La responsabilità nella scelta come nella condivisione delle informazioni è delegata a processi legati alla manifestazione e l'espressione dell'ego che si identifica per contrasto. Gasparri non è l'unico, anche additarlo è elemento di rinforzo identitario." Secondo Quattrociocchi, in pratica, "Siamo tutte scimmie in cerca di appagamento dell'ego." Questa cosa sarà valida per tutti, e oltre che scimmia mi sento un po' stupido a pensare che ognuno di noi abbia un minimo di responsabilità in quello che dice, posta e diffonde, sia che ciò arrivi a una persona che a decine di migliaia. A pensare che un cambiamento sia ancora possibile. In realtà, però, probabilmente questo meccanismo non cambierà mai, le bufale continueranno a esistere senza soluzione di continuità e da domani torneremo a prendere per il culo chi crede nelle bufale. Ridendo. Segui Tommaso su Twitter

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