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Contro questa nuova mania di ripulire Milano

Questo fine settimana, a Milano, dei volontari hanno cancellato un murales di Pao, suscitando le ire dei residenti della zona—una reazione emblematica dell'operazione politica che sta dietro alle manifestazioni per pulire la città.

Un volontario cancella una scritta su un muro durante la manifestazione "Nessuno tocchi Milano" del 3 maggio scorso. Foto di

Stefano Santangelo

La prima conseguenza del vortice di emozioni in cui erano precipitati i milanesi subito dopo i disordini del corteo No Expo del 1 maggio era stata la manifestazione Nessuno tocchi Milano, svoltasi due giorni dopo, durante la quale circa 20 mila persone erano scese in strada per "riprendersi" la città—ovvero, ripulire i muri del centro imbrattati dai manifestanti. Il corteo, guidato dal sindaco Pisapia, aveva sfilato per la città ripulendo e cantando l'inno nazionale e alla fine il Presidente della Repubblica Mattarella si era detto orgoglioso della reazione dei milanesi.

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Questo fine settimana, il comune di Milano ha tentato di replicare il successo di quella mobilitazione spontanea lanciando l'iniziativa "Bella Milano," ossia "un weekend per prendersi cura della città." "Con questo doppio appuntamento collettivo, l'Amministrazione risponde alla domanda di partecipazione e azione civica nata in occasione della manifestazione 'Nessuno tocchi Milano' dello scorso 3 maggio," si legge sul sito del Comune, in un post di presentazione dell'iniziativa.

Il tentativo, come prevedibile, non ha avuto molto successo—visto che il ricordo delle devastazioni è ormai piuttosto sbiadito nella coscienza collettiva dei cittadini. Enon avrebbe nemmeno fatto notizia se, durante la cancellazione delle scritte, un gruppo di volontari di Retake Milano (un'associazione presente in diverse città che si occupa di contrastare il degrado urbano) non avesse coperto un murales di Pao, suscitando le ire dei residenti della zona con il consenso dei quali era stato realizzato.

Il video del litigio tra i volontari e gli abitanti della zona è girato tantissimo, suscitando una valanga di commenti indignati e l' intervento diretto dell'assessore alla mobilità Pierfrancesco Maran, che si è scusato per l'incidente e si è detto disponibile perché il graffito venga ripristinato, stavolta con tutti i permessi. Nel giro di una giornata, il post su Facebook con cui Pao ha commentato l'accaduto e raccontato la storia di quel muro ha ottenuto circa 6 mila like e 2.600 condivisioni.

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Già la manifestazione "Nessuno tocchi Milano," nonostante le buone intenzioni di chi vi aveva partecipato, aveva suscitato qualche perplessità—più che altro perché, fino a quel momento, a nessuno era mai sembrato importare granché del decoro urbano della città. Le scritte sui muri c'erano già ben prima del 1 maggio, e se non fosse stato per gli scontri di quel giorno a nessuno studente sarebbe venuto in mente di passare il fine settimana a pulire dei muri.

In questo senso, la grande indignazione di questo ultimo fatto è emblematica; così com'è emblematico che, proprio in periodo di lotta senza quartiere ai graffiti—con tanto di perquisizioni, sequestri, e il reato di "associazione a delinquere" contestato ai writer fermati—un assessore si scusi per la cancellazione di un graffito illegale.

Perché tutto questo polverone per un'opera che, per quanto cara ai bambini che giocano nel parchetto e a molti residenti, non era nulla di speciale?

La risposta sta nella natura dell'operazione politica rappresentata da queste manifestazioni: la nuova smania di ripulire Milano non è che un tentativo delle istituzioni di creare coesione, senso di appartenenza e attaccamento alla città—creando così anche consenso nei confronti del proprio operato. In questo modo, si riducono gli scontri sociali e politici alla sterile contrapposizione tra i cittadini operosi che si prendono cura di Milano e i vandali e i violenti che scrivono sui muri—in una sorta di lotta tra il "bene" e il "male" dove il bene sono, ovviamente, le istituzioni.

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Volontari di Retake Milano in azione questo fine settimana. Immagine

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Dal punto di vista prettamente giuridico, infatti, le scritte dei black bloc e i graffiti di Pao sono la stessa identica cosa—entrambi i casi si configurano come atti illegali. Così come sono la stessa cosa, dal punto di vista artistico, i muri di Pao e i pannelli dei vari writer che dipingono i treni della metropolitana. Ma se le prime vengono cancellate da grandi mobilitazioni spontanee e questi ultimi vengono combattuti istituendo un nucleo speciale della polizia locale, Pao ha tutto il diritto di esistere e anzise le sue opere vengono cancellate riceve le scuse del Comune—che, mostrandosi tollerante nei suoi confronti, legittima la repressione verso gli altri.

È evidente, quindi, che la differenza tra quali graffiti sono accettabili e quali vanno cancellati non sta sul piano giuridico, come sostengono alcuni, né su quello del valore artistico. L'unica differenza sta nella presenza o meno di una carica politica—nel fatto che le scritte o i graffiti siano o meno espressioni di dissenso.

Se lo sono, si tratta di atti di vandalismo da cancellare a tutti i costi per "riprendersi la città per vivere meglio tutti," come recitano i volantini di Retake Milano. Se sono disegni di api, fiori e pesciolini, che non danno fastidio a nessuno e anzi piacciono ai bambini, allora vanno bene. Anzi, per l'opinione comune è chi li cancella a passare dalla parte del torto e dei "black bloc"—termine con cui viene apostrofata, nel video, una delle volontarie di Retake Milano che ha cancellato il graffito di Pao.

Segui Mattia su Twitter: @mttslv