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Già la manifestazione "Nessuno tocchi Milano," nonostante le buone intenzioni di chi vi aveva partecipato, aveva suscitato qualche perplessità—più che altro perché, fino a quel momento, a nessuno era mai sembrato importare granché del decoro urbano della città. Le scritte sui muri c'erano già ben prima del 1 maggio, e se non fosse stato per gli scontri di quel giorno a nessuno studente sarebbe venuto in mente di passare il fine settimana a pulire dei muri.In questo senso, la grande indignazione di questo ultimo fatto è emblematica; così com'è emblematico che, proprio in periodo di lotta senza quartiere ai graffiti—con tanto di perquisizioni, sequestri, e il reato di "associazione a delinquere" contestato ai writer fermati—un assessore si scusi per la cancellazione di un graffito illegale.Perché tutto questo polverone per un'opera che, per quanto cara ai bambini che giocano nel parchetto e a molti residenti, non era nulla di speciale?La risposta sta nella natura dell'operazione politica rappresentata da queste manifestazioni: la nuova smania di ripulire Milano non è che un tentativo delle istituzioni di creare coesione, senso di appartenenza e attaccamento alla città—creando così anche consenso nei confronti del proprio operato. In questo modo, si riducono gli scontri sociali e politici alla sterile contrapposizione tra i cittadini operosi che si prendono cura di Milano e i vandali e i violenti che scrivono sui muri—in una sorta di lotta tra il "bene" e il "male" dove il bene sono, ovviamente, le istituzioni.
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