Guerriglieri, banditi e serial killer: foto segnaletiche dal Messico di metà Novecento

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Guerriglieri, banditi e serial killer: foto segnaletiche dal Messico di metà Novecento

Stefan Ruiz ha insegnato arte a San Quentin, ma il crimine l'ha sempre affascinato: ora sta pubblicando un libro con le foto segnaletiche e delle scene del crimine del Messico di metà Novecento.

Tutte le immagini dagli archivi di Stefan Ruiz, fotografo e illustratore ignoti

Stefan Ruiz ha iniziato a cimentarsi con la fotografia nei primi anni del Novecento: mentre lavorava come insegnante d'arte nella prigione californiana di San Quentin ha cominciato a scattare foto ai detenuti che andavano alle sue lezioni. Il crimine lo ha sempre affascinato: figlio di un avvocato messicano, è cresciuto ascoltando le storie di processi e arresti. Ma sono stati i protagonisti di questi racconti a colpirlo davvero. Come fotografo, ha girato il mondo per ritrarre i personaggi più diversi: dai pazienti negli ospedali psichiatrici cubani ai bambini messicani di strada, fino a grandi nomi come Bill Clinton e James Brown.

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Per il suo ultimo progetto, però, Stefan ha messo da parte la macchina fotografica per riportare alla luce una serie di foto ormai dimenticate dagli archivi della polizia di Città del Messico. Tutto è iniziato nel 2010, quando si è imbattuto in una scatola di foto segnaletiche impolverate in un mercatino a Las Lagunillas. Il proprietario aveva scoperto di avere un mucchio di immagini scattate dalla polizia dal 1950 fino al 1970—da fotogrammi di rapine a mano armata a foto di merce rubata fino ai ritratti dei criminali più famosi del tempo. Ingiallite e logore, queste foto offrono una visione alternativa della vita e della criminalità del Messico di metà secolo scorso. Stefan ha deciso di farne un libro.

Le foto segnaletiche ritraggono soprattutto ladri, che all'epoca i più indigenti consideravano veri e propri idoli. Ci sono anche foto segnaletiche di assassini famosi come quella dello studente-assassino Gregorio Cárdenas Hérnandez, dei proprietari di bordelli e serial killer Delfina e María González.

Anche se i guerriglieri e i banditi di strada del 19esimo secolo sono stati in gran parte sostituiti dai cartelli della droga e dalle bande organizzate, in Messico la cultura criminale a cui immediatamente pensano gli stranieri è ancora molto radicata nel paese—secondo i dati ufficiali, sono oltre 7.400 gli omicidi avvenuti tra gennaio e maggio di quest'anno e secondo alcuni analisti sono 80.000 gli omicidi connessi alla criminalità organizzata registrati tra il 2006 e il 2015.

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Abbiamo raggiunto Stefan per parlare del suo libro e di come queste immagini possano aiutare a capire il Messico di oggi.

VICE: Ciao Stefan. Raccontaci come hai trovato tutte queste immagini.
Stefan: Vado spesso ai mercatini a comprare fotografie. Insegnavo in prigione, e sono sempre stato un po' ossessionato dalle foto del crimine. Mi piacciono le foto segnaletiche perché io scatto principalmente ritratti e quelli delle foto segnaletiche sono bellissimi—si vede che al momento dello scatto la persona era incazzata nera. Ma la cosa che ho trovato interessante è che oltre a esserci le foto segnaletiche c'erano anche foto completamente a caso. Ed erano davvero tante—ho chiesto a quello che me le ha vendute se ne aveva altre, e la volta successiva si è presentato con due buste della spesa piene.

Perché hai deciso di pubblicare queste foto adesso?
Ho mostrato le foto a un amico che lavora nel campo dell'editoria. Sai, in Messico succede sempre qualcosa di spiacevole, perciò ho voluto pubblicarle perché ho pensato che potessero far riflettere. Abbiamo contattato il professor Benjamin Smith, docente di Storia dell'America Latina, e insieme abbiamo cercato dei collegamenti tra le varie fotografie. Queste foto ti permettono anche di capire com'è cambiata negli anni la criminalità, quindi abbiamo pensato che fosse importante pubblicarle.

E cosa dicono queste foto del Messico di oggi?
A me interessava far vedere che per quanto le cose cambino, tutto resta uguale. Voglio dire, ora in Messico c'è il narcoterrorismo, che è diverso dal terrorismo di sinistra degli anni Sessanta e da quello che sta succedendo con l'ISIS, ma il problema in fondo è sempre lo stesso. Forse la differenza tra ieri e oggi è che un tempo i crimini erano un po' più innocenti. Nel 1950 il crimine più popolare in Messico era la rapina, motivo per cui la maggior parte delle foto segnaletiche che ho sono di ladri. Ma oggi tra decapitazioni e torture siamo su un altro livello.

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L'anno scorso 43 studenti sono scomparsi e nessuno ha fatto niente. Il governo continua a dire che va tutto bene e che le cose stanno migliorando, ma a volte i boss dei cartelli—come Joaquín "El Chapo" Guzman—sembrano più potenti del governo.

La tua è una famiglia di immigrati messicani, e tu torni in Messico abbastanza regolarmente. Com'è essere un fotografo in Messico?
Quando ho scattato la serie sui Cholo a Monterrey è stato un bel casino. Era un quartiere violento, losco. Nessuno ci entra tranne i militari. In un paio di momenti ho capito che le cose stavano volgendo al peggio: in quei casi cerchi di rimettere tutta l'attrezzatura a posto il più rapidamente possibile, ma fingendo tutta la calma possibile, salti in macchina e scappi.

Qual è il tuo obiettivo, come fotografo?
Sto cercando di portare avanti opere almeno un po' consapevoli e rispettose. Il mio obiettivo è cercare di catturare tutte le sfumature del Messico: mi piace l'idea di commentare la situazione politica senza prenderla troppo sul serio.

@giuliamutti