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Un tour dei ristoranti più economici di Expo

Per capire se le lamentele sui prezzi troppo alti dei ristoranti di Expo fossero fondate, ho passato un'intera giornata fra i vari padiglioni cercando di provare il maggior numero di piatti e spendendo il meno possibile.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Arrivo correndo alle porte pressurizzate della metro rossa appena un secondo prima che si chiudano. Sono sudato, mi fanno male le piante dei piedi, e ho un bezoario di cucina etnica incastrato nello stomaco. Nel vagone l'aria è piuttosto pesante e calda, e tutti quelli che mi circondano masticano, deglutiscono, digeriscono, o parlano del cibo. Allora anche io ripenso a tutti i piatti che ho provato nelle ultime otto ore, e cerco di rimettere insieme il puzzle gastro-sensoriale a cui ho appena preso parte nel tentativo di tirare le somme della mia esperienza al risparmio fra i ristoranti di Expo 2015.

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Le mie credenziali erano date dal fatto che qualche mese fa ho passato un'intera settimana nutrendomi con non più di due euro al giorno, dal mio innato masochismo alimentare e dalla mia propensione per lo scrocco selvaggio; il mio obiettivo era di testare quanto fosse fattibile ingozzarsi di cibo ad Expo senza spendere una cifra esosa—visto che una delle prime critiche che sono state rivolte all'evento riguardava i prezzi eccessivi dei ristoranti.

Per portare a termine la mia missione ho deciso di provare a mangiare in almeno sei dei ristoranti appartenenti alle cinque aree geografiche in cui sono stati divisi i paesi che partecipano a questa edizione, con un budget massimo di 50 euro (ovvero circa la metà dell'ormai famoso "scontrino choc" del padiglione del Giappone). Aperitivi, buffet e degustazioni scroccate, poi, avrebbero completato l'opera.

Designati i parametri base dell'Expo-pezzente, e con un'idea di ciò che mi avrebbe aspettato fornita dalle guide preesistenti, mi sono presentato ai tornelli d'entrata di Expo alle 10 di domenica mattina.

Arrivo a stomaco vuoto, e mi metto subito alla ricerca del posto migliore in cui fare colazione. Il bar all'entrata, però, è già stipato di gente che sgomita per accaparrarsi le costosissime brioche dell'espositore, quindi decido di setacciare fin da subito ogni edificio alla caccia di qualche degustazione gratuita.

Passando di fronte al padiglione della Repubblica Ceca, il primo che si incontra, mi imbatto in una strana miscellanea di musicisti folkloristici e ragazze in corsetti tradizionali che partecipano all'inaugurazione della mostra sulla città di Brno.

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Tre rappresentanti della giunta stanno illustrando i motivi per cui tutti dovremmo passare le vacanze a Brno, ma il piccolo gruppo che si è formato nel padiglione finge semplicemente di ascoltarli mentre tiene d'occhio i movimenti di un tizio che se ne va in giro offrendo dei piccoli dolcetti omaggio ricoperti di burro. Io gli rimango a fianco per tutta la presentazione, continuando ad infilare la mano nel paniere ed esclamando "EVVIVA BRNO!" ogni volta che mi guarda male.

Evviva Brno!

Presto però i dolcetti finiscono, così mi sposto all'interno del padiglione, dove si terrà un rinfresco gratuito una volta che la banda avrà terminato di suonare "Nothing Else Matters" dei Metallica, nota ballata tradizionale ceca.

Il ristorante interno offre un menù abbastanza vario: un gulasch da osteria viene nove euro, ma con 27 puoi anche accattarti una bistecca di daino in sorba nera.

Alla fine, dopo una contesa aspra con un signore bolso per accaparrarmi le ultime fette di pane rimaste, mi metto in un angolo a fare colazione con un po' di salumi, del formaggio, e una michetta di salsa con dentro praticamente tutti gli ingredienti commestibili in natura. Comunque sia è gratis, quindi il primo consiglio che posso darvi è di sfruttare al massimo i tempi morti fra gli orari di apertura dei ristoranti alla ricerca di eventi ed inaugurazioni del genere.

Finito di mangiare esco e do un'occhiata ai padiglioni circostanti. La prima cosa che mi colpisce, è che non tutti i paesi hanno un ristorante: il padiglione dell'Irlanda, ad esempio, non ha nemmeno un baretto; quello dell'Inghilterra ha un misero bancone che spilla birre, mentre l'offerta gastronomica del Belgio si esaurisce in uno stand che vende birra, uno per le patate fritte—molto ambite a dire il vero—e nei vari tipi di cioccolato acquistabili all'interno del padiglione.

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Intorno alle strutture con offerta scarsa gravitano tutta una serie di banchetti e chioschi che vendono schiacciatine e street food.

Altri padiglioni, invece, hanno ristoranti ampi e con una lista di piatti infinita, ma sono anche molto cari: il ristorante dell'Uruguay ad esempio ha tagli di carne che arrivano direttamente dal Sud America, ma per un medaglione di filetto vogliono 36 sghei.

Per complicarmi ulteriormente la vita decido di saltare direttamente tutte quelle cucine che è possibile trovare anche in Italia: Cina, Giappone, Stati Uniti, Brasile, Messico.

Una buona notizia, però, è rappresentata dal fatto che disseminate un po' ovunque all'interno di Expo ci sono fonti gratuite di acqua, quindi è possibile limitare ulteriormente le spese evitando di acquistare bevande nei ristoranti. Decido di investire 1,50 euro in una bottiglietta da mezzo litro da riempire durante la giornata.

Ormai è mezzogiorno, e sono affamato, quindi è il momento di iniziare a mangiare seriamente. La maggior parte dei ristoranti, però, apre la cucina soltanto alle 13.

L'unico posto che ha iniziato a servire cibo è il self service della Repubblica Ceca (molti padiglioni hanno sia un ristorante serio che uno più economico) quindi torno a festeggiare Brno scoprendo che con soli 4,50 euro posso mangiarmi un Utopec: ovvero una salsiccia affogata nell'aceto con insalata peperoni e cipolle. Sono talmente emozionato che spendo anche quattro euro per una Pilsner , e un euro aggiuntivo per una galletta dolce ai cereali.

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Il sapore acre dell'Utopec si rivela perfetto per la Pillsner, ma più che altro è una specie di antipasto, quindi in cinque minuti ho già finito e sono di nuovo sul decumano alla ricerca di cibo.

Fuori dal padiglione del Vietnam vedo un gruppo di persone vestite in abiti tradizionali che trasportano degli strumenti musicali, quindi li seguo alla ricerca disperata di qualche altro evento con buffet gratuito. Purtroppo per me l'esibizione si rivela priva di cibo omaggio, e per di più il piccolo bancone-ristorante sul retro è completamente in disuso.

Fortunatamente subito di fianco trovo il primo dei nove cluster collettivi divisi per filiera alimentare, quello del riso. All'interno di ogni cluster sono raggruppati piccoli padiglioni a tema, come quello della Cambogia e dell'India, che offrono piccole confezioni di pasti pronti a 11 euro.

Valuto per qualche minuto l'offerta della Sierra Leone, che serve il "risotto al profumo d'Africa" a soli dieci euro, ma poi decido di risparmiare ulteriormente e opto per lo Spicy Luang-Prabang a 6,50 del Laos: uno spiedino con quattro salsiccette, del riso basmati, e qualche verdura. Ad essere sinceri però, la sensazione è quella di masticare delle falangi imbevute di spezie con riso scondito e un pomodorino ciliegino.

Poco dopo mi sposto al padiglione dell'Angola, anch'esso con due ristoranti. Solitamente in quello più economico al piano terra è possibile trovare il Muamba—una specie di zuppa di pollo—a soli otto euro, ma oggi la cucina serve solo specialità grigliate, e quindi sacrifico dieci euro per un branzino con polenta (che per buona pace di tutti i leghisti è un alimento tipico anche dell'Angola) e salsa piccante.

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Probabilmente il branzino è la cosa più buona che ho mangiato in tutta la giornata—il pesce è fresco, cucinato bene, con una salsa buonissima. Comunque sia, arrivato alle 14,30, sono riuscito a provare tre ristoranti appartenenti ad aree diverse con 27,50 euro.

A questo punto mi prendo una pausa e mi metto seduto su di un gigantesco sofà di plastica posizionato in mezzo al decumano centrale, cercando di far affluire più sangue possibile allo stomaco. Da qui ho una visuale a 360 gradi di tutta la situazione alimentare di Expo 2015: un flusso gastrico ininterrotto di turisti americani e giapponesi e nordeuropei che svolazzano qua e là spiluccando qualsiasi cosa sia commestibile. Sembra quasi di sentire il fruscio sordo di milioni di villi intestinali.

I tavoli fuori dai ristoranti sono stipati di gente, e molti sono costretti ad accamparsi qua e là per mangiare mentre grondano sudore e boccheggiano.

Non volendo esaurire il budget in alcuni casi entro semplicemente a informarmi sui prezzi: al padiglione dell'Ungheria, ad esempio, con otto euro potete trovare un gulasch così piccante che un ragazzo per descrivermelo ha usato l'espressione "fondere il culo". Al piccolo ristorante dell'Ecuador, invece, servono una specie di plum cake gigante a base di mais, uova, zucchero, burro e formaggio salato chiamato Humita a 5,50 euro. I primi bocconi sono molto buoni, ma dopo un po' vi calcifica l'esofago.

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Nel cluster dei cereali e dei tuberi ho potuto provare della quinoa venezuelana a zero euro. In quello del Mediterraneo, invece, ho partecipato a due degustazioni di dolci di San Marino e della Sicilia al costo di due euro l'una.

Il lato negativo è che, rimanendo fedeli alla grande struttura fordiana dell'organizzazione di Expo, molti padiglioni all'interno dei cluster non sono ancora attivi: spesso mancano spezie, caffè e la possibilità concreta di acquistare qualcosa.

Nel padiglione del Vanuatu ad esempio—uno dei tre soli stati dell'Oceania che partecipano—non solo mancavano le spezie, ma pure il personale. Che fine abbiano fatto Micronesia e Palau, le altre due nazioni dell'Oceania, non mi è dato saperlo, visto che non sono rintracciabili né sulla mappa né importunando le receptionist.

In compenso nel padiglione di fronte (Afghanistan) ho potuto mangiare delle incredibili patate speziate fritte nell'uovo con salsa yogurt a 5 euro.

Nel mezzo dello snodo che ramifica il decumano centrale verso i 20 ristoranti regionali italiani presenti ad Expo mi metto a fare qualche domanda ai visitatori. I turisti americani e tedeschi sembrano quasi tutti particolarmente entusiasti della cucina. "Credo di aver appena mangiato la carne più buona della mia vita, al padiglione dell'Argentina" mi ha detto un signore di Chicago attraverso la pappagorgia. A quelli giapponesi invece piace praticamente tutta la materia commestibile circostante, e lo comunicano agitando le mani e sospirando "very gooood", prima di indicare qualcosa entusiasti e sparire. Gli unici che sembrano preferire di gran lunga la cucina italiana fra quelle presenti ad Expo sono gli italiani stessi: sono in moltissimi quelli venuti ad un'esposizione universale sul cibo per poi finire a mangiare orecchiette con cime di rapa al ristorante della Puglia.

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Tutti quelli che ho intervistato però, si sono lamentati dei prezzi.

Arrivato a questo punto sono già le 18,30 e ho a disposizione ancora otto euro . Il padiglione degli Stati Uniti all'interno ha solo un bar con attorno dei tizi odiosi vestiti da steward che cantano e ballano di continuo cercando di intrattenere e coinvolgere i presenti: il cibo è tutto stipato in giganteschi food truck sul retro, dove un hamburger lo paghi otto euro, e tutto il resto a salire.

Quindi passo direttamente alla concorrenza.

Il ristorante della Russia è un bel posto dove passare il tempo: è pieno di turisti di ogni tipo che percorrono rapidamente la serpentina dell'esposizione per raggiungere il più presto possibile il fondo, dove c'è un bar attrezzatissimo che offre assaggi di vodka e si possono ordinare piatti tipici a prezzi ragionevoli. Una zuppa di anatra e mele, ad esempio, viene solo sette euro.

Tutto il complesso dei padiglioni principali del Medio Oriente, invece, è praticamente inaccessibile: nel ristorante dell'Oman ad esempio, che più che tradizionale sembra semplicemente la sala pranzo di un albergo di lusso, ci sono piatti che vengono 37 euro, mentre un piccolo mix di antipasti viene 17.

Mi dirigo allora verso il Giappone, a cui si arriva solo dopo aver scalato una lunga rampa sinusoidale. Il personale del ristorante è sorridente, accomodante, e servizievole, ma leggono il panico nei miei occhi quando vedo che uno dei piatti meno costosi è un piccolo hamburger di riso a 12 euro.

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Me ne vado camminando all'indietro e facendo la riverenza con un sorriso plastico stampato in faccia.

È a questo punto, distrutto emotivamente dal Giappone, che finisco in trappola. Stavo già pregustando l'idea di cenare con dei noodles al padiglione thailandese (6,50 euro), quando due cuochi indonesiani mi prendono praticamente di peso e mi invitano ad "assaggiare" una delle loro specialità: uno spiedino di riso affogato in una strana salsa viscosa e accompagnato da alcuni pezzi di quello che credo sia riso pressato.

Interpretandolo come un omaggio accetto, ma non appena sfioro il primo con i denti uno dei due cuochi mi riempie il piatto di spiedini e riso, mi chiede di scegliere una bevanda e allunga la mano dicendo "cinque euro".

Ecco come ho sperperato le ultime finanze: sbocconcellando degli spiedini di pollo dolciastri assieme a del riso che sembrava sapone. La consistenza strana della salsa, poi, rendeva tutto abbastanza stomachevole.

Sulla strada verso l'uscita decido di spendere gli ultimi tre euro per una piccola confezione di cioccolatini del Belgio, per lenire la delusione di aver sprecato inutilmente l'ultima cena.

Comunque sia, in parte posso dire che l'esperimento è riuscito: con soli 50 euro ho provato sei tipi di cucina diversa, che difficilmente avrei potuto assaggiare, ho partecipato a tre degustazioni e scroccato una colazione alla città di Brno (che nostro Signore l'abbia in gloria).

Tutto sommato però devo dire che tolto il branzino angolano e le patate afghane niente di quello che ho mangiato mi è piaciuto veramente: la verità è che per mangiare bene ad Expo devi spendere molto di più. In molti casi parecchio di più.

Passando i tornelli per tornare a casa, mentre combatto contro quattro tipi di nausea diversi, posso dire che dopo questa esperienza ho imparato molto di più sulle sfumature che la fase orale assume quando è declinata sulla scala del capitalismo che non sul problema della fame nel mondo o sul cibo: Expo è simile alla mensa di una nave da crociera, piena di turisti pronti a spendersi la mamma pur di partecipare ad una fiera sul cibo e assaggiare dei piatti autentici che in realtà sono soltanto una loro versione commerciale.