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I morti sono tutti uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

Siamo andati al corteo con cui l'estrema destra milanese ha ricordato la morte di Sergio Ramelli, Carlo Borsani ed Enrico Pedenovi, ma gli skin non hanno apprezzato granché la nostra presenza.

Foto di Guido Borso.

“Pisapia”. Il mantra è “Pisapia”. Il nome del sindaco è sulla bocca di tutti partecipanti al corteo milanese di estrema destra del 29 aprile e argomento comune di discussione. Molto stranamente, non si tratta nemmeno di lamentazioni troppo pretestuose. Ci sono infatti tantissime cose che si potrebbero dire sull’atteggiamento tenuto dalle istituzioni comunali nei confronti dell’estrema destra da quando l’amministrazione è in mano alla coalizione di centrosinistra. Sintetizzando, si potrebbe dire che le mosse-non mosse del comune sono sempre andate in una direzione che ha puntualmente scontentato tutti. Ma andiamo con ordine.

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Il corteo del 29 aprile si tiene tutti gli anni, attraversando più o meno silenziosamente il quartiere di Lambrate con partenza in piazzale Susa, finale variabile, e tappa fondamentale in via Ettore Paladini. Qui si trova il murale “CIAO SERGIO”, che costituisce il principale simbolo e motivazione della manifestazione. “Sergio” è Sergio Ramelli, uno studente e militante del Fronte Della Gioventù ucciso nel 1975 a colpi di chiave inglese da quattro appartenenti ad Avanguardia Operaia.

Ma non è l’unico morto di cui la destra milanese oggi onora la morte, e infatti verrano poste altre due corone di fiori su altrettante targhe: una a Carlo Borsani, sottotenente dell’esercito schieratosi con la RSI e morto nel 1945 per mano partigiana, l’altra a Enrico Pedenovi, avvocato e militante del Movimento Sociale ucciso nel ’76 in un agguato da tre membri di Prima Linea. Figure molto diverse tra loro, riconducibili sicuramente tutte alla stessa parte politica ma separati dalla storia personale e, ancora di più, dalle circostanze della propria morte.

Eppure “i morti sono tutti uguali”, come si è già visto nel caso delle commemorazioni tenute al cimitero monumentale, è un ritornello che a chi ha nostalgia del fascismo serve come scusa fondamentale per dare legittimità alle proprie idee. Se in quel caso l’alibi storico era il ricordo di morti che volenti o nolenti hanno combattuto in nome dell’Italia, da questa c’è un dolore ancora vivo, ferite aperte che si vogliono sia storicizzare, costringendo quindi la cittadinanza e le istituzioni a piangerle, che tenere aperte come strumento politico di propaganda.

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Insomma, l’atteggiamento è sempre apertamente provocatorio e si chiede il supporto delle istituzioni sapendo di non poterlo ricevere, come del resto non era mai stato dato neanche negli anni in cui a a palazzo Marino c’era colei che uno skin di Lealtà-Azione lo aveva a volantinare nel suo gazebo. Allo stesso tempo, i promotori del corteo avrebbero ben poco da dire e da fare senza poter puntare il dito contro il comune e contro un centro-sinistra che, se per motivi generazionali ha oramai meno a che fare con chi era stato dentro i gruppi extraparlamentari negli anni Settanta, deve per forza di cose confrontarsi con il passato recente della città.

Dicevo prima che l’atteggiamento del comune ha scontentato tutti, ma mi accorgo ora di quanto sia poco corretto affermare qualcosa del genere dal momento che l’estrema destra ha un disperato bisogno di manifestare la propria distanza dal sindaco.

I morti sono tutti uguali quando si avanzano pretese, ma non lo sono nella pratica politica quotidiana di chi le avanza, quindi, seriamente cosa ci stiamo raccontando? Una favoletta sugli opposti estremismi e sulla “redenzione” che i morti di sinistra avrebbero avuto da parte della storia, negata invece a quelli di estrema destra. Roba che qualunquisticamente si potrebbe considerare vera, ma basta un’occhio superficiale ai fatti per notare le differenze—non tra morti ma tra i valori e le motivazioni di chi li commemora.

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Gesti, simboli, ritualità e contenuti etici della manifestazione, infatti, sono inconfondibili fin dall’inizio del corteo. Fin dalla deposizione della prima corona di fiori sulla targa di Carlo Borsani in piazzale Susa si chiama l’attenti, ovviamente seguito da un saluto romano collettivo al camerata. Gli intervenuti sono per un abbondante 70 percento skinhead, molti dei quali indossano la felpa di Lealtà-Azione. Sono poche le facce meno “riconoscibili” e appartengono perlopiù a vecchi militanti la cui età supera i sessant’anni. Tra questi c’è Romano La Russa, ex consigliere della Regione Lombardia e fratello del più famoso Ignazio, che da giovanissimo e fresco di abilitazione rappresentò come avvocato proprio la famiglia Ramelli.

Alla testa del corteo sfilano bandiere italiane e altre con stampate enormi croci celtiche; la coda segue con le fiaccole in pugno, al ritmo lento e marziale di un tamburellatore in perfetto costume da NAR anni Settanta. Sembra Er Nero di Romanzo Criminale.

Gli skin, dicevo, sono tanti, e alcuni sfoggiano un look e una simbologia più da nazifascismo pan-europeo che italo-nostalgico. Si sono viste svastiche, Thule e Soli Neri. Non posso fare a meno di notare un ragazzo molto confuso con la maglia dei Sex Pistols, e il signore coi baffetti che avevo già incontrato al monumentale e che in quell’occasione non vedeva l’ora di farsi intervistare.

Tutto scorre comunque piuttosto tranquillo per gran parte della transumanza, in un silenzio ovviamente funebre che si vorrebbe solenne e drammatico. A un certo punto uno mi chiede di reggergli la torcia per allontanarsi a pisciare. Gli scoppierei a ridere in faccia, ma per fortuna la veste di giornalista mi mette al riparo dal sembrare scortese. No, non reggo una torcia in mezzo ai fasci, mi dispiace.

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A una certa sento qualcuno urlare “fascisti” da una finestra. Mi sarebbe venuto da dirle che se voleva essere offensiva avrebbe dovuto aggiungere un aggettivo, che questi sanno già bene di esserlo.

La tranquillità è rotta da un episodio piuttosto grottesco: qualcuno si ricorda che il quartiere di Lambrate porta una medaglia al valore per la resistenza e fa partire "Bella Ciao" dal davanzale di casa sua. Quattro ragazzi con la polo di forza nuova decidono di fiondarsi dentro il condominio, non sia bene con quali intenzioni dato che vengono ovviamente bloccati da agenti della digos in borghese che li rimandano indietro come niente fosse.

Una muretto di skin ci impedisce di fotografare la faccenda, ma il momento comico è comunque dietro l’angolo: un tipo commenta “andassero a casa loro a fare ste cose,” e quando gli faccio notare che la ragazza stava effettivamente esprimendo il suo dissenso dentro le mura di casa mi risponde che allora dovrebbe emigrare perché chi fa queste cose “è un traditore di merda.”

Poco distante si era appena svolto un contro-corteo antifascista, ed è la prima volta che questo viene autorizzato in semi-contemporaneità dalla questura. Ovviamente è proprio di questo che si lamentano. “Pisapia l’ha autorizzato quel fetente, è proprio un fetentone,” sento affermare da un signore anziano nei pressi del murale di Ramelli.

Qualche giorno fa, proprio quel murale era stato deturpato, e la sezione locale di Fratelli D’Italia non aveva perso occasione di puntare il dito contro un consiglio comunale che non farebbe abbastanza per rispettare la memoria dei loro morti. Dal canto suo Pisapia aveva chiesto che la manifestazione fosse vietata, con la solita scarsissima convinzione che lo contraddistingue e le affermazioni tiepide che sembrano incapaci di ammettere quello che è effettivamente sotto gli occhi di tutti. Ovvero che i morti non sono tutti uguali se a conservane la memoria è qualcuno che ha intenzione di fare un uso preciso di quest’ultima.

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Dal canto mio, trovo anche abbastanza squallido il modo che le istituzioni democratiche hanno di demonizzare la violenza politica, che sarebbe ancora più insensata proprio perché politica. Personalmente la penso all’opposto, ma con questo non voglio assolutamente giustificare degli omicidi né generalizzare su situazioni che andrebbero seriamente considerate nella loro unicità e specificità. Ad ogni modo, sarebbe perfino più accettabile che i militanti di estrema destra avessero il coraggio di porsi in conflittualità aperta con il sistema quando piangono i morti.

Non succede praticamente più niente fino alla deposizione dell’ultima corona; le famiglie e gli anziani sono pian piano defluiti e nell’ultima parte di corteo sono rimasti praticamente solo gli skin. Ci rompiamo altamente le palle e capisco che è ora di levare le tende quando un mucchio di loro non prende affatto bene la decisione di Guido, il fotografo, di farsi un autoscatto con loro sullo sfondo.

Fulminati dai loro sguardi ce ne andiamo a riprendere il motorino, e ci accorgiamo di averlo parcheggiato in piazza Durante, proprio sotto la targa intitolata a Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci. I morti sono davvero tutti uguali?

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