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A8N4: Il numero dello spettacolo

I Re Magi d'Oltreoceano

Grazie, Americani, che ci finanziate i films.

La fine della Seconda Guerra Mondiale non è stato un gran periodo per noi italiani: niente cibo, una situazione politica instabile, e un passato fascista che ci ha resi per sempre lo zimbello degli stand-up comedian. Grazie al piano di ricostruzione del Segretario di Stato americano George Marshall, l’Italia e altri 16 Stati europei poterono beneficiare di discrete somme di denaro per ripartire. Il fatto strano riguardante questo glorioso intervento è che una grossa parte dei fondi destinati alle casse del nostro Stato furono investiti nell’industria cinematografica. Lo scopo degli americani era quello di utilizzare le maestranze italiane, che fino a quel momento si erano dedicate ai documentari fascisti o al genere dei telefoni bianchi, per una serie di film (corti, lunghi e documentari) su quanto bene avessero fatto gli Stati Uniti all’Italia. E per dire che i comunisti erano il male del mondo. Ma non si tratta di messaggi da cifrare in una simbologia costruita ad hoc: il tutto era fatto con l’esuberante entusiasmo di chi ha organizzato una festa e sta offrendo da bere a tutti. Questi “Film del Piano Marshall” vengono citati raramente nei libri di storia del cinema, nonostante il ruolo fondamentale nella costruzione del sentimento di devozione verso l’America degli italiani e per aver formato molti nomi che sono diventati leggenda del cinema.

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Regina Longo, Managing Editor di California Italian Studies Journal, è una delle poche ricercatrici a essersi occupata a fondo del tema. Nella sua ricerca ha analizzato più di 200 film prodotti attraverso i fondi del Piano Marshall e altri fondi di provenienza americana (sì, c’è anche la CIA di mezzo) creati con scopi propagandistici, per rendere ancora più positiva l’immagine degli Stati Uniti agli occhi degli italiani—evidentemente non soddisfatti della reputazione di salvatori della Patria che già si erano conquistati—, ma soprattutto per cercare di contenere il successo elettorale del Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti. La scelta dell’Italia fu dovuta anche alla presenza di maestranze già preparate e dei fondi investiti dalle case cinematografiche americane e dal Governo stesso prima del 1938, anno in cui Mussolini decise che l’unico cinema estero degno di essere visto era quello tedesco e che se si dovevano produrre dei film lo si faceva con l’italica lira. Nel 1944, dopo i soldati arrivarono le grandi case di produzione, “Hollywood lavorava già con i militari e con il Governo statunitense per girare film di propaganda,” mi ha detto la Longo. “Una volta riaperti questi fondi, le case di produzione hanno utilizzato prestanome, facendo girare denaro da una banca all’altra, e inventando società fittizie per recuperare questi soldi che comunque non potevano uscire dall’Italia. Per questo la MGM, la Paramount e altre case produssero molti film in Italia.” Alla luce di questi scambi, il CISJ definisce opere classiche come Vacanze Romane film “del Piano Marshall”. Ma il vero corpus di opere appartenenti a questa categoria comprende corti, documentari e opere di fantasia destinate al pubblico italiano, e in parte anche alle altre Nazioni sotto il piano di recupero americano.

I cortometraggi e i documentari brevi erano distribuiti dalla Industria Cortometraggi Italiani e raccolti nel cinegiornale La settimana INCOM, proiettato prima di ogni film e per cui sono stati creati dei “cinema itineranti” da portare nei paesi in cui non esistevano sale di proiezione. Spiega la Longo, “Tutti questi film sono fatti con un misto di fondi del Dipartimento di Stato americano e dell’Italian Information Agency, centro di documentazione italiano creato da De Gasperi e tenuto in vita per cinque-sei anni con i fondi della CIA, che notoriamente appoggiava De Gasperi e la DC.” Questo cinegiornale si occupava di fatti di costume e di notizie riguardanti i rapporti Italia-America, sottolineando l’amicizia fra i due Stati e la devozione della prima verso l’altra: la prima Settimana INCOM, nella quale viene intervistato Ellery Stone, ammiraglio capo della Commissione Alleata, si intitola “L’Italia muove i primi passi sulla strada della democrazia”—seguono puntate sulle generose donazioni di derrate alimentari da parte della popolazione americana che la voce fuoricampo definisce i Re Magi d’Occidente. “Ci sono diverse puntate di questi cinegiornali in cui si parla degli scambi di tecnici fra Italia e Stati Uniti con un entusiasmo spropositato, ‘Guardate, questo tecnico della TV di New York è un italiano puro! Ci diamo una mano a vicenda!’”

I film a partire da storie di finzione erano girati e sceneggiati sul modello del cinema neorealista, che in quel momento era il più in voga. Secondo la Longo, il film modello di questo genere è Aquila di Jacopo Erbi (1950, prodotto dalla ECA, l’agenzia governativa per l’erogazione degli aiuti del Piano Marshall): “Aquila è uguale a Ladri di Biciclette: un padre di famiglia non ha soldi per mandare avanti la casa e vaga per Trieste in cerca di lavoro, che non trova. Torna a casa e il figlio è triste perché non ha abbastanza da mangiare, quindi decide di rubare delle caramelle per il figlio, ma la polizia lo scopre. La vicenda si risolve con la riapertura della raffineria Aquila, ricostruita con i soldi arrivati tramite l’ECA, e l’assunzione del protagonista. Tante opere sono fatte seguendo il modello neorealista, sia perché era il più conosciuto dai tecnici, ma soprattutto perché era quello che gli italiani volevano vedere.”

Lo sceneggiatore di Aquila è Tullio Kezich, meglio noto come critico cinematografico, e tra gli altri nomi di spicco nella produzione di questi film troviamo Bernardo Bertolucci e Federico Fellini. Tutti gli autori che hanno lavorato in queste produzioni hanno approfittato dei guadagni per portare avanti progetti personali e farsi le ossa, “direi che fino al periodo degli Spaghetti Western di Sergio Leone, tutti gli autori devono ringraziare i film del Piano Marshall, non per gli investimenti di denaro, ma per il modo di lavorare tipico del periodo, in cui si badava poco al colore politico: ex fascisti lavoravano con comunisti, che in seguito avrebbero fatto lavori anti-americani. Era uno ‘stato di eccezione’, uno di quei periodi possibili solo alla fine di grandi conflitti.”

Tutto molto bello, ma a questi film propagandistici che tanto hanno fatto per la nostra industria, bisogna affiancare una sorta di ricatto mosso dal Presidente Truman nei confronti del Governo italiano: “Tra il ’38 e il ’44, gli unici film americani sul territorio italiano erano vecchi film muti. Nel ’45, Truman chiarì che se non fossero entrati tutti i film americani prodotti da quell’anno in poi, non sarebbero arrivati i soldi utili alle infrastrutture o ad altri lavori di ricostruzione.” Ma dalla ricerca della Longo emerge che gli italiani continuarono comunque a preferire le produzioni nazionali. “È interessante notare che gli studiosi di storia del cinema scindono la produzione dei film del Piano Marshall da quella del cinema italiano come se non avessero nulla a che fare l’una con l’altra. Per questo nelle biografie di Fellini non si parla di questi film,” spiega la Longo. La storia della cultura popolare italiana racconta gli effetti dell’overdose di film americani nel mostro di Sordi in Un americano a Roma, e dei giovani italiani che abbandonano la coppola per il cappello da baseball e si fanno prendere per il culo da Renato Carosone. Dalla mia esperienza di osservazione antropologica posso parlare dei miei nonni che finché sono stati in vita usavano “dollaro” quando si doveva parlare di soldi grossi—e anche per chiamare l’Euro, ma quello forse, più che dalla propaganda, era causato dalla vecchiaia.