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Essere autistico non fa di me un robot

Mi capita ogni giorno di preoccuparmi di aver turbato gli altri con il mio comportamento quando in realtà non l'ho fatto e mi confondo quando la gente non parla in modo chiaro, ma di certo non sono un robot.

Illustrazione di James Burgess

Se provaste a chiedere in giro come sono gli autistici, con ogni probabilità vi sentireste rispondere sempre le solite cose: sono persone asociali ma dotate di una memoria incredibile, incapaci di provare particolari sentimenti o di mostrare empatia e che intrattengono pochi, pochissimi rapporti di amicizia. Essenzialmente, noi autistici siamo considerati dei robot.

In questa proiezione piuttosto diffusa, la persona autistica ha la disinvoltura di un Milhouse Van Houten, e emotivamente è una via di mezzo tra Raymond Babbitt di Rain Man e Benedict Cumberbatch in Sherlock.

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Eppure, tutte queste convinzioni sono vere e proprie stronzate.

Bisogna ricordare prima di tutto che l'autismo è un disturbo della personalità (non una malattia mentale, perché l'autismo in sé non implica una disabilità) in cui il principale problema è dato da una certa incapacità di comprendere le emozioni e il linguaggio non verbale. Laddove la maggior parte della gente riesce a comunicare il proprio stato d'animo attraverso il comportamento, il tono di voce o la mimica facciale, la persona autistica fatica a cogliere queste sfumature emotivo-comportamentali, soprattutto in giovane età. L'autismo è una forma di cecità mentale che rende difficile creare relazioni e sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d'onda delle altre persone.

Io ad esempio sono affetto da sindrome di Asperger. Sullo spettro dell'autismo, e partendo dalla forma più debole, ossia quella neurotipica, all'autismo vero e proprio, la sindrome di Asperger è sicuramente più vicina a quest'ultimo che al primo. In pratica, comporta un autismo light.

Parlando di emozioni (non mi stancherò mai di ripeterlo), il fatto che gli autistici non siano in grado di provarne è un vero e proprio mito. Anzi, si potrebbe dire che vale tutto il contrario. Secondo Carol Povey, a capo del Centro per l'autismo della National Autistic Society inglese, le persone autistiche "provano emozioni in maniera più intensa rispetto agli altri a causa di una iper o ipo sensibilità ai suoni, al tatto, ai sapori, agli odori, alla luce e ai colori." Quindi noi siamo perfettamente in grado di provare emozioni: l'alienazione è causata dalla difficoltà a esprimerle o a interpretarle.

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Questo fraintendimento deriva proprio dalla difficoltà che gli autistici hanno ad esprimere emozioni. Sarah Hendrickx, che scrive spesso di autismo, sostiene che "la diffusione di questa idea errata sull'autismo è legata al fatto che noi autistici molto spesso non cambiamo espressioni facciali, non facciamo i cosiddetti sorrisi sociali, e quindi la gente pensa che dentro siamo vuoti o piatti proprio come i nostri volti." In questo caso però le impressioni sono davvero ingannevoli.

Ad esempio può accadere che una persona autistica non risponda al vostro sorriso con un altro sorriso o con un'espressione amichevole. E questo non perché provi astio nei vostri confronti o pensi che abbiate l'alito cattivo o non senta alcuna emozione, ma semplicemente perché non recepisce il messaggio veicolato attraverso quel sorriso che dice "possiamo essere amici."

Posso riportarvi un sacco di esempi personali: alle elementari ho fatto piangere un mio compagno perché gli avevo detto che il suo disegno faceva schifo. Non avevo la minima idea che la cosa lo avrebbe fatto rimanere male. Un'altra volta invece non ho comprato un regalo a mio padre per la festa del papà perché pensavo che non gliene importasse niente. Invece gliene importava eccome ed era triste perché non gli ho fatto neanche un bigliettino.

Mi capita ogni giorno di preoccuparmi di aver turbato gli altri con il mio comportamento anche se in realtà non l'ho fatto; mi confondo quando la gente non parla in modo chiaro, cerco quasi di entrare dentro l'altra persona per capirla e soffro costantemente di una specie di stanchezza a causa della quantità di energia mentale che disperdo nel cercare di capire tutte queste cose. Questi aspetti, almeno per me, sono parte integrante della sindrome di Asperger.

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E sono anche i fattori che hanno un impatto negativo sulla vita delle persone con autismo. Quando bisogna combattere per intrattenere delle conversazioni normali o per creare relazioni con gli altri, quando vieni preso in giro da chi non ti conosce bene a causa delle tue abitudini un po' eccentriche, ecco, questi sono i problemi.

Spesso gli altri pensano che siamo semplicemente scortesi o maleducati. Come osserva Hendrickx, "se sei una persona autistica nel pieno delle sue facoltà intellettuali e fai una gaffe, automaticamente la gente pensa che, siccome sei abbastanza sveglio da capire quello che hai detto, allora l'hai fatto apposta." Ma, per esperienza personale, posso assicurarvi che questa convinzione è assolutamente sbagliata.

Spesso noi stessi non riusciamo a capire di avere un disturbo e questa cosa può essere paralizzante. Ci sono centinaia, se non migliaia, di persone a cui l'autismo viene diagnosticato in età avanzata e ci sono molte persone a cui non viene neanche diagnosticato perché l'autismo è invisibile e rende davvero difficile comunicare ciò che si prova ai propri familiari, agli amici e ai dottori.

Rendersi conto di avere atteggiamenti strani e diversi da quelli degli altri ma non riuscire a capire perché ci si comporta in un determinato modo può essere psicologicamente devastante e causare tristezza, solitudine, apatia e depressione.

Da questo punto di vista i dati sul panorama inglese sono piuttosto sconfortanti. Secondo Povey, "ben il 63 percento dei bambini e ragazzi che soffrono di autismo oggetto della nostra indagine del 2012 sostiene di essere stata vittima di bullismo a scuola." Altri dati della National Autistic Society invece ci dicono che un bambino autistico su cinque è stato escluso dai compagni a scuola, che solo il 15 percento degli adulti con autismo ha un lavoro regolare, mentre il 51 percento degli adulti autistici non lavora e non percepisce il sussidio."

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Un ​altro studio pubblicato sulla rivista di psichiatria The Lancet ha stabilito che il 31 percento delle persone intervistate (persone affette dalla sindrome di Asperger) ha dichiarato di soffrire di depressione mentre ben il 66 percento ha affermato di aver preso in considerazione il suicidio. A confermare questi dati ci pensa la ​guida all'autismo di Tony Attwood, uno dei massimi esperti mondiali della sindrome di Asperger: lì si afferma infatti che un terzo delle persone affette da Asperger soffre di depressione.

Questi dati mostrano soprattutto quanto sia facile cadere in depressione e smettere di credere in una possibile ripresa. Del resto è anche comprensibile: quando sei costretto a lottare, senza lavoro e senza soldi, e i tuoi genitori sono l'unica risorsa su cui puoi contare per avere un po' di sostentamento e un posto in cui vivere, quando non riesci a essere felice e al tempo stesso non hai nessun amico con cui condividere la tua situazione. Ecco, quando le cose stanno così si stabilisce un circolo vizioso. Smettiamo di crederci e di provarci e l'apatia inizia a paralizzarci.

Parlo per esperienza personale. Anche se non credo di aver mai sofferto di depressione ho comunque passato lunghi periodi di tempo a sentirmi privo di vita e pieno di ansia. Per mesi e mesi, dopo l'inizio del mio primo lavoro a tempo pieno, sono stato ridotto in un pessimo stato: ero sempre nervoso, non ero soddisfatto e non mi prendevo più cura di me, né da un punto di vista estetico né da un punto di vista igienico. Mi sarei voluto lavare solo due volte a settimana e il mio unico desiderio era andare a lavorare indossando un pile coperto dai peli del mio gatto e dai miei capelli lunghi sporchi.

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A Natale del 2012 ho toccato il fondo. Per qualche settimana avevo vissuto in uno stato di ansia, e pochi giorni prima di Natale mi è venuto un attacco di panico. È stato l'attacco di panico più potente che abbia mai avuto, il primo in cui ho davvero temuto per la mia sanità mentale. Continuavo a ripetermi "fermati, basta." E alla fine ce l'ho fatta.

Ma nonostante ciò, per poter tornare a essere nel pieno delle mie facoltà mentali, ho dovuto aspettare il giorno di Santo Stefano. La mia ripresa è stata difficile anche perché era Natale e dovevo per forza cercare di mostrarmi tranquillo e sereno in famiglia. La National Autistic Society fornisce un servizio di supporto anonimo via mail che mi è stato di grandissimo aiuto in quei giorni. Mi hanno dato un sacco di consigli utili, con un calore e un'umanità davvero fondamentali in quel momento.

Quello che mi è successo è stato sicuramente causato dall'ansia e non dalla depressione; anche nei miei momenti peggiori, infatti, i pensieri positivi non mi hanno mai abbandonato. Ho sempre pensato che ce l'avrei fatta, che sarei riuscito a uscire da quel casino. E fortunatamente ci sono riuscito. Ma penso che senza l'amore e il sostegno della mia famiglia avrei mollato. Ed è esattamente questo che succede agli altri.

Se vogliamo davvero aiutare le nuove generazioni ad affrontare questi problemi, allora dobbiamo fare in modo che tutti abbiano più informazioni e quindi una maggiore comprensione del fenomeno. Come ha detto Povey: "serve che ogni settore della società, da quello sanitario a quello culturale e mediatico, abbia consapevolezza di questa condizione."

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I fraintendimenti sull'autismo derivano spesso da quello che vediamo in televisione o al cinema. Tutti conosciamo Rain Man, eppure la fedeltà con cui viene ritratto l'autismo nel film è paragonabile a quella con cui Braveheart ritrae la storia scozzese. Rain Man parla della sindrome del Savant e non dell'autismo. Una grande differenza, ad esempio, sta nel fatto che solo il 50 percento delle persone affette dalla sindrome del Savant è autistica, o, come dice Povey "su 200 persone autistiche solo due hanno delle particolari abilità."

Uno dei principali problemi, come ha osservato Hendrickx, è che "la televisione e i film ci fanno sempre vedere la versione più estrema dell'autismo perché tutti quei problemi concentrati in un'unica persona rendono il personaggio più accattivante." Inoltre credo ci sia anche il desiderio di comunicare in modo chiaro che un personaggio è autistico attraverso segnali ben marcati, e questo conduce quasi sempre a rappresentazioni inappropriate.

Per fortuna comunque esistono anche degli esempi positivi. Il personaggio di Abed in Community ne è un esempio. Anche quello di Sara Noren in The bridge ritrae con estrema precisione l'autismo. Per di più è un personaggio femminile, e in linea di massima sono poche le donne affette da autismo che vediamo sullo schermo. In generale, la rappresentazione televisiva dell'autismo sta migliorando.

Quanto ai media, invece, dovrebbero dare più speranza agli autistici. Se è vero che questo disturbo può essere devastante è anche vero che può comportare tutta una serie di capacità potenziate. A volte le persone autistiche hanno un talento enorme, sono dotate di un'ottima capacità di concentrazione e di una incredibile memoria.

Albert Einstein, Alan Turing e Isaac Newton sono stati considerati tutti, in retrospettiva, soggetti autistici, affetti da tre forme diverse dello stesso disturbo: stiamo parlando di tre scienziati fondamentali, capaci di mostrare ciò che sono in grado di fare le persone autistiche: hanno generalmente un QI superiore alla media e sono degli ottimi studiosi. Se verrà dato loro tutto l'amore, l'affetto e la comprensione di cui hanno bisogno, queste persone non si troveranno a vivere una vita all'insegna della tristezza, della depressione e del desiderio di farla finita. Siamo in grado di avere rapporti affettivi con gli altri, di vivere felici e di contribuire allo sviluppo della società.

Le persone autistiche hanno solo bisogno di un po' di comprensione. Non siamo robot privi di emozioni. Siamo esseri umani.

​@Debaser92​