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A9N5: Sauna salvadoregna

Immolazione di massa

Di recente, la Bulgaria ha assistito a un'ondata di suicidi a causa dell'impossibile situazione socio-economica in cui è costretta a vivere la popolazione, che cerca di catalizzare l'attenzione sulla propria condizione dandosi fuoco.

Donka e Georgi Kostov al centro ustionati dell’ospedale di Plovidiv, due settimane dopo il tentato suicidio di Georgi.

Non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno che si è dato fuoco. Uno dei motivi è che si tratta forse della cosa più tremenda e fuori di testa possibile. Un’altra ragione è che le persone che bruciano vive di solito muoiono. Sorprendentemente non sono sempre le ustioni a ucciderli. Spesso le fiamme entrano attraverso la bocca fin dentro i polmoni, asfissiandoli. Qualche tempo fa sono stato in Bulgaria, dove ho incontrato non uno, ma due sopravvissuti a tentati suicidi via fuoco. “Risolvere i problemi con la benzina è diventato una moda,” mi ha detto Georgi Kostov al centro ustionati dell’ospedale di Plovdiv, la seconda città della Bulgaria. Era ancora in stato di shock, quindi è stata perlopiù sua moglie Donka a parlare. Mi ha spiegato come la coppia fosse disoccupata, piena di debiti e faticasse per dare da mangiare ai figli, quando, due settimane prima della mia visita, Georgi si era chiuso nella sua stanza nel loro appartamento della città industriale di Dimitrovgrad. Ne era uscito zuppo di benzina, convinto che la Mafia fosse fuori dalla porta di casa per reclamare i suoi debiti e ucciderlo. In piedi davanti alla sua famiglia, aveva fatto scattare l’accendino per poi prendere fuoco. Donka si era buttata su di lui per soffocare le fiamme, mentre la sorella gli gettava acqua addosso. Sono riuscite a salvare Georgi, ma sua moglie ne è uscita con ustioni di terzo grado su entrambe le braccia. “Era davvero depresso,” mi ha detto. “Non sapeva come far sì che qualcuno si accorgesse della nostra povertà. Quindi ha fatto questa cosa orribile.” Georgi non è l’unico. Quest'anno, la Bulgaria ha assistito a un’ondata di suicidi. Nel solo periodo tra febbraio e marzo sei bulgari si sono fatti bruciare vivi, e il conto sale se consideriamo gli ultimi mesi. (Più che in ogni altro paese, eccetto la Cina, dove i monaci buddisti tibetani usano questa tattica per protestare contro le persecuzioni religiose.) Alcuni dicono che l’ispirazione sia venuta dal fotografo trentaseienne Plamen Goranov, che si è dato alle fiamme il 20 febbraio davanti al comune di Varna, una città turistica sulla costa del Mar Nero.

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Un omaggio a Plamen Goranov fuori dal comune di Varna, dove l’artista si è dato fuoco il 20 febbraio 2013. Stando ad alcuni giornalisti, il commercio a Varna è controllato dal gruppo affaristico TIM; in un dispaccio diplomatico del 2005 pubblicato da WikiLeaks, l’ex ambasciatore statunitense in Bulgaria lo accusava di racket, prostituzione ed estorsione. La TIM, dice, era “l’astro nascente del crimine organizzato bulgaro.” Plamen si è dato fuoco per protestare contro la presunta relazione tra la TIM e il sindaco di Varna, Kiril “Kiro” Yordanov. Prima di appiccare le fiamme al proprio corpo ha appeso un cartello che richiedeva le “dimissioni di Kiro e di tutto il consiglio comunale entro le 17.”

Plamen è morto, e 12 giorni dopo si è esaudito il suo desiderio: manifestazioni e veglie in sua memoria si sono tenute in tutte le maggiori città del Paese, e, sotto la pressione del suo stesso partito, Yordanov si è dimesso. Galvanizzate da questo successo, manifestazioni contro la corruzione sono scoppiate in tutto il Paese e, alla fine di febbraio, sono diventate così imponenti da spingere il primo ministro Boiko Borisov, un presunto ex spacciatore di anfetamine, a dimettersi a sua volta. Quando il suo rimpiazzo, il socialista Plamen Oresharski, ha nominato alla guida dell’Agenzia di Stato per la Sicurezza Nazionale un magnate dei media ampiamente odiato e notoriamente corrotto, Dalyan Peevski, i manifestanti hanno costretto anche lui a fare un passo indietro.

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A sinistra: Al suo risveglio dal coma in ospedale a Sofia, Dimitar Dimitrov si è fatto una foto con il cellulare. “Ho fatto cadere il telefono cinque volte provando a farla,” ha detto. “Sembravo Quasimodo.” A destra: Un manifestante durante una marcia durata un'intera notte a Sofia. I partecipanti alle marce chiedono le dimissioni dell’attuale primo ministro, Plamen Oresharski.

Durante la mia visita a Sofia, a giugno, c’erano marce da migliaia di persone ogni sera. I manifestanti avevano alzato la posta, invocando le dimissioni del primo ministro Oresharski. In omaggio all’uomo la cui immolazione nel 1969 aveva dato il via alla caduta del regime sovietico in Cecoslovacchia, la gente ha iniziato a chiamare Plamen lo “Jan Palach bulgaro". È tuttora da vedere se gli ultimi mesi abbiano segnato l’inizio di una Primavera Bulgara, o se siano stati solo una disastrosa dimostrazione di cinismo e disperazione. In ogni caso, una cosa è chiara: nel momento in cui scrivo i suicidi continuano a intermittenza, e sono una delle eredità più discutibili del tentativo della Bulgaria di diventare un Paese meno corrotto e più democratico. “L’unico modo perché qualcuno ci ascolti e presti attenzione,” mi ha raccontato Dimitar Dimitrov, un altro sopravvissuto in convalescenza in una casupola nella regione rurale della Silistra, “è darci fuoco.” In un Paese in cui si lotta ancora per la democrazia dopo quasi 50 anni di dominio comunista, e in cui l’ingresso nell’Unione Europea, ottenuto nel 2007, non ha portato alcun miglioramento significativo nel tasso di povertà o nel grado di trasparenza del governo, l’immolazione rimane una delle poche forme di critica attuabili. “Ci stiamo ammazzando perché non c’è un modo efficace per scontrarsi con il sistema politico,” mi ha detto Dimitar. “Ma mi è successo qualcosa di strano—sono sopravvissuto. Sono sopravvissuto per raccontare la mia storia.” VICE: Descrivici cosa ti è successo il 13 marzo, il giorno in cui ti sei dato fuoco.
Dimitar Dimitrov: Quel giorno è iniziato 23 anni fa [al collasso del governo comunista, nel 1989]. Il nostro governo— prima coi comunisti e poi coi politici “democratici”—è sempre stato legato agli oligarchi, al mondo criminale, a gente incompetente. Sotto il comunismo dovevo svegliarmi alle cinque del mattino per mettermi in fila per comprare il latte e il pane per mio figlio. Sotto questo governo ero un fabbro, finché la mia officina non è fallita. Il lavoro che dava da mangiare alla mia famiglia è sparito. Poi è diventato impossibile permettersi l’elettricità. Con il comunismo avevamo soldi, ma non c’era niente da comprare. Ora puoi comprare quello che vuoi, ma non ci sono soldi. Si era sempre in recessione, e alla fine mi sono stufato.

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Dimitar Dimitrov a casa di sua moglie nel paesino di Silistra, quattro mesi dopo il suo sacrificio.

Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?
Avevo deciso di farlo il giorno prima. Il Primo Ministro [Boiko Borisov] si era appena dimesso ed erano state annunciate nuove elezioni, e io non ne potevo più. Quindi ho deciso di togliermi la vita davanti al palazzo presidenziale. Mi son svegliato presto e ho bevuto il caffè con mia moglie. Ero convinto, ma non le ho detto niente. Ero molto silenzioso. Dopodiché sono andato in un negozio e ho comprato una birra. L’ho bevuta coi miei vicini. Sono andato a un benzinaio e ho riempito di benzina una bottiglia vuota di vodka. Sono salito sul treno verso il centro e una volta arrivato ho camminato per un po’. Erano circa le 10 e ho camminato fino all’una e mezza. In quel lasso di tempo, mi sono bevuto una birra da solo in un bar sconosciuto. Ho una figlia, e ho pensato a lei. Non è che viva così male, ma volevo che avesse la stessa vita di una ragazza americana. Ho pensato che valeva la pena non avere un padre, in cambio di una vita migliore. Uno non può vivere in costante recessione.

Alla fine sono andato davanti al palazzo. Ho preso la bottiglia di benzina e me la sono rovesciata sul petto e sulla testa. Ho fatto scattare l’accendino. Ho lavorato col fuoco tutta la vita [come fabbro], ma questa volta ho visto un’enorme palla di fuoco e mi sono spaventato. Ho gridato per il dolore. Mi sono sorpreso che facesse male fin dall’inizio. Ti sei mai scottato con una goccia di olio che schizza da una padella? Era come essere dentro la padella. La mia testa, il viso, le spalle, le mani, tutto. Poi ho sentito gente gridare, “Quest’uomo si è dato fuoco!” Erano le guardie di sicurezza, e mi hanno subito svuotato gli estintori addosso, cercando di spegnere le fiamme. C’erano stati così tanti suicidi che erano preparati. Avevano paura che qualcuno facesse quel che ho fatto io. Quindi sono riusciti a spegnermi. Ho perso conoscenza, e mi sono svegliato in ospedale. Sono sopravvissuto perché le guardie sono state veloci, e perché l’ospedale era vicino, ma non me lo ricordo. Sono stato in coma una settimana.

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Quando mi sono svegliato avevo un aspetto orribile. Mi sono fatto una foto con il cellulare. L’ho fatto cadere cinque volte provando a fare uno scatto decente. Non avevo più pelle. Sulle braccia mi spuntavano le ossa. Non avevo labbra. Ero grottesco, come Quasimodo. Quando ho visto la foto ho pensato che sarei dovuto andare a vivere lontano da tutti in un villaggio sperduto. Sembravo un vampiro. Pensavo che non sarei mai migliorato. Ma all’ospedale di Pirogov, quando ero in convalescenza, il Ministro della Salute veniva a trovarmi tutti i giorni. Le infermiere mi hanno detto che il Presidente mi teneva d’occhio. E questo significava che dovevo sopravvivere. Anche a costo di mandarmi in un centro per ustionati a New York. Dovevo sopravvivere, perché se uno muore davanti al palazzo presidenziale è una cattiva notizia. Non avevo il diritto di morire. E quindi sono sopravvissuto. Più tardi, il governo ha chiuso il mio sito personale, hanno cancellato i miei profili sui social network—Facebook, tutto. Sono stato definito “pericoloso”, hanno paura che istighi gli altri.

Perché hai scelto il fuoco? Perché non una pistola, ad esempio?
Non volevo semplicemente suicidarmi. C’erano un sacco di proteste—ci sono ancora—e non succede niente. Non cambia niente. Non volevo nulla dai politici bulgari. Speravo che il mondo, gente come voi, guardasse al nostro Paese con attenzione. Quando Plamen Goranov si è suicidato, con il suo sacrificio ha fatto fuori il sindaco di Varna. Io volevo far fuori l’intero sistema.

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