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Interstellar, la meraviglia difettosa di Christopher Nolan

Per quanto si sforzi di lasciarsi andare, Interstellar viaggia per due terzi della sua durata con il freno emotivo tirato. Ma quando riesce comunque a sollevarsi dal suolo, l'improbabile lascia posto all'incredibile.

Attenzione: se non avete ancora visto il film, sappiate che potrebbe contenere degli spoiler.

A Christopher Nolan piace immaginare in grande. Stadi che esplodono, città che si piegano su se stesse, onde alte chilometri. Christopher Nolan è il tipo che se in un film può far saltare in aria una nave, cerca di farne saltare due. Contemporaneamente. Se può disinnescare una bomba atomica, preferisce farla esplodere. Il fatto che infine sia approdato ai buchi neri sembra quindi la logica conseguenza di questa sua inclinazione.

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A Christopher Nolan, poi, incuriosiscono i rompicapo metafisici. Quando per i suoi film aveva a disposizione budget (milionari) a una sola cifra, si è per esempio chiesto cosa succede a una coscienza umana privata dell'esperienza (Memento). Quando ha avuto a disposizione budget (idem) a due cifre, si è invaghito dell'idea di perlustrare il tema del doppio e l'esile confine tra meccanica e magia (The Prestige). Ora che gli basta progettare un nuovo film per trovare non una ma due major disposte a finanziarlo, ha deciso di pungolarci con il rompicapo definitivo: lo spaziotempo.

A Christopher Nolan, inoltre, interessano i grandi sentimenti. Che si tratti di entrare in un buco nero, nei sogni di un'altra persona o infilarsi un costume da pipistrello, i suoi eroi sono sempre spinti dalla forza di un legame, dalla nostalgia di esso o dalla paura di perderlo. Si potrebbe dire che l'Universo di Nolan sia un Universo tenuto in equilibrio dall'amore. "Si potrebbe dire" se non fosse già stato lui a dirlo o meglio a farlo dire, nel modo meno equivocabile e più cheesy possibile, al personaggio interpretato in Interstellar da Anne Hathaway. Il limite di Christopher Nolan (o forse solo di suo fratello, lo sceneggiatore Jonathan) è che quando deve "scrivere" un'emozione, al posto di una bella stilografica rossa tira fuori dall'astuccio espressivo un Uni Posca color ghiaccio a punta spessa.

​Interstellar è un capolavoro difettoso e "110 percento Christopher Nolan". Ci sono i fenomeni più enormi dell'Universo conosciuto, ci sono i rompicapo più ostici finora noti alla fisica e ci sono i sentimenti di grana grossa. Questa volta nella forma del legame tra un padre e una figlia che, pur impallidendo di fronte alle dimensioni del cosmo, si rivela la chiave per comprenderne il mistero. L'infinitamente piccolo che si riversa nell'infinitamente grande e viceversa, anche questo è puro Nolan.

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Interstellar è ambientato in un futuro non troppo lontano in cui l'atmosfera terreste è sempre più povera di ossigeno, il mais è l'unica coltura rimasta e, ormai sull'orlo di una carestia globale, l'umanità ha accantonato la propria sete di conoscenza in nome della sopravvivenza e della conservazione. Gli scienziati sono stati riconvertiti ad agricoltori e, per castrarne le ambizioni, a scuola i bambini imparano che l'uomo non è mai stato sulla Luna – ché non sono più tempi per sognatori. Le giornate trascorrono intrappolate in un presente perenne, polveroso non solo metaforicamente dato che gigantesche tempeste di sabbia sono all'ordine del giorno. In questo panorama alla Steinbeck dei tempi anteriori c'è almeno un uomo – con la bella faccia di Matthew McCounaghey, un giubbotto Carrhart e un pick-up della Dodge – che non si rassegna alla decrescita infelice.

Ha una barba di due giorni, parla con un forte accento texano, dice cose ultimative tipo: "Mankind was born on Earth. It was never meant to die here" ma non si chiama Rust Cohle, si chiama Joseph Cooper ed è un ex pilota della NASA, un altro cervello rubato dall'agricoltura. Cooper ha due figli: Tom, un maschio adolescente che va per la sua strada, e Murph, una bambina sveglia che sta sempre appiccicata al padre ed è convinta che ci sia un fantasma nella sua stanza. Incuriosito e scettico allo stesso tempo, Cooper cerca di saperne di più sul conto di questo "fantasma" e, applicando il metodo scientifico, scopre ben presto che i bizzarri avvenimenti hanno a che fare con un'inspiegabile perturbazione della gravità e che, trattandoli come indizi, rivelano la location top-secret di un progetto della NASA per spostare l'umanità su un nuovo pianeta. Già perché, in un mondo ostile agli sprechi, ovviamente la NASA non è la Cavalleria che spara eroi in orbita appena in tempo per deviare asteroidi, come in un Armageddon qualunque, ma una specie di carboneria che deve operare non vista.

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​Sia come sia, Cooper e Murph salgono sul loro pick-up polverosissimo, si imbattono nella base segreta e, nel giro di dieci minuti, gli vengono spifferati da Michael Caine – che per l'ennesima volta, in un film di Nolan, recita la parte del maggiordomo saggio di Batman, solo che in questa occasione è un Alfred da Nobel in fisica – tutti i dettagli del piano top-secret; a cui Cooper, in qualità di miglior pilota di astronavi vivente, viene invitato a partecipare. Ed è così che, nel giro di pochissimo, ma proprio pochissimo, tipo tre giorni, sono tutti pronti a partire. Se vi state domandando: "ma se ci tenevano così tanto, non facevano prima a mandargli una mail con un po' di preavviso?", sappiate che Interstellar è pieno di cose del genere. Di momenti in cui ti verrebbe voglia di prendere i fratelli Nolan sotto braccio e dirgli "Dai! Ma davvero?". Di dialoghi fatali, kitsch nella loro gravitas, che si abbattono sul registro del film come una pioggia di meteoriti. Di spiegoni la cui scarsa credibilità all'interno del tessuto narrativo metterà a dura prova la vostra pazienza. Per esempio quando uno dei componenti della missione, un astrofisico di colore, piega un foglio di carta per insegnare a Cooper il funzionamento di uno wormhole, letteralmente due minuti prima di entrarci. Che delle due, l'una: o magari me lo prepari un attimo prima di partire, oppure non mi sembra una buona idea far pilotare l'ultima speranza dell'umanità a uno con le mie stesse competenze in astrofisica.

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Se gli spiegoni da scemo e più scemo sono il prezzo da pagare quando, avendo speso 160 milioni di dollari per fare un film, non puoi permetterti che la gente non vada al cinema perché "non si capisce", l'antropocentrismo che anima la pellicola, così come i problemi di sceneggiatura e l'involontaria ilarità, causata da tutte quelle occasioni in cui i Nolans si sono fatti prendere la mano scrivendo un dialogo, o hanno pigiato troppo a lungo sul pulsante "seriosità", sono invece una responsabilità specifica dei due fratelli, un limite connaturato al loro cinema. E sono così smaccati e numerosi che affonderebbero il 95 percento dei film a cui riesco a pensare. Il fatto che Interstellar riesca a rimanere a galla e a rientrare in quel 5% di film in cui la totalità dell'opera trascende i difetti della sue singole componenti, la dice lunga sui pregi che, alla fine, salvano questo film.


​In una stroncatura pubblicata su Grantland, il premio Pulitzer 2011 per la Critica Wesley Morris, ha scritto che il problema di Nolan è che "crede che l'intelligenza sia la stessa cosa dell'audacia." Ha ragione, è evidentemente uno dei problemi di Nolan in generale e uno dei problemi di Interstellar nello specifico, un film che non riesce a essere, nella sua interezza, davvero all'altezza delle sue intenzioni e della profondità che ricerca. Un film che, per quanto si sforzi di lasciarsi andare, viaggia per due terzi della sua durata con il freno emotivo tirato. Ed eppure, anche se è senz'altro vero che intelligenza e audacia non sono la stessa cosa, nemmeno per sbaglio, nemmeno nella quinta dimensione, in questo caso nell'audacia di Nolan c'è talmente tanta generosità di visione e intenzioni che, a un certo punto, Interstellar riesce comunque a sollevarsi dal suolo, pur con tutte le sue zavorre, e l'improbabile lascia posto all'incredibile, nella migliore accezione del termine.

C'è un momento, ben oltre la metà, in cui tutte le componenti estetiche del film, dal suono all'immagine, fanno click e il pasticcio a cui hai assistito fino a lì, si trasforma davanti ai tuoi occhi in un capolavoro di ritmo e visione. È un momento che non si può spiegare meglio di così senza sostanziali spoiler (dirò solo che non comincia con il buco nero ma prima), in cui il film ottiene dallo spettatore la totale sospensione della sua incredulità e lo colpisce come un corpo unico. Un momento in cui il peso specifico di Interstellar diventa improvvisamente e misteriosamente superiore alla somma delle sue parti (che è esattamente la magia che non riusciva ad Inception) e la superficie dell'IMAX si trasforma in un grande wormhole per la destinazione finale di qualunque film di Nolan: la meraviglia.​

Segui Cesare su Twitter: ​@CesareAlemanni