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Sia come sia, Cooper e Murph salgono sul loro pick-up polverosissimo, si imbattono nella base segreta e, nel giro di dieci minuti, gli vengono spifferati da Michael Caine – che per l'ennesima volta, in un film di Nolan, recita la parte del maggiordomo saggio di Batman, solo che in questa occasione è un Alfred da Nobel in fisica – tutti i dettagli del piano top-secret; a cui Cooper, in qualità di miglior pilota di astronavi vivente, viene invitato a partecipare. Ed è così che, nel giro di pochissimo, ma proprio pochissimo, tipo tre giorni, sono tutti pronti a partire. Se vi state domandando: "ma se ci tenevano così tanto, non facevano prima a mandargli una mail con un po' di preavviso?", sappiate che Interstellar è pieno di cose del genere. Di momenti in cui ti verrebbe voglia di prendere i fratelli Nolan sotto braccio e dirgli "Dai! Ma davvero?". Di dialoghi fatali, kitsch nella loro gravitas, che si abbattono sul registro del film come una pioggia di meteoriti. Di spiegoni la cui scarsa credibilità all'interno del tessuto narrativo metterà a dura prova la vostra pazienza. Per esempio quando uno dei componenti della missione, un astrofisico di colore, piega un foglio di carta per insegnare a Cooper il funzionamento di uno wormhole, letteralmente due minuti prima di entrarci. Che delle due, l'una: o magari me lo prepari un attimo prima di partire, oppure non mi sembra una buona idea far pilotare l'ultima speranza dell'umanità a uno con le mie stesse competenze in astrofisica.
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In una stroncatura pubblicata su Grantland, il premio Pulitzer 2011 per la Critica Wesley Morris, ha scritto che il problema di Nolan è che "crede che l'intelligenza sia la stessa cosa dell'audacia." Ha ragione, è evidentemente uno dei problemi di Nolan in generale e uno dei problemi di Interstellar nello specifico, un film che non riesce a essere, nella sua interezza, davvero all'altezza delle sue intenzioni e della profondità che ricerca. Un film che, per quanto si sforzi di lasciarsi andare, viaggia per due terzi della sua durata con il freno emotivo tirato. Ed eppure, anche se è senz'altro vero che intelligenza e audacia non sono la stessa cosa, nemmeno per sbaglio, nemmeno nella quinta dimensione, in questo caso nell'audacia di Nolan c'è talmente tanta generosità di visione e intenzioni che, a un certo punto, Interstellar riesce comunque a sollevarsi dal suolo, pur con tutte le sue zavorre, e l'improbabile lascia posto all'incredibile, nella migliore accezione del termine.C'è un momento, ben oltre la metà, in cui tutte le componenti estetiche del film, dal suono all'immagine, fanno click e il pasticcio a cui hai assistito fino a lì, si trasforma davanti ai tuoi occhi in un capolavoro di ritmo e visione. È un momento che non si può spiegare meglio di così senza sostanziali spoiler (dirò solo che non comincia con il buco nero ma prima), in cui il film ottiene dallo spettatore la totale sospensione della sua incredulità e lo colpisce come un corpo unico. Un momento in cui il peso specifico di Interstellar diventa improvvisamente e misteriosamente superiore alla somma delle sue parti (che è esattamente la magia che non riusciva ad Inception) e la superficie dell'IMAX si trasforma in un grande wormhole per la destinazione finale di qualunque film di Nolan: la meraviglia.Segui Cesare su Twitter: @CesareAlemanni