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Intervista a James Ellroy

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James Ellroy è uno dei più affermati scrittori di crime fiction, autore di romanzi come Dalia Nera e L.A. Confidential, e di My Dark Places, le memorie scritte nel 1996 in cui, con l'aiuto di un poliziotto in pensione di LA, cerca di risolvere il caso ancora aperto dell'omicidio di sua madre, avvenuto nel 1958 a El Monte, California. Il nuovo libro autobiografico, The Hilliker Curse, parla invece delle conseguenze di questo evento, seguendo l'ombra lasciata dalla morte della madre sulla vita di Ellroy. È l'autobiografia di un uomo la cui vita è segnata dalle donne, morte e vive, vere e immaginarie. È la storia di un uomo che, come dice il libro stesso, "era ossessionato dal voler scrivere storie e dall'avere delle donne da toccare."
Sono andato alla sede della Knopf per intervistare Ellroy, proprio mentre stava parlando del suo nuovo show televisivo, in cui risolve crimini con l'assistenza di un cane parlante fatto al computer. Non riuscivo a capire se stesse scherzando o meno.

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Vice: Cos'è questa storia del cane parlante?
James Ellroy: Nell'inverno del 2011 comincerà il mio primo show televisivo, James Ellroy's LA: City of Demons. Io sono il protagonista assoluto. Lo show si basa su dei crimini storici avvenuti a L.A., di cui io parlerò con dei testi scritti interamente da me. Ho anche un un cane fatto al computer che mi fa da spalla, Barko. È basato sul mio vero cane Barko, un bull terrier che sarà sempre al mio fianco. Lui è immortale. Lo show alla fine è incentrato su Los Angeles. È spudoratamente autopromozionale e autobiografico.

Sembra fico. Dunque, The Hilliker Curse sono le tue seconde memorie dopo My Dark Places, in cui provavi a risolvere il caso ancora aperto dell'omicidio di tua madre. Quest'ultimo libro non riguarda invece l'omicidio di tua madre, quanto piuttosto come questo evento abbia condizionato la tua vita e la tua relazione con le donne.
È un libro sul romanticismo maschile e sul desiderio sessuale, e su come, nel mio caso, si sia sviluppato in maniera piuttosto traumatica. È la storia della mia incredibilmente dettagliata, variabile e spassionata ricerca di amore, e allo stesso tempo sono delle memorie in senso stretto. È anche una sorta di trattato sullo scrivere fiction e su come questo processo sia condizionato dalle relazioni romantiche della vita reale.

Puoi dirci cos'è questa "curse" (maledizione, ndt) di cui nel titolo?
In occasione del mio decimo compleanno, nel1958, mia madre, Jean Hilliker, una 43enne alcolizzata, mi obbligò a scegliere tra il vivere con lei o con mio padre. Io scelsi mio padre. Per questo lei mi colpì, e mi fece sbattere la testa su uno spigolo di un tavolo di vetro, facendomi sanguinare e causandomi un taglio profondo. Gli dissi che era un troia e un alcolizzata. Lei mi colpì di nuovo. A quel punto dentro di me mi sono augurato la sua morte.
Pochi mesi prima di quest'evento avevo letto un libro di stregoneria e maledizioni, e per molto tempo, dopo la sua morte, ho provato un senso di vergogna e disprezzo verso me stesso–un ridicolo senso di complicità nell'aver causato la morte di mia madre. Io non l'ho uccisa, né ho pianificato il suo omicidio. Avevo solo dieci anni all'epoca. Nonostante ciò, quello è stato uno dei momenti più significativi della mia vita–la questione della maledizione–almeno quanto il momento stesso della sua morte.

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Ci sono particolari conseguenze che derivano dall'aver ripetutamente scritto e parlato di tua madre e del suo omicidio per così a lungo?

Io penso di aver sempre voluto e cercato di essere felice nella mia vita, e penso anche di esserci riuscito. Non sono mai stato depresso, né mi sono mai lamentato troppo. Sono un americano religioso, eterosessuale di destra, sembra quasi che sia nato in un'altra epoca. Non penso che il mondo collasserà a breve, non penso che l'America sia una forza diabolica, ma penso che l'America prevarrà nel mondo della geopolitica. Sono un cristiano nazionalista, militarista e capitalista. La gente spesso ha problemi a riguardo, pensa che queste mie posizioni siano shockanti. Non sento il bisogno di giustificare le mie opinioni. In generale mi ritengo felice, e le ossessioni che ho mi calzano alla perfezione. Nella mia vita mi sono concentrato su poche cose e da queste sono riuscito a trarre profitto. Sono molto bravo a trasformare la merda in oro.

Ti spiace se ti chiedo delle anticipazioni sul tuo prossimo lavoro?
Ambientato a Los Angeles, in un'epoca antecedente a quelle dei miei altri libri.

L'ultimo progetto per il cinema di cui hai parlato era White Jazz.
White Jazz non si è più fatto.

A proposito, ho sempre pensato che The Big Nowhere sarebbe un film perfetto.
Sono d'accordo, sarebbe un grande film. I diritti ce l'ha una casa di produzione italiana, ma anche lì il progetto si è arenato.

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Ritengo che The Big Nowhere sarebbe perfetto perché lo trovo estremamente attuale. Le neurosi della Los Angeles anni '50 descritte nel libro sembrano riflettere quelle odierne. Paura dei messicani, paura degli omosessuali e paura dei comunisti. Guarda cosa succede adesso in Arizona.
Ma quello che succede in Arizona ha una motivazione ben specifica. Sono delle misure per tenere a bada l'immigrazione clandestina no?
Sì.
Allora potrebbe essere una cosa giustificata. Queste situazioni devono essere analizzate una per una, è molto facile cadere nella retorica del razzismo. Il fatto di schedare le persone per razza deriva da constatazioni empiriche, che ci dicono che alcuni tipi di crimini sono commessi in maggioranza da certi sottogruppi razziali. L'ideologia spesso fallisce quando si confronta con temi del genere e personalmente non sente il bisogno di prendere parte al mondo così com'è oggi, né di fare commenti a riguardo. Preferisco ignorare del tutto la cultura odierna. Non ho un cellulare, né un computer, non sono mai stato su internet. La mia assistente Melissa ha un computer. C'è un mio sito internet chiamato James Ellroy punto net o come cazzo si chiama, non so, non lo guardo mai. Queste condizioni di astrazione e lontananza dal mondo attuale sono necessarie per me, mi servono a creare una quiete mentale indispensabile per il mio processo creativo.

Quindi cosa usi, una macchina da scrivere?
No, scrivo a mano. È una cosa che mi piace perché mi dà pace mentale. Ho una segreteria telefonica e un fax, e sono più che sufficienti.

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Pensi ancora di rientrare nella categoria degli scrittori di crime fiction? Quest'ultimo libro non sembra far parte di questo filone.
Molti dei miei libri sono più racconti storici che altro, e in generale ho scritto una notevole varietà di cose, ma sarò sempre classificato come crime writer, perché è una cosa che fa vendere, e finché funziona io non ho problemi a riguardo.

Beethoven è una presenza quasi costante nel tuo libro. Quando ti sei appassionato alla sua musica?
Mi sono appassionato alla musica in generale quando ero alla John Burroughs Junior High School, nel 1960.
Il nome del mio insegnante era Allen Hyams, un ometto che indossava sempre il papillon. Ho scritto anche un saggio sulla John Burroughs chiamato "Let's Twist Again". Hyams aveva diversi busti di Beethoven sulla scrivania della sua aula, e metteva sempre le sue opere sul grammofono, diceva cose tipo "ehi ragazzi, questo, sentite questo" e poi partiva quel dun, dun, dun, duuuun, che mi ha subito catturato.

Tu ascolti solo musica classica, niente rock and roll, giusto?
Il rock and roll mi è sempre sembrato riduttivo, una sorta di ribellione istituzionalizzata. Mi sembra decisamente superficiale come cosa. Le influenze culturali che hanno forgiato i ragazzi della mia età non mi hanno mai toccato più di tanto; sto dicendo cioè che personalmente non mi piace quella musica, non che sia priva di contenuto sociale o che sia deviante.

Pensi che Los Angeles sia una città da cui non si possa scappare?
Al contrario. Quando le figlie della mia compagna andranno all'università noi ci leveremo subito dalle palle.

Ma il tuo saggio del 2006 suonava così definitivo. Il messaggio sembrava essere "io sono LA e LA è me".
Be', penso che più onestamente il messaggio sia "LA è il posto dove vado quando divorzio e non so dove altro andare."

Quindi quale sarà il prossimo posto dove andrai?
Voglio andare in un posto carino, tranquillo con un clima freddo ma adatto alla coltivazione. Non ho bisogno della cultura. Tutto quello che mi serve è avere dei dintorni minimali.

INTERVISTA DI MATTHEW CARON
FOTO DI MICHAEL DE LEON