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Intervista ad Asger Carlsen

Intervista al fotografo danese che riesce ad alterare la percezione della realtà come pochi altri.

Il fotografo danese Asger Carlsen ha cominciato la sua carriera a 16 anni, quando ha venduto una foto fatta a dei poliziotti che urlavano a lui e i suoi amici per aver dato fuoco alla palizzata della sede del giornale locale. Per i successivi dieci anni Asger ha lavorato come fotografo forense, per poi passare alle pubblicità per riviste. Un giorno, cazzeggiando al computer, ha creato l'immagine di una faccia piena di occhi che l'ha poi condotto alle fotografie distorte per le quali è famoso. Le sue opere lugubri e spesso divertenti che inducono a domandarsi cosa è umano e cosa non lo è, sono state esposte e pubblicate in tutto il mondo.

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Asger ha contribuito con quattro fotografie al Photo Issue di quest'anno. Le immagini fanno parte di un più ampio progetto attualmente in lavorazione chiamato Hester, che uscirà in autunno. Ci siamo fatti una chiacchierata con lui per parlare della sua sbalorditiva produzione.

VICE: Ciao Asger, come stai?
Asger Carlsen: Sono un po' scioccato in realtà, ho visto il Photo Issue. È… strano vedere le tue opere in un nuovo contesto, e accostate a quelle di altri fotografi. Mi sono chiesto "Ma perché faccio queste cose?"

Davvero? Tutti noi invece ci siamo chiesti "Come fa a farlo?" Sono fotografie molto impressionanti.
Mi ha colpito il fatto che appaiano così surreali. Sono molto critico con me stesso e il mio lavoro. Mi è successo lo stesso quando ho visto per la prima volta il mio libro, Wrong. Non voglio che le mie foto sembrino malattie del Settecento. La vera sfida è trovare l'equilibrio tra realtà e finzione per creare qualcosa di così sottile da sembrare quasi vero.

È proprio quella la caratteristica di Wrong. A prima vista alcune delle foto sembrano immagini normalissime, ma poi ti rendi conto di cosa stai guardando e spalanchi gli occhi. Hester è più diretto. È la tua versione del nudo femminile, vero?
Sì, ma non mi interessa per niente fotografare ragazze nude, e sicuramente neanche ridicolizzare il nudo femminile. È iniziato tutto cercando di dare forma a un'idea usando delle immagini che avevo nel computer. È stato allora che mi sono reso conto che stavo realizzando la mia versione del nudo classico. Sono molto influenzato anche da Francis Bacon e dal surrealismo.

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All'inizio, vedendo solo una tetta e due vagine, non mi ero accorta che si trattava esclusivamente di corpi femminili. Sembra che una abbia addirittura il pene.
Penso che in realtà non siano nulla. Il corpo femminile è molto più rotondo, molti dei dettagli importanti delle foto provengono da volumi femminili, diciamo così. Ma per le strutture muscolari, fotografo me stesso. Sto lavorando su alcune versioni che saranno costituite interamente da foto di me stesso.

Hester è il nome di una ragazza?
No, è la strada di Chinatown in cui vivo. Quando mi sono trasferito avevo molte difficoltà col nome Hester, non mi piaceva. Grand Street suona bene ma c'è qualcosa di ambiguo nel nome Hester. Ho sentito che in origine era il nome di un insediamento ebraico, quindi ho cercato di scoprire se aveva un qualche significato, ma non ce l'ha. Ho pensato che, non avendo una storia e uno scopo, fosse un buon nome per la mia nuova serie di opere. Credo che il nome Hester evochi le stesse sensazioni delle immagini.

Quando hai sviluppato il tuo stile attuale?
È cominciato tutto nel 2006, quando ho iniziai a sovrapporre immagini l'una sull'altra, creando questa strana faccia con molti occhi. Non l'ho mostrata a nessuno per un anno. Mi metteva a disagio, nel senso che era poco rispettosa dell'etica della fotografia.

Quella foto ha innescato qualcosa?
Sì. Allora stavo tentando di trovare il mio posto nel mondo della fotografia commerciale, di avere un agente e tutto il resto. Quell'immagine che avevo creato mi coglieva di sorpresa, mi scioccava. Prima di trovare questo nuovo approccio ero molto concentrato sul tentativo di migliorare il mio stile e di essere preciso, riguardava più il momento. Mi vergognavo di mostrare a qualcuno quell'immagine manipolata perché annullava la visione che avevo della fotografia. Era qualcosa di costruito, che non dipendeva dal mio talento come fotografo. Ora, comunque, decostruire la comune percezione della fotografia è quello che faccio. Non mi vedo nemmeno più come un fotografo, mi vedo piuttosto come un collezionista.

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Un collezionista?
Colleziono centinaia di foto di oggetti che vedo camminando per strada e di modelli nel mio studio. Non provo più a scattare la foto perfetta come facevo un tempo. Per realizzare Hester, per esempio, ho scattato diverse foto di diverse donne da diverse angolazioni. Poi le ho unite insieme in un'unica immagine. Ogni immagine è composta da quattro o cinque corpi diversi. Gli unici elementi di base sono lo sfondo e la luce.

Ci impiegherai delle ore.
A volte è tutto molto veloce, ma su alcune immagini passo molto tempo. C'è n'è una sulla quale ho lavorato per due anni. È un processo che richiede molta concentrazione, davvero.

Quindi ha anche molto a che fare con la pazienza?
Beh, lavoro su almeno dieci immagini diverse allo stesso tempo. Quando mi stanco o inizio a odiare quella su cui sto lavorando, la chiudo e inizio a lavorare su quella successiva. È un processo incasinato.

Quanta importanza ha la macchina fotografica nell'intero processo?
Scatto in formato medio o con fotocamere digitali, ma lo strumento non è importante. Le mie foto fanno schifo da quel punto di vista, perché potrebbe averle fatte chiunque.

Immagino che le tue opere somiglino più a delle foto di sculture o di altre opere d'arte.
Esattamente. Mi piace quando le mie opere hanno un aspetto "povero" perché credo renda le immagini più interessanti, più strane, più reali. Una foto perfetta non mi dice niente, sono stanco della fotografia. Ce n'è troppa. Preferisco creare immagini e fare quello che mi piace fare servendomi degli strumenti, come ha fatto Man Ray.

Tornando alla tua evoluzione stilistica, perché pensi che la tua prima immagine, il volto con molti occhi, fosse così spaventosa ma anche così attraente per te? Ora non fai che quel genere di cose.
Penso abbia a che fare con il crescere. Non mi sono mai sentito parte di qualcosa. Mi sentivo a disagio e andavo male a scuola. Questo è il mio modo di affrontare le cose, di spiegare chi sono e sentirmi bene con me stesso. Non sono mai stato bravo ad adattarmi. Ognuno deve fare quello che gli serve: io mi sento bene con quello che sto facendo ora, ma non mi sento a mio agio nello scrivere, ad esempio. [ride] Penserai che sono pazzo.

No, capisco cosa intendi. È un modo di affrontare le tue paure.
È sicuramente un modo per fare i conti con le mie paure e le mie difficoltà. Si tratta di crescere.

Cos'hai in programma per il futuro?
Ho un paio di mostre in fase di allestimento e sto cercando di completare Hester, che uscirà come libro per Morel questo autunno.

Per vedere altre opere di Asger, visitate www.asgercarlsen.com