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Perché il giornalismo non funziona più

Se l'informazione ha perso la capacità di spiegare il mondo in cui viviamo, nessuno sa più cosa succede esattamente: intervista al documentarista inglese Adam Curtis.

Illustrazione di Marta Parszeniew

Adam Curtis è il più grande documentarista inglese. È anche uno dei più grandi artisti che l'Inghilterra abbia regalato al mondo negli ultimi decenni. Mentre molti artisti contemporanei, diventati famosi esponendo le loro opere nelle gallerie, si crogiolano nell'ironia e negli affari, Curtis ha sviluppato un prodotto di nicchia, girando pellicole acute e polemiche che mettono in discussione dall'interno lo status quo della BBC. Probabilmente, più che artista, vorrebbe si parlasse di lui come giornalista.

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Curtis, 57 anni, gira pellicole socio-politiche, concentrandosi su come le ideologie di un gruppo, o di un individuo, finiscano per modellare l'aspetto economico, geopolitico e, in generale, il modo in cui percepiamo la realtà. Pandora’s Box (1992) parla di come i leader dell'Unione Sovietica pensavano di poter trasformare la società in un una macchina pensante; The Mayfair Set (1999) racconta la storia di un piccolo gruppo di capitalisti che ridefiniscono la natura del potere inglese, trasformandoci in trafficanti d'armi e agitatori sindacali; The Centuty of the Self (2002) prende in esame il modo in cui le teorie freudiane sono state usate da agenzie di pubbliche relazioni, addetti stampa e pubblicitari per plagiare l'inconscio collettivo; infine, The Power of Nightmares (2004) esplora il modo in cui, all'inizio del nuovo millennio, i neoconservatori americani e un piccolo gruppo chiamato al-Qaeda hanno tratto profitto dall'ondata di paura generale.

Leggenda vuole che Curtis viva negli archivi del seminterrato della BBC, cercando ossessivamente tra i vecchi nastri spezzoni adatti al suo découpage sentimental-cinematografico. L'ho contattato per la prima volta un anno fa e, sapendo che è fan di VICE, gli ho chiesto di concedermi un'intervista. Ci siamo incontrati in pub di Londra e davanti a un paio di Beck's abbiamo parlato di tutto, oltre che ovviamente di giornalismo televisivo. È molto ferrato in storia politica, storia sociale e filosofia. E ha un cellulare tempestato di strass.

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Curtis sostiene che le notizie di oggi sono intrinsecamente viziate e incapaci di spiegare il mondo in cui viviamo. Secondo lui, le nostre vite sono governate dalla finanza, dall'informatica e dalle teorie di gestione d'impresa, e le notizie sono sommerse di tecnicismi propri di quegli ambiti. La disastrosa conseguenza è che queste rimangono intrappolate nella terminologia usata da chi controlla il pianeta: le banche, gli economisti e i loro preziosi alleati—politici ed esperti di pubbliche relazioni. L'informazione è diventata un campo governato da tecnocrati, e questo la rende incapace di spiegare alcunché. Quello che Curtis si propone di fare con il suo lavoro è riportare il discorso nella giusta direzione, quella della grande narrativa romantica, che cerchi di catturare il significato del vivere al giorno d'oggi. Quello che segue è un frammetto della nostra lunga conversazione.

VICE: Quindi, secondo te c'è un errore alla base del modo di riportare le notizie, che rende l'informazione fallimentare.

Adam Curtis: Be', sì, mi riferisco a tre cose: finanza, informatica e teoria di gestione d'impresa. Modellano la vita delle persone ma sono assolutamente non-raccontabili—non puoi trasformarle in una storia. Nessuno ha ancora trovato un modo per descrivere decentemente il pazzo mondo in cui viviamo. Voglio dire, io vivo a Holborn e ogni giorno che vado alla BBC mi scontro con questa ondata di persone che si riversano negli uffici. So che passeranno la giornata davanti a un computer, con qualcuno che gli dice "se ti piace questo allora ti piace anche quest'altro," controllati da quel sistema senza avere possibilità di uscirne. Nessuno è ancora stato capace di descrivere quel mondo. Sarebbe compito del giornalismo. È esattamente questo che dovrebbe fare.

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Puoi farmi un esempio di fallimento dell'informazione?

Nel 2008 si è aperta un'enorme crisi fiscale, di cui non si intravede ancora la fine. Io non la capisco proprio. Non credo che qualcuno mi abbia spiegato cos'è successo veramente, perché ho sentito solo tanti tecnicismi a proposito di "CDO [collateralized debt obligation]". Mi sento perso. Perso in un mondo costruito con i tecnicismi e la terminologia di quel sistema che è poi responsabile della crisi, cioè l'economia.

E questo ha inficiato la capacità dei giornalisti di spiegarci la realtà?

Sì. Credo che sia un fenomeno legato al nostro tempo: il potere e il suo funzionamento si sono spostati in aree che il giornalismo non ha ancora trovato il modo di spiegare. Non ha ancora capito come darne conto in modi che non siano stati già fatti propri da chi vive all'interno di quel sistema. Siamo riusciti a farlo molto bene con la politica dal 1960 in poi. A partire dal "New Journalism" dei primi anni Sessanta, che potremmo chiamare "immersionist journalism," si sono trovati diversi modi per spiegare cosa stesse accadendo nel mondo della politica senza che i politici potessero controllarlo.

Cosa intendi?

Be' è come se ti trovassi su un elicottero e guardando giù, verso i politici, dicessi: "Ecco, è proprio così che sono." Più o meno si è fatta la stessa cosa con la scienza, ci si può allontanare per averne una visione d'insieme, nel contesto sociale. Ma adesso è come se fossimo all'interno della macchina e non riuscissimo a fare un passo indietro per riuscire a vederla meglio. Penso che l'informazione sia bloccata.

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Quando è cominciato tutto questo?

Nei primi anni Novanta. Adesso le mie ricerche vertono proprio su questo. In parte si può far risalire allo sviluppo dei canali d'informazione 24 ore su 24 durante gli anni Ottanta e in parte alla coppia Ted Turner-Jane Fonda. Jane Fonda, con i suoi video di esercizi d'aerobica, è responsabile della rivoluzione delle VHS, mentre Ted Turner ha inventato l'informazione continua [con la CNN]. La grande idea di Turner era quella di liberarsi di quei reporter snob della BBC che ci impiegavano due settimane per preparare un pezzo su cosa stesse succedendo a Cipro o in qualsiasi altra parte del mondo. Se ne sarebbe liberato perché li riteneva noiosi, e in questo aveva assolutamente ragione. Li ha sostituiti con un senso di immediatezza, dello stare sul pezzo. Ed è questo il punto dell'epoca in cui viviamo, le cose accadono—accadono e basta. Nessuno ha percezione globale di quello che sta succedendo, nessuno riesce a farsi un'idea di cosa accadrà nel futuro. Turner ha detto esplicitamente che quello che voleva era sostituire all'idea di informazione come analisi preconfezionata un'esperienza in tempo reale. La CNN ha fatto un bel lavoro all'inizio, ma tutto a un tratto la Guerra Fredda è finita e le cose sono diventate un po' più complicate.

In che senso la Guerra fredda ha distrutto il modo di fare informazione?

Tutte le istituzioni che erano cresciute in seno alla Guerra Fredda, spie, servizi di sicurezza e politici, all'improvviso non sapevano più che cosa stesse succedendo. E così ci siamo ritrovati davanti una semplificazione del mondo, causata da un'assenza di reale comprensione.  Ci siamo trovati con dei cattivi da fumetto come Saddam Hussein o il Colonnello Gheddafi, con "forze oscure." I giornalisti hanno cominciato a descrivere il mondo come un posto pieno di stati canaglia, dittatori sadici, spacciatori, pedofili e trafficanti di esseri umani. Ci viene presentato questo mondo semplificato e spaventoso, dove figure indistinte tramano nell'ombra. Questo processo ha accompagnato gli anni Novanta fino all'11 settembre, che è stat un'apparente conferma di tutto quello che è stato detto—che ci sono davvero delle forze oscure lì fuori. Ed è il motivo per cui la generazione di VICE è spaventata e ha tendenze apocalittiche. Hanno la visione di un mondo buio, pieno di ombre che non riescono a spiegare.

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Com'è possibile che il modo in cui sono riportate le notizie rifletta una generazione?

La cosa più bella del nostro tempo è anche la sua grande malattia: il desiderio di avere esperienza diretta delle cose. Non vogliamo che le cose ci vengano raccontate. Non ci piacciono granché le élite perché siamo tutti uguali. Vogliamo conoscere il mondo, sentirlo. In parte è dovuto all'individualismo. Ma quello che otteniamo è "il paradosso della duchessa": tutti ci sentiamo duchesse in questa società, ma se siamo tutti duchesse, allora a che serve essere una duchessa? Oggi tutti sono delle celebrità. Tutti vogliono esserlo, vogliono essere trattati come tali. Vogliono andare nei centri benessere e sposarsi in grande stile. La gente ai concerti paga per avere i biglietti VIP. La gente cerca disperatamente tutto questo. Il punto è che "tutto questo" non si trova da nessuna parte, perché semplicemente non esiste. È la grande tragedia di questa generazione: tutti vogliono provare tutto.

Per tornare all'immediatezza della notizie…

Be', in molti casi è eccezionale. È liberatoria perché cerca veramente di darti un'esperienza istantanea, senza filtrarla attraverso uomini tronfi che girano il mondo con addosso completi ridicoli. Ma ti ci ritrovi così immerso che se parte uno sparo ti spaventi.

Hai ragione, le notizie sono molto intense. Passo gran parte della giornata a preoccuparmi per quello che ho visto al telegiornale.

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Il giornalismo televisivo di oggi è il prodotto di gente come Ted Turner; a questo si aggiunge il desiderio di avere un'esperienza diretta delle cose, la mancanza di fiducia dei produttori della classe media liberale, che non sanno cosa succede davvero. Il risultato sono notizie che ti fanno venire i brividi.

È come il sistema di allerta costante usato dal governo per farci stare sull'attenti.

Be, sì. Adesso è il momento della crisi nell'Eurozona—è una notizia che va sempre bene da tenere pronta. Ma ogni tre mesi la notizia è sempre la stessa: il futuro apocalittico. C'è l'aviaria, l'economia, l'ondata della suina, l'ondata della Libia… e adesso?

Sospetto che molti giornalisti non abbiano una visione chiara—io non ce l'ho. Voglio dire, nessuno sa veramente cosa succede, quindi in parte è anche colpa nostra, ma in questa atmosfera febbrile ogni cosa può essere improvvisamente ingigantita e diventare spaventosa. Il vero pericolo è che in circostanze come queste arrivi una figura potente e riesca a maneggiare quella paura per il suo tornaconto.

È quello che è successo con Bush e Blair dopo l'11 settembre, di cui hai parlato in The Power of Nightmares.

Abbiamo sbagliato a non inserire da subito quegli attacchi all'interno di un contesto più moderato, che è quello che ho cercato di fare con il mio film. Volevo dire che, sebbene sia estremamente pericoloso, il terrorismo non è l'apocalisse, non è una minaccia alla civiltà.

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Ha contribuito a far crescere la mia generazione in un mondo governato dalla paranoia.

Alimentata anche dal fatto che i figli del baby boom—la generazione di primi grandi individualisti che sta ora invecchiando—stanno cominciando a capire che un giorno moriranno. Se capisci che morirai e credi di essere il centro del mondo, non riesci proprio a concepirlo. Allora proietti l'idea della tua morte sul pianeta intero, dici "Non sono io che morirò, è il mondo che smetterà di esistere." Ad esempio, il cambiamento climatico è sicuramente un problema serio, ma è stato trasformato nell'apocalisse.

Pensi che i giornalisti di oggi siano troppo "contaminati" per fare bene il loro lavoro?

Sì, per tornare ai giornalisti che si occupano della crisi finanziaria—tu hai capito di che si tratta? No, perché non fanno altro che parlare con la lingua di chi la crisi l'ha creata. Parlano come economisti. Ora, nessun economista aveva previsto la crisi, così come nessun agente segreto aveva previsto la caduta del Muro di Berlino. Sera dopo sera, i membri della confraternita tecno-economica compaiono sui nostri schermi e usano i termini di un'economia pseudo-scientifica e fallimentare per spiegarcela. E noi ovviamente non capiamo e ci sembra che ci sia qualcosa che non ci viene detto.

Quindi, se parlare la lingua degli "esperti" non funziona, qual è il futuro dell'informazione?

Diventeremo incredibilmente lirici nel modo di parlare del mondo. Ne sono convinto. Useremo quasi toni shakeasperiani. Shakespeare scriveva di amore, inganni, brama di potere, lussuria, e tutte queste cose esistono ancora. Tutti noi facciamo cose terribili, belle o brutte, e posso immaginare come tra 15 anni verranno trasformate in notizie teatrali. Io lo faccio con la musica dei miei film. Cerco di creare il mood giusto, che mi permetta di dire qualcosa e di essere ascoltato.

Notizie che non ispirino solo paura e cinismo.
Forse l'atmosfera febbrile in cui viviamo è solo una parte del processo di trasformazione in un nuovo tipo di società, da cui potrebbe scaturire anche un nuovo tipo di politica. Sono piuttosto ottimista. Ma l'informazione non è ancora riuscita a trovare il modo per descriverla—non ha ancora trovato il linguaggio in cui parlarne. E nemmeno io. Ma almeno ci ho provato.