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Cos'è il decreto salva banche di cui stanno parlando tutti

Da giorni, il decreto salva banca domina il dibattito pubblico, alimentato dalla polemica sul conflitto d'interessi legato al ministro Boschi. Abbiamo chiesto a un esperto di spiegarci il suo contenuto e ciò che è realmente avvenuto.

Illustrazione di Wren McDonald

Era il 22 novembre quando il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto Salva Banche, con cui veniva stanziato un fondo di 2,3 miliardi di euro per salvare quattro banche del centro Italia da tempo in gravi difficoltà: Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, e Carichieti. Il decreto ha però iniziato a occupare le cronache solo la scorsa settimana, principalmente in seguito alla notizia del suicidio di un pensionato di Civitavecchia avvenuto il 28 novembre e attribuito—benché non ci sia l'ufficialità—alla perdita dei risparmi investiti in Banca Etruria.

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Il decreto ha infatti riguardato circa 12.500 persone, che hanno perso il denaro investito in obbligazioni subordinate delle quattro banche. A dare ulteriore eco alla notizia è poi stato il ruolo del padre del ministro Maria Elena Boschi—per otto mesi vice presidente di una delle banche coinvolte—portato all'attenzione pubblica soprattutto dalla presa di posizione di Roberto Saviano, che in un articolo sul Post ha richiamato l'attenzione sul conflitto d'interessi e si è schierato per le dimissioni del ministro Boschi.

Per fare chiarezza sul contenuto del decreto salva banche e su ciò che è avvenuto, abbiamo contattato Andrea Boda, blogger, operatore finanziario ed esperto in materia.

Dalla

Manifestazione Montecitorio contro il Decreto Salva Banche.Immagine via Facebook

VICE: Cos'è questo decreto salva banche?
Andrea Boda: Un'anticipazione rispetto alle normative che sarebbero comunque entrate in vigore a gennaio, resa necessaria dalla volontà di ridurre l'impatto di quella che sarebbe stata la gestione del fallimento delle quattro banche sotto la normativa comunitaria del "bail-in". Secondo i dati che abbiamo, infatti, qualora avessimo aspettato gennaio la dimensione della cifra da richiedere alle altre banche per coprire la gestione di quelle quattro si sarebbe avvicinata ai 13 miliardi di euro. Per cui la scelta di fare questo decreto 40 giorni prima dell'arrivo della normativa unica europea è determinata dalla volontà di agire "all'italiana."

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Come funziona, nella pratica?
Queste banche sono fallite a causa dei cattivi prestiti che hanno emesso. Hanno quindi prestato del denaro a soggetti che forse non se lo meritavano ma erano amici, o forse se lo meritavano e nel frattempo l'economia si è incrinata e non sono stati più capaci di rimborsare i prestiti. Fatto sta che la banca a un certo punto ha avuto un tale numero di crediti inesigibili che è fallita.

Nel momento in cui la banca fallisce, per l'importante ruolo sociale che svolge—non è solo il soggetto che presta i soldi ma anche il soggetto che raccoglie i risparmi dei comuni cittadini—normalmente si cerca di preservare i risparmi e tutelarli dai rischi collegati a una mala gestione della banca. Si divide quindi la banca in due: da una parte le attività 'buone', che sono appunto la raccolta, i depositi, e tutti i crediti che la banca ha fatto a soggetti meritevoli che stanno rimborsando (come i mutui alle famiglie, che per la banca sono attività fruttifere perché portano interessi); dall'altra tutti i crediti verso soggetti che non stanno rimborsando.

Come si collega il decreto al fatto che i cittadini clienti di queste banche abbiano perso i soldi investiti?
Innanzi tutto il termine giusto è proprio investiti, è giusto parlare di investitori e non di risparmiatori. Possiamo essere tutti d'accordo sul fatto che quando fallisce un soggetto qualcuno perde dei soldi. Nel momento in cui queste banche sono fallite (e non per colpa del decreto, ma per come sono state gestite negli ultimi anni) qualcuno ha necessariamente perso dei soldi.

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Chi deve perdere soldi nel momento in cui fallisce una banca?
Verrebbe da dire i responsabili, e sicuramente non i contribuenti. Quello che succedeva una volta era che quando falliva una banca interveniva lo stato e copriva i buchi: lo facevo usando i soldi delle tasse, quindi in pratica pagavamo tutti noi gli errori di qualcun altro. Con la normativa nuova, chi ci rimette sono innanzitutto gli azionisti della banca—sia i piccoli che non possono nulla, che i grandi, che sono quelli che tirano le fila e decidono le sorti della banca. Qualora il capitale complessivo delle azioni non fosse sufficiente a coprire i buchi, come in questo caso e come quasi sempre quando fallisce una banca, bisogna ricorrere ad altro. Prima di ricorrere ai contribuenti il denaro va cercato altrove, per esempio tra i creditori della banca, quindi tra coloro che hanno comprato le obbligazioni.

Si trattava infatti di risparmi investiti in obbligazioni subordinate. Cosa sono veramente, quanto sono rischiose e quanto redditizie?
Le obbligazioni si dividono in due categorie principali: ordinarie e subordinate. Le subordinate sono quelle più scadenti, le prime che vengono aggredite se il capitale degli azionari non è sufficiente, mentre quelle ordinarie vengono aggredite solo se le subordinate non bastano. Il rischio quando si investono soldi sulle obbligazioni è quello di perdere il 100 percento in caso di fallimento dell'emittente—un caso remoto ma reale. Questo rischio è maggiore se l'obbligazione è subordinata.

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Il punto sta nel fatto che titoli che mettevano a rischio l'intero capitale fossero nei conti di chi non voleva questo tipo di rischio e le colpe principali di questo stanno negli organi di vigilanza e nelle norme. La dinamica, infatti, è che la persona comune va in banca per chiedere dei consigli, invece molto spesso si trova di fronte dei venditori, che sono implicitamente ed esplicitamente stimolati a proporre gli strumenti della banca. Io non ho nessun dubbio che le persone che sono andate in banca hanno trovato qualcuno che convintamente gli abbia detto di comprare quei titoli, che sarebbero stati fondamentalmente sicuri, dato che perché andassero perse la banca avrebbe dovuto fallire.

Dove sta quindi il problema?
Il vizio sta nel consentire che persone comuni possano comprare delle azioni subordinate, perché si pretende che la competenza finanziaria sia di dominio pubblico. Siccome lo stato non prevede la formazione finanziaria, non si può pretendere che le persone capiscano quello che stanno facendo, di conseguenza è molto meglio per tutelare il risparmio—dato che nella Costituzione c'è scritto che l'Italia tutela il risparmio—che alcuni tipi di strumenti siano vietati al pubblico non professionale. Il secondo vizio che andrebbe corretto è quello di non consentire ad una banca di collocare i propri prodotti, perché è chiaro che chi opera in conflitto di interessi sarà sempre condizionato a proporre non quello che è meglio in base alle esigenze del cliente, ma quello che fa più comodo in qualità di venditore.

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I singoli bancari che hanno proposto ai clienti tali investimenti potevano essere a conoscenza del rischio reale?
Negli ultimi mesi sicuramente. La banca era commissariata ed era evidente a tutti che le cose stavano precipitando. È chiaro che queste obbligazioni sono state vendute negli ultimi dieci anni circa, quindi in buona parte piuttosto in buona fede. Per quanto riguarda quelle vendute negli ultimi mesi ovviamente non lo possiamo sapere, ma la condizione di crisi della banca era palese.

Cosa sta succedendo a riguardo nello scontro tra l'Unione Europea e la Banca d'Italia?
Questa è secondo me la pagina più cupa della vicenda. Come dicevo prima è evidente che il decreto sia stato fatto per fare le cose all'Italiana—anche in senso buono, per contenere il problema. Come succede sempre in un fallimento, c'è qualcuno di scontento, e vedere la reazione della politica non è rassicurante. L'opposizione cavalca il malcontento, la maggioranza non ha gli attributi di spiegare che ciò che ha portato le banche al fallimento non è certo il decreto, ma la gestione "allegra" delle attività della banca, unite ad un contesto di crisi generale. Il decreto e la "risoluzione" delle quattro banche ha evidentemente esplicitato ciò che molti si rifiutavano di vedere, da qui nasce il malcontento, la ribellione, molto simile a quella del paziente che si infuria con il medico che gli diagnostica un tumore.

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Indulgenti con il ministro Boschi, assente al CDM che varava il provvedimento salvabanche. — Roberto Saviano (@robertosaviano)11 Dicembre 2015

Si parla molto di conflitto d'interessi, evidenziato tra gli altri da Saviano. Crede che il coinvolgimento del padre del ministro Boschi abbia avuto un peso nella vicenda?
Credo che il fatto che tra le quattro banche coinvolte ce ne sia una legata a un esponente del governo condizioni la comunicazione che arriva dalla maggioranza. Un vicepresidente, in un periodo di otto mesi di carica, non è certo in grado di far andare a rotoli un istituto di medie dimensioni. Più che di conflitto di interessi, parlerei di "conflitto di opportunità" che blocca la comunicazione del governo nel momento in cui dovrebbe spiegare i contenuti di un decreto che porta l'infelice nome di "salvabanche".

Alcune di queste banche erano già commissariate da mesi, questa situazione era prevedibile? Si è trattato di un problema di omessa vigilanza?
Assolutamente sì. Si poteva intervenire e le porto un esempio lampante tra l'altro reperibile sul sito della banca Etruria. Nel 2012 tra i vari comunicati stampa che ha pubblicato sul sito ce n'è uno in cui si legge che la banca rinuncia ad avere un rating, cancella quindi i contratti con le agenzie di rating, ed il motivo è che non intende più collocare le sue obbligazioni sul mercato ma le collocherà soltanto ai suoi correntisti.

Un organo di vigilanza insorgerebbe in una situazione normale, perché se elimini il mercato come metro per rendere evidente il reale valore dei titoli che emetti, il correntista non ha nessuno strumento per capire se ciò che gli stai proponendo è equo o no. E infatti, come dicevamo prima, non veniva offerto un premio di rendimento adeguato alla dimensione del rischio. In assenza del metro di valutazione dato dal mercato il sottoscrittore si ritrova semplicemente a fare un atto di fiducia. E questo apre spazio all'abuso di questa fiducia.

Quanto è reale il rischio che anche in altre banche si realizzino situazioni del genere?
Molto alto. Sta nella natura delle cose, le aziende, le imprese falliscono. Ma questo non vuol dire che si debba tutti correre a comprare materassi e che non ci siano procedure per gestire ordinatamente le situazioni. Inoltre c'è sempre modo di saperlo prima, questo non è certo stato un fulmine a ciel sereno. E razionalmente bisogna ricordare che una cosa è avere dei risparmi, una cosa è essere investitori. Non è il caso di andare in panico perché esiste la possibilità del fallimento.

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