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Música

David Byrne sa come funziona la musica

Se non avete mai letto un libro di David Byrne, la sua ultima opera, How Music Works, può essere un ottimo inizio.

Foto di Catalina Kulczar

Se non avete mai letto un libro di David Byrne, la sua ultima opera, How Music Works, può essere un ottimo inizio. Il libro è una raccolta enciclopedica di saggi brevi che coprono una vasta gamma di argomenti legati alla musica, dagli aspetti della performance allo sviluppo di una scena musicale, alla struttura dei contratti discografici, così come profonde riflessioni sulla sua carriera coi Talking Heads e da solista. Pagina dopo pagina continuavo a immaginare Byrne stesso, con addosso il completo di Stop Making Sense, leggere ad alta voce dentro la mia testa. Purtroppo, questo strano sogno a occhi aperti era meglio di tanti gruppi che ho visto dal vivo di recente.

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VICE: Verso l'inizio di How Music Works dici che "Fare musica è come costruire una macchina capace di dragare e portare in superficie le emozioni sia di chi si esibisce sia di chi ascolta." Quando scrivi una canzone senti che stai comunicando qualcosa?
David Byrne: Be', molta gente usa la metafora del comunicare, o dice di essere solo un mezzo, di non sapere da dove arrivi l'ispirazione e di rappresentare una semplice penna che scrive e così via. È molto comune. E sì, c'è qualcosa di vero. Quello che intendo è che di solito si presuppone che l'emozione sia qualcosa che finisce dentro una canzone, qualcosa che viene dalla persona e entra nella canzone. Probabilmente è così, ma quello che voglio dire è che vale anche il processo inverso, per cui uno scrive una canzone ed è la canzone che lo emoziona. È la canzone a suscitare emozioni in chi la scrive. Ti accorgi che cambiare quell'accordo, cantare quella melodia e quelle parole ti porta da qualche parte. Come compositore e come ascoltatore. È una cosa che abbiamo tutti in comune. Non è necessariamente così che funziona, che il compositore convoglia le emozioni o le idee o qualsiasi altra cosa e le mette nero su bianco. Quello che viene scritto è anche qualcosa che tocca intimamente il compositore o chi ascolta e tira fuori qualcosa di loro.

È per questo che nel libro fai riferimento all'accordo maggiore e alla questione delle scorciatoie?
Sì. [ride] E non è un giudizio di valore. Non significa che l'accordo maggiore sia brutto, o che non lo si debba usare. Ma è come una garanzia. Se lo usi avrai una determinata sensazione. Sono cose che si imparano. Come compositore ti farà sentire in un certo modo, e anche il pubblico avrà quella sensazione. È così che si imparano i trucchi del mestiere. E sono efficaci, ma se vi fai ricorso troppo spesso, inizierai a usare solo quelli e nient'altro, e dopo un po' tutto diventa banale. Sono solo mezzucci uno dopo l'altro, tanto che alla fine pensi, "Ehi, ma dietro non c'è niente."

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Credo che nel libro ti sia spiegato molto bene quando dici che la gente vuole sentire qualcosa di familiare, ma in maniera diversa.
Sì. Durante i live i musicisti—o almeno quelli famosi—in un certo senso si trovano in difficoltà. Ci si aspetta che suonino i successoni, e un certo numero di canzoni che la gente conosce, però poi se fanno solo i pezzi famosi sembrano una band ingaggiata per un matrimonio. Devono trovare una via di mezzo per proporre qualcosa di nuovo che piaccia al pubblico, ma devono anche dargli qualcosa di familiare. Tutti conosciamo qualche gruppo che è uscito sul palco e ha detto, "non faremo nulla di vecchio, suoneremo solo pezzi del nuovo disco." E beati loro se riescono a farlo. Sono stato a concerti del genere, e a volte è bellissimo scoprire pezzi nuovi, ma altre volte ci vuole un po' di "zucchero" per indorare la pillola, ed è difficile. Nessuno va al cinema e dice. "Mi piace questo regista, quindi voglio vedere il suo nuovo film, ma mi piacerebbe vedere anche alcune delle mie scene preferite dei suoi vecchi lavori." [ride] Sarebbe ridicolo.

Pensi che ci sia qualche differenza nell'introspezione quando si scrive una canzone d'amore come "This Must Be the Place" rispetto a un pezzo magari più "ballabile"?
Be', per "This Must Be the Place", come per molte canzoni d'amore, la musica è stata scritta prima. Quando io e la band abbiamo composto la melodia non avevamo la minima idea di come sarebbe diventata la canzone, ma al tempo avevo una ragazza e ne ero molto innamorato, quindi quando ho iniziato a scrivere delle parole che si adattassero alla melodia che già avevo, è diventata una canzone d'amore. Ma la melodia, la struttura e tutto il resto erano già pronte. Non avevano niente a che fare con la mia relazione con quella persona. Non so se questo sia d'aiuto o no. A un certo punto finisci per metterci qualcosa di personale, ma non è questo che guida tutta la canzone. Gran parte di essa non aveva alcun legame con la mia vita personale.

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Allora la musica ha ispirato le parole?
Sì, se lo fai bene le parole non sembrano qualcosa di posticcio. Se lavori nel modo giusto sembrerà che le due cose siano nate insieme, che siano perfette l'una per l'altra, che le parole si adattino alla musica talmente bene che non si riesce a immaginarla con un testo diverso.

Mi interessa il modo in cui quasi pianifichi in anticipo come canterai—fai suoni incomprensibili, e poi crei parole da quei suoni. C'è quel pezzo, "Dancing For Money", che poi non è stato inserito in nessun disco ufficiale, in cui si sentono i versi. Non hai mai sostituito la maggior parte dei suoni, vero?
[ride] Sì, in realtà ho provato a scrivere le parole per quel pezzo, e proprio ieri ho scoperto alcuni tentativi e ho pensato, "Oddio, è ovvio che non andavano bene." Erano molto interessanti, ma non si adattavano alla melodia della canzone. Parlavano di quanto ci divertissimo ad uscire per andare a ballare, e di come poi siamo finiti a essere pagati per farlo. Era uno scenario inventato. Ogni volta che usciamo veniamo pagati, ed è un lavoro. Non parlava di lap dance o roba simile, parlava di ballare normalmente.

Nel libro racconti di quando hai visto i Sex Pistols, e di quanto fosse palese il loro essere in un certo senso parte di un atto comico. A volte mi sembra che la band su disco sia diversa da quella dal vivo, che quelli che suonano davanti a me non possono aver scritto le parole.
Ah, meglio che non ne parli. [ride] Cioè, posso dire che per quel disco avevano un produttore molto abile, Chris Thomas, che ha lavorato anche con Roxy Music, Pretenders e tante altre band. È un po' difficile credere che ci fossero loro dietro a tutto, ma amen. Diciamo che lo hanno fatto. Non so, guardavo i video senza ascoltare davvero il disco, e sembrava uno spettacolo comico. Dai, facevano fatica a stare in piedi. Si riusciva a sentire un po' di quello che cantava il Sig. Lydon, ma era difficile da capire. E poi c'erano tutti quei movimenti barcollanti…

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Erano il loro marchio di fabbrica, no? Probabilmente l'album sarebbe stato dimenticato se non fossero stati così ridicoli.
Be', chi può dirlo? Poi, penso che Malcolm McLaren fosse un agente bravissimo. È stato totalmente sincero e ha detto che avrebbe venduto ogni singola goccia del prodotto. E lo ha fatto. Poi è passato ad altro. [ride]

Nel libro dici che ogni musicista è potenzialmente un virtuoso se trova la sua dimensione, che hai chiamato "il suo posto nello spettro." Come fa un dilettante senza un Malcolm McLaren alle spalle a capire dov'è il suo posto?
È come quello che fa blues, Burnside, o uno così, potrebbe essere anche qualcun altro, che compone canzoni con un accordo solo e va avanti con quel groove fino alla fine. Altri potrebbero non avere il coraggio di fare così e dire, "Sento questo, sono bravo a fare questo, mi piace e continuo a farlo." Qualcun altro potrebbe pensare, "No, non posso fare così. Nel ritornello devo cambiare accordo, altrimenti… la gente crederà che sono uno stupido." Spesso penso che per trovare il proprio posto si debba lasciar perdere il buon senso comune e i consensi e fare qualcosa perché ci sembra giusto e perché è qualcosa che siamo capaci di fare, senza credere che ci sia l'obbligo di seguire una determinata linea, che si tratti di un assolo di chitarra o di un modo di suonare la batteria. Non si è obbligati. Si può trovare un modo di fare le cose che funzioni per noi stessi. È un passo difficile però, non credo che ci sia una formula precisa.

Forse dipende, bisogna vedere se il proprio modo di approcciarsi alla musica è qualcosa che le persone sono pronte a vedere o meno…
Sì, poi una volta che ti ci butti gli altri magari pensano, "Oh, questo ha scoperto un modo tutto nuovo di suonare la batteria a cui nessuno di noi aveva pensato."

Apprezzo molto il fatto che tu consideri uno dei settori chiave per lo sviluppo di una nuova scena "la possibilità di ignorare la band, se necessario."
A volte avverti di non dover necessariamente prestare attenzione, e la musica può arrivarti, scuoterti e rimanere dentro di te, condizionandoti, magari solo perché in quel momento hai abbassato la guardia. Quando stai di fronte al palco, le tue difese, a meno che non si tratti di una band che già segui e ti piace, sono abbastanza alte. Sei consapevole di ogni minima cosa che succede, ma se invece sei seduto a un tavolo a bordo piscina e non stai ascoltando attentamente ti fai prendere, perché le tue difese sono basse.

Pensi che ora sia più difficile avere momenti di silenzio in mezzo a tutto il rumore, rispetto a quando stavi diventando famoso? Ora anche i momenti di silenzio sono diversi?
Sì, abbastanza. Cioè, una volta che un gruppo si guadagna un po' di attenzione, tramite internet e tutto il resto, quel poco diventa improvvisamente tanto. A volte per i gruppi è positivo godere di scarsa notorietà per un certo periodo, perché riescono a migliorare e hanno la possibilità di commettere qualche errore. Dovrebbero avere la possibilità di intraprendere strade sbagliate senza essere puniti pubblicamente. In questo modo sanno quando sbagliano, ma fare qualcosa quando anche altre migliaia di persone sanno che l'hai fatto può essere letale. E non ci sono posti in cui andare, non puoi pensare, "Ok, me ne vado nell'Idaho così lì posso suonare col mio gruppo in un piccolo locale e sviluppare il nostro sound." È impossibile.