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Il dottor James Fallon è un vero psicopatico

Il neuroscienziato James Fallon ha 66 anni, tre figli, è felicemente sposato, ha successo nel suo campo e non ha alcun precedente penale. Ed è anche uno psicopatico privo della minima traccia di empatia.

“Roc, mi hai preso nella giornata giusta,” ha annunciato il dott. James Fallon. All’ippodromo di Saratoga, i cavalli avevano corso a suo favore per tutta la mattina. Quello stesso giorno, il suo migliore amico dei tempi dell’università era morto. Fallon aveva ricevuto la notizia solo poche ore prima di incontrarmi.

“Sto ancora aspettando il colpo,” ha commentato. Ho sorriso e aggrottato le sopracciglia. Lui ha ricambiato il sorriso e ha fatto spallucce. Sapevamo entrambi che il colpo che aspettava non sarebbe mai arrivato.

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“Quando analizzo il mio comportamento,” mi ha confessato più tardi il neuroscienziato, “mi sembra sempre di mentire. Su tutto. Anche se penso di non mentire mai, mento sempre. So di sembrare una brava persona, ma voglio essere chiaro—non sono così buono come posso apparire.”

Nel 2006, Fallon stava analizzando le scansioni cerebrali di assassini e psicopatici, e le ha confrontate con una risonanza del proprio cervello. La disattivazione delle aree emotive caratteristica degli psicopatici era inconfondibile. Così, ha scoperto da sé quella cosa su cui amici e famigliari insistevano da anni: Fallon era uno psicopatico—uno psicopatico “incline alla socialità,” come si definisce lui, ma pur sempre uno psicopatico. Ha 66 anni, tre figli, è felicemente sposato, ha successo nel suo campo e non ha alcun precedente penale.

Aggressività, narcisisimo, insensibilità, temerarietà: sono tutte caratteristiche che ritrova nella sua personalità e che afferma di riuscire a tenere sotto controllo. Ma contro il suo fascino, non può nulla. Sull’uscio di casa sua a Irvine, in California, Fallon mi ha accolto come un amico di vecchia data. Era al telefono con il suo allibratore, un ex malavitoso di due metri per un centinaio di chili soprannominato Big Moe. “Il suo vero nome è Joey,” mi ha detto Fallon sogghignando. “Pensa di essere ancora nel 1965.” Un minuto dopo aver suonato al suo campanello, era già riuscito a farmi sentire a mio agio e a strapparmi una risata.

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Abbiamo portato i nostri bicchieri in cortile, così da osservare le farfalle monarca banchettare tra l'euforbia— una delle distrazioni preferite dello scienziato. “Puoi chiedermi qualsiasi cosa, Roc,” mi ha detto da sotto la sua barba, allargando le braccia. “Tuttavia, sarò un po’ sintetico in qualche risposta. Mia madre e mia moglie sono ancora vive.”

“Allora faremo il seguito dopo la loro morte?” ho ribattuto ironicamente.

“Chiaro,” mi ha risposto, ridendo. “Quella sarà un’intervista completamente diversa.”

VICE: Ci sono molte definizione di psicopatia. Quali sono le sue caratteristiche fondamentali?
James Fallon: Alla base della psicopatia c’è l’assenza di empatia e la tendenza a manipolare le altre persone per ottenere ciò che si desidera. Ciò non comporta necessariamente il sadismo, al contrario di quanto pensano in molti. Né comporta una particolare loquacità, anche se la si osserva spesso perché lo psicopatico non interagisce che in modo molto limitato con il sistema limbico, che è la parte del cervello che ci rallenta nella nostra espressione.

Questo significa che quando parli fai intenzionalmente delle pause per sembrare più sincero?
A volte. Altre volte faccio finta di sbagliarmi. Dico qualcosa di sbagliato solo per poter tornare indietro e dire, “No, non volevo dire questo.” Mi rende più avvicinabile e più credibile.

Sei molto bravo a socializzare.
Cerco di rallentare un po’ il corso dei miei pensieri, ad esempio chiedendomi, “Sono sincero in questa situazione?” Il giochino adesso è scoprire se sono in grado di manipolarmi da solo. La sfida è vedere se posso stupire qualcuno dicendo solo la verità.

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Ma nel tuo libro hai raccontato anche di mentire per uno scopo preciso.
Sì, sì, sì. In effetti ho mentito per scopi precisi. Ad esempio, se pesco un tonno da dieci chili, dico di averne preso uno da cinque; così poi qualcun altro dirà, “No, era molto più grosso.” Queste sono tecniche di manipolazione. Mi ricordo un libro molto divertente che ho letto negli anni Settanta, intitolato Come barare a Tennis. Un campo da tennis dovrebbe essere un rettangolo perfetto, ma lo si può manipolare—ad esempio ridipingendone le linee per renderlo un parallelogramma—e fregare tutti gli altri.

In modo talmente sottile che non se ne renderanno nemmeno conto.
Esatto. Poi, chiaramente, fai le cose più ovvie—ad esempio, all’inizio della partita, se la palla finisce fuori dici che era dentro. Così, potrai far sì che l’avversario faccia la stessa cosa più tardi, quando ti servirà. Io faccio così. È solo un gioco, in un certo senso—ma stai comunque fregando gli altri. Però non l’ho mai fatto con malizia. Sempre e solo per divertirmi.

È divertente anche per l’altro giocatore?
Non sempre. È un po’ come il bullismo intellettuale—come se stessi giocando con la mente degli altri. Ha i suoi lati oscuri. Negli ultimi due anni ho realizzato quanto spesso faccio cose del genere. Ma non ho mai approfittato dei miei avversari. Sono sportivo e gioco in modo leale.

È una posizione morale? È difficile immaginare che possa esistere la moralità in assenza di qualsiasi forma di empatia. Da dove viene il tuo senso morale?
Dalla mia educazione cattolica, dall'essere cresciuto circondato da preti, suore e i miei genitori—non ho mai fatto niente di male. Mentire, barare, palpare il sedere delle ragazze: non ho fatto niente di tutto ciò. Ma non lo facevo perché soffrivo di un disturbo ossessivo-compulsivo. Pensavo che il mio comportamento dovesse essere impeccabile e in sintonia con l’universo. Dovevo tenere tutto in perfetto ordine.

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Quindi, lo stesso codice che seguivi era arbitrario? Voglio dire, se fossi cresciuto in un ambiente diverso, saresti arrivato alle stesse conclusioni?
Un giorno, parlando con una psichiatria con cui ho collaborato in India, questa mi ha detto, “Jim, sei un vero buddista. L'empatia che possiedi non è per le persone, ma per l’umanità. È molto buddista.” Penso che se fossi cresciuto in un ambiente buddista, sarebbe stato tutto più semplice.

Per quale motivo l’educazione cattolica non è stata adeguata?
Non avevo alcun problema con quel codice severo. Io andavo ben oltre. È questo il problema. Non mentire, non rubare, non barare—tutte queste cose mi sembravano ovvie. Le persone mi dicevano sempre, ‘Caspita, Jim. Rilassati.” L’idea di aggiungere il concetto di moralità a tutti questi aspetti mi sembrava priva di senso. La mia ossessione per l’essere perfetto era semplicemente congenita. Sai, il primo ricordo che ho—e può risalire a quando avevo due o tre anni—è di quando andavo a dormire, e appena prima di chiudere gli occhi, vedevo questa… Hai mai vissuto al nord?

Parli dell’aurora boreale?
Esatto. Ora, se tu vai veramente a nord, e ti trovi in mezzo a una tempesta, l’aurora boreale sarà precisamente sopra la tua testa, in modo molto teatrale, e tu ti sentirai piccolo come una formica. Ogni volta che chiudevo gli occhi avevo quella sensazione. Non aveva colore né luminosità finché non cominciava ad avvicinarsi sempre di più. Poi si avvicinava sempre più velocemente. E si condensava in una sensazione sola, che avevo tutte le volte, la sensazione che l’universo mi stesse colpendo dritto in faccia. E poi mi colpiva, ed era leggero come una piuma. È la sensazione più intensa, perché è infinita e microscopica allo stesso tempo. E la provavo tutte le notti. Deve aver innescato un meccanismo dentro di me, molto tempo fa, che mi ha portato a essere ossessionato dall’universo e dal concetto di perfezione.

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Quando hai perso l’ossessione per la moralità?
Avevo 19 o 20 anni, quando ho deciso di cambiare improvvisamente. Sono passato dal credere che fosse tutto una questione morale al credere che nulla lo fosse.

Ora come ti consideri, dal punto di vista religioso?
Sono un ateo agnostico. Manipolo gruppi di persone, ma cerco di farlo per ragioni etiche. Non la vedo tanto come una questione morale, ma c’è una certa bellezza.

Sembri quasi un Dio del Vecchio Testamento—appari per riportare l’equilibrio.
Non l’avevo mai vista in quest’ottica. Mi piace. Io mi identifico con quella personalità di Dio, il padre che interviene al momento giusto per sistemare le cose in maniera imparziale. Perché sia possibile, l’assenza di emozioni è molto importante.

Immagino che in certe situazioni possa risultare comodo. Sembra ti stia aiutando ad elaborare la morte del tuo amico.
Si, non cedo terreno alle emozioni. Abbiamo passato dei bei momenti insieme. Era una persona interessante, ma c'è qualcosa che non mi lega emotivamente alla faccenda. Tu che sei un osservatore esterno e oggettivo, puoi vederlo da te—dovrei essere turbato, eppure non lo sono.

Sembra quasi una liberazione. Vorresti riuscire a provare empatia?
No. Sono felice di essere la persona che sono. Amo la mia vita. A dire il vero, tutti sono un po' così, in piccolo—be’, non tutti, ma molte persone. Non sono veri psicopatici, ma hanno dei comportamenti propri degli psicopatici.

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Pensi che ambienti diversi possano far emergere comportamenti moralmente in conflitto tra loro, all'interno di una stessa persona? Per esempio, il comandante di Auschwitz che la sera tornava a casa e baciava moglie e figli. C’é una spiegazione?
È per questo che per uno psichiatra è così difficile determinare se Hitler fosse un vero psicopatico. E lo stesso vale per la maggior parte dei nazisti. Erano molto legati alla famiglia. Provavano empatia. Tutti. Non sono psicopatici. Le idee di Hannah Arendt sulla partecipazione di massa all’Olocausto prevedono che tutti dovevano credere nell’ethos di ciò che stavano facendo. Sono sicuro fossero convinti di aiutare il mondo—  come Breivik. Se andate a leggere il suo manifesto, ne esce il ritratto di uno piuttosto sano di mente.

Non era uno psicopatico? 
Non esattamente. Provava empatia, ma aveva una sua visione di come sarebbero dovute andare le cose. Il problema è che è l’equivalente di ciò che avevano Gandhi, Madre Teresa, Mandela. Erano convinti di poter mettere a posto il mondo, a costo di fare del male ad altri per raggiungere quell'obbiettivo. Sapevano che la loro visione aveva un prezzo. Per salvare i bambini, Madre Teresa aveva dovuto far cose negative. Gandhi l'ha fatto con la sua famiglia, esattamente come Mandela. Ai loro occhi erano nel giusto, anche se a livello più individuale stavano facendo cose brutte—cose che potrebbero essere considerate da psicopatici. Ma è soltanto un'altra forma di empatia.

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Come funziona la questione a livello neurologico? 
In termini neuroscientifici, tutti i comportamenti rinforzati, qualsiasi essi siano, si concentrano in un piccolo punto nel cervello, il nucleo mediale dorsale del nucleus accumbens.È lì che si trova tutto: la dopamina, le endorfine, l’acetilcolina, l’ossitocina, la vasopressina. È il centro dell’edonismo. Qualsiasi comportamento che può essere rinforzato deve passare attraverso quel piccolo punto nel cervello. Ognuno ha una propria fissa. Alcuni sono dipendenti dallo shopping, alcuni dal cibo, altri dalle droghe.

Quindi, essenzialmente ne sei schiavo? 
Esattamente. Prendi i comportamenti negativi—se passano attraverso quel punto del cervello, il fattore negativo viene rimosso, perché il processo viene azionato per tutti nello stesso modo. Se riesci a fare qualcosa per sola spinta razionale—solo allora puoi cominciare a considerare quel qualcosa un gesto di pura malignità.

Ma se non vieni ricompensato, perché lo fai? 
Esattamente. Perché? Perché, se passa davvero tutto attraverso quel punto del cervello, significa che non esiste il male, come non esiste il libero arbitrio. Al posto del ‘maligno’, del negativo, esiste solo un comportamento che non approviamo. È un bel dilemma.

Quindi, per far funzionare la società dobbiamo tutti illuderci del libero arbitrio? 
Penso di sì. È importante prendere parte a quest'illusione. Ma è divertente, sai—ho cominciato a trattare meglio mia moglie come piccolo esperimento personale. Lei l'ha apprezzato, e le ho detto—perché con lei posso essere sincero— “Non lo faccio naturalmente. L'ho preso come un gioco.” Lei mi ha risposto, “Non mi interessa, mi tratti meglio, perché dovrebbe interessarmi il motivo per cui lo fai?” Ecco, il punto è che per me le intenzioni vengono prima di tutto.

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Qual é il tuo rapporto con le donne, in generale? 
Ho molte amiche femmine. Piaccio, anche se non ho un aspetto piacevole. Non importa, perché io me ne frego, e a loro è proprio questo che piace.

Perché, secondo te? 
Se puoi fare a meno degli altri, allora significa che puoi ottenere chiunque, e di conseguenza i tuoi geni sono richiesti. Non puoi avermi, quindi mi desideri. Può sembrare un po' troppo scontato e viscido, ma molto probabilmente è così. Quando ne parlo con certe amiche neuroscienziate devono trattenere la rabbia, anche se sanno che c’è un fondo di verità.

La loro emotività le blocca? 
Mi piace il fatto che queste mie amiche, che sono tutte molto intelligenti, finiscono sempre per combattere contro le loro emozioni. Loro lo sanno, e vengono a chiedermelo apposta. Vogliono che le torturi. Molti uomini sono in perenne stato di caccia. Direbbero qualunque cosa per scopare, ma le donne impazziscono se trovano uno che le blocca, che dice “Niente da fare, stasera non si scopa."

Che mondo sarebbe se fossero tutti come te? 
Be', sarebbe brutto per quelli come noi. Penso che l’esperimento mentale più grande sarebbe sbarazzarsi dei geni legati all’aggressività e ad alcuni tratti psicopatici—come specie, saremmo finiti. Sarebbe la fine, se diventassero tutti Jimmy Carter. Una qualsiasi persona aggressiva potrebbe comandare il mondo. La gente dice che sarebbe fantastico vivere nella pace e nell’amore. La loro visione del paradiso, per me, rappresenta la fine dell’umanità.

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Hai scritto molto sul possibile incremento dei geni aggressivi nei luoghi di conflitto. Funziona anche al contrario? L’aggressione può essere estirpata in una società occidentale stabile? 
Penso di sì. Qui in California… non voglio chiamarla femminilizzazione, ma sembra che a forza di andare tanto d’accordo non esista più la competizione. Io la vedo come una forza molto negativa, in termini di specie. C'è sempre questa dinamica che suddivide ciò che fa bene alla specie e cosa fa bene all’individuo. Questi due concetti entrano in conflitto. In un certo senso, abbiamo bisogno della psicopatia. Non abbiamo bisogno di stronzi psicopatici in piena regola, ma la prevalenza di tratti psicopatici è da sempre associata alla leadership. Vale per i presidenti, i primi ministri, e nelle persone che prendono rischi. Fanno cose per proteggersi dagli aggressori.

Quindi lo fanno per se stessi, ma finiscono per proteggere anche la società? 
È per questo che le persone come Jimmy Carter non rientrano nel discorso. Anche Obama, è un po' bloccato.

È troppo buono?
Non è abbastanza psicopatico. Quasi tutti i più grandi leader hanno alti livelli di tratti psicopatici. Se dovessero fare il ‘Psychopatic Personality Inventory’, otterrebbero un punteggio piuttosto elevato. Comunque non sono sufficientemente qualificato per poterne parlare, ma tu sì.

In che senso?
Vedi, ti ho manipolato. Non credo davvero che tu sia la persona più qualificata per parlare di cose del genere, ma l’ho detto comunque.

Volevo chiederti delle tue risonanze. Non registrano alcuna attività nella sfera emotiva, in presenza di stimoli sentimentali; ma ovviamente hanno comunque un uso, no? Pensi di sapere quale sia? 
Probabilmente servono a inibire il mio comportamento scorretto. Penso che ci sia un modo per poterlo testare. Dovresti prendere persone come me e dargli l’opportunità di fare qualcosa di cattivo, per poi fermarli e vedere se quella sfera del cervello si attiva. Un gran bell’esperimento.

Be', sono certo che non avresti troppi problemi a trovare dei soggetti. 
Hai ragione. Vengo contattato da molte perone "cattive". Mi vedono come qualcuno che capisce la loro condizione. È un po' una fratellanza di psicopatici. Solitamente sono molto onesti. E posso indirizzare quelli che non lo sono. Gli dico qualcosa, e impazziscono. Se qualcuno mi sta nascondendo qualcosa o cerca di fottermi, ho i miei modi per sapere dove vogliono arrivare, e gli dimostro che lo so.

Qual è il tuo scopo nella vita? 
Sto cercando di non manipolare troppo le persone.

Perché?
Per vincere contro me stesso. Sono il mio miglior avversario. Se riesco a vincere contro me stesso, ho vinto tutto.

Ma così il gioco finisce, no?
In un certo senso sì. Ma penso che il premio ultimo sarebbe la morte dell'ego.

E cosa pensi troveresti a quel punto?
Probabilmente qualche illuminazione sull'esistenza. Ma il desiderio di affermazione dell'ego è estremamente forte. Quindi tutto sta nel cercare di contenerlo. Se potessi scegliere me ne sbarazzerei completamente per poter fare qualcosa di buono, solo per il gusto di farlo. La difficoltà consiste nel dimostrare che posso farcela, non tanto nell'azione in sé.