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Cosa c'è prima di Lampedusa

Abbiamo parlato con un esperto di politiche migratorie dell'impatto che gli accordi tra l'Italia e i paesi del Nordafrica hanno avuto e stanno avendo su tragedie come quella di Lampedusa.

Arrivo delle bare e dei carri funebri a Lampedusa. Foto Alessandro Serranò/AGF

Mercoledì 2 ottobre 2013 la commissione migrazioni dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha approvato all'unanimità una bozza di rapporto sulla gestione italiana degli arrivi di migranti sulle coste e le politiche migratorie a essi collegate. Il documento sottolinea che nonostante la notevole diminuzione di sbarchi del 2012, il sistema italiano di accoglienza, identificazione e smistamento dei migranti sembra ancora non essere "all'altezza della situazione," descrivendo il paese come fondamentalmente "impreparato a quella che si configura come una nuova ondata di flussi migratori."

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Poche ore dopo, un barcone carico di più di 500 migranti di provenienza principalmente somala ed eritrea è naufragato al largo dell'isola di Lampedusa, causando la morte di almeno 130 persone—alle quali si aggiungono gli oltre 150 dispersi. È stata una delle peggiori tragedie degli ultimi anni che ha coinvolto migranti al largo delle coste italiane, e si colloca a poca distanza da altri incidenti.

Come succede spesso in questi casi, anche stavolta è in corso un acceso dibattito sulle responsabilità, i ritardi nei soccorsi e le misure per impedire che episodi del genere si continuino a ripetere. Uno dei principali nodi della questione riguarda gli accordi per la gestione dei flussi migratori intervenuti tra l'Italia e i paesi da cui i migranti partono. Per capire qualcosa in più a riguardo ho contattato Stefano Liberti, un giornalista e regista che da tempo si occupa di rotte e politiche migratorie. Il suo libro A Sud di Lampedusa raccoglie i viaggi compiuti tra Nordafrica ed Europa, mentre il film realizzato con Andrea Segre, Mare Chiuso, indaga sulla politica dei respingimenti verso la Libia. Attraverso le testimonianze inedite dei richiedenti asilo—dapprima respinti verso le coste libiche e rinchiusi in centri di detenzione e poi costretti a riparare in Tunisia dopo lo scoppio delle rivolte—il film fa luce sulle modalità di una pratica inumana successivamente condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ecco cosa mi ha detto sull'ultima tragedia di Lampedusa e sui meccanismi che ne stanno alla base.

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VICE: Quanto successo a Lampedusa ha avuto ovviamente un forte richiamo a livello mediatico. Ci sono alti e bassi anche in questo tipo di incidenti, o veniamo a conoscenza solo di quelli che toccano il nostro suolo da vicino?

Stefano Liberti: La "novità" di questa tragedia non è tanto il numero, ma il fatto che così tanti cadaveri siano arrivati sul molo di Lampedusa. Perché ci sono stati molti altri naufragi con due/trecento dispersi in mare, il che si è saputo per conto di un superstite o dai racconti di un familiare che dice "il mio parente è partito e non è mai arrivato." Questo sui giornali non c'è. La cosa scioccante è che [nel momento in cui parlo] ci sono più di 95 cadaveri sul molo del porto di Lampedusa. E la presenza di misure restrittive fa sì che ci siano questi naufragi, perché i viaggi sono fatti in condizioni di illegalità.

In effetti si tratta del secondo incidente in una settimana, e arriva a pochi mesi di distanza dall’ultimo accordo di cooperazione tra Italia e Libia. 

La storia degli accordi è molto lunga, e inizia con una collaborazione nella gestione dei flussi migratori e dell’immigrazione clandestina, come viene detta in gergo ufficiale. Si doveva procedere a patteggiamenti congiunti per le coste libiche, in virtù dei quali l’Italia dava alla Libia motovedette, formazione e i fondi per costruire dei centri di raccolta di immigrati. Gli accordi sono diventati operativi nel 2008, quando l’Italia con primo ministro Berlusconi e la Libia con Gheddafi hanno firmato il trattato di amicizia, partenariato e cooperazione che prevedeva un versamento di una somma di denaro molto elevata come indennizzo per i danni coloniali fatti dall’Italia, a patto che la Libia si impegnasse a utilizzare il denaro in opere infrastrutturali con appalto affidato a società italiane. Come postilla di questo accordo commerciale c’era un capitolo sull’immigrazione irregolare. A inizio 2009 l’accordo è stato ratificato dal Parlamento italiano e, poco dopo, nel maggio 2009, è cominciata la nuova politica dei respingimenti: quando la Marina Militare e la Guardia di Finanza italiana incontravano persone in difficoltà le soccorrevano, ma invece di portarle a Lampedusa o nel posto più vicino in Sicilia, come avevano fatto fino ad allora, le respingevano in Libia.

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Il centro di accoglienza di Lampedusa in cui sono stati trasferiti i sopravvissuti. Foto Alessandro Serranò/AGF

Ricordo il baluardo della lotta all'immigrazione grazie al quale la Lega si alleò di nuovo con Berlusconi.

Sì, sono decisioni politiche nate anche dalla Lega, con Maroni ministro dell'Interno, che sono state però rese possibili da un’attiva collaborazione da parte della Libia. Il respingimento in mare non era previsto esplicitamente dagli accordi, perché di per sé è una pratica illegale, e ha portato alla condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. È una prassi eseguita per circa un anno, da maggio del 2009 a più o meno settembre 2010; subito dopo in Libia è scoppiata la rivoluzione e poi la guerra e quindi non si poteva più fare, ma è stato il risultato di una decisione politica presa da alcuni esponenti più piccoli del governo Berlusconi.

Come si svolgeva in sostanza questa pratica del respingimento? 

I barconi venivano intercettati in acque internazionali, gli immigrati erano soccorsi e scaricati sulle motovedette della Guardia di Finanza o della Marina Militare italiana […] e poi sostanzialmente si aspettava una chiamata da Roma che doveva indicare se la direzione da prendere fosse a nord o a sud. Nella maggior parte dei casi tra il 2009 e 2010 l’ordine era di andare verso la Libia. A quel punto avveniva un trasbordo: c’è una piattaforma petrolifera al largo di Tripoli, dove gli immigrati venivano spostati su navi libiche—che poi non erano che le sei motovedette che l’Italia aveva fornito alla Libia in seguito agli accordi, in alcuni casi con annesso equipaggio italiano.

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Non è da considerarsi una sorta di sequestro di persona, soprattutto se i migranti non venivano identificati e la cittadinanza effettiva non accertata?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha giudicato questa pratica illegale perché viola un principio determinato dalle Convenzioni di Ginevra. Le persone vanno identificate prima di essere espulse, e in quei casi non si era neanche verificato se avessero diritto alla protezione internazionale o l'asilo politico. Nessuno è arrivato a dire che si tratta di sequestro di persona, ma comunque la condanna inflitta all'Italia è stata molto pesante, soprattutto dal punto di vista politico. In pratica le è stato detto che tutto quello che aveva fatto dal 2009 al 2010 era completamente illegale, tant'è che in effetti mentre il processo era in corso i respingimenti non si sono più fatti.

I profughi siriani che sono stati trasferiti per ospitare i profughi somali ed eritrei. Foto Alessandro Serranò/AGF

In cosa è consistita la condanna della Corte Europea?

In un indennizzo di 15mila euro a ciascuno dei ricorrenti. I ricorrenti erano 24, due morti, tutti più o meno somali ed eritrei. Non è una cifra molto elevata, ma la condanna è importante perché stabilisce un precedente politico. Alla fine quest’indennizzo è stato versato a una sola persona.

Hanno usato qualcosa del vostro film per la causa?

No, perché il materiale è stato messo insieme successivamente. I racconti in prima persona [che abbiamo raccolto] non erano mai usciti fuori in dettaglio. Si sapeva che il governo diceva "noi non facciamo più arrivare i barconi, li rimandiamo indietro." Poi dai racconti dei migranti veniva fuori l'inganno, e il fatto che nel momento in cui scoprivano il cambio di rotta si ribellavano, subivano le violenze della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera.

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E dopo la condanna, come sono cambiate le cose?

Di fatto i governi successivi [a quello Berlusconi], anche quelli più neutrali nei confronti dell’immigrazione clandestina, da Monti al governo attuale, hanno portato avanti la stessa politica: cercare collaborazione stretta con Libia ed Egitto per delegare a loro la gestione dei flussi migratori, e quindi inibire anche le partenze di quelle persone che comunque avrebbero diritto certo ad asilo politico. Diciamo che i respingimenti in mare sono stati l'eccesso delle politiche dal ‘91 a oggi, svolte nel solco di una ricerca di deroga agli stati frontalieri del sud della gestione dei flussi migratori.

I cambi di regime della “primavera araba” hanno avuto un impatto anche sui flussi migratori. Cosa è successo?

Gli accordi [precedenti] sono saltati. Tra il 2009 e il 2010 non era arrivato più nessuno in virtù dei respingimenti. Poi dal 2011, con la caduta dei vari regimi, gli sbarchi sono aumentati. Dopodiché, una volta creatasi una parvenza di governo nell'altra sponda mediterranea, la prima cosa che l'Italia ha fatto, come gli altri governi frontalieri, è stato cercare di ristabilire quel tipo di accordi. Che sono tutti volti a fermare flussi di fatto trascurabili: appena saltati gli accordi ci sono stati 50mila arrivi, che non sono una cifra gigantesca per un paese come l’Italia. Quel che è sproporzionato è l’impegno di energie e soldi volto a frenare un flusso che poi, anche a mare aperto, non sarebbe così d'impatto. Su un’isola piccola come Lampedusa gli arrivi pesano, ma se il sistema italiano fosse strutturato potrebbe assorbire tranquillamente 50mila persone ed evitare questi viaggi così drammatici e le tragedie.

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Negozi e bar chiusi a Lampedusa per lutto cittadino e nazionale. Foto Alessandro Serranò/AGF

Come si può evitare?

Ad esempio, ora c’è stato un aumento di profughi siriani che arrivano a Siracusa: forse si potrebbero fare dei corridoi umanitari e dire "se tu arrivi dalla Siria ti diamo una protezione temporanea in Italia." Se c'è una protezione "legale" umanitaria non devi imbarcarti su un barcone. Così dovrebbero fare con gli eritrei e i somali, che arrivati hanno sì la protezione umanitaria, però ad ogni modo per arrivare fanno il viaggio in mare. Si potrebbero instaurare meccanismi con le ambasciate nei paesi in cui questa gente si rifugia in transito, ad esempio in Egitto o in Libia. Non viene fatto per paura di un’invasione. Un’invasione che però probabilmente non avverrebbe perché i numeri sono sempre stati quelli, abbastanza costanti nel corso degli anni.

C’è un modo in cui questa cosa possa far voltare pagina all’Italia? Esiste un governo che abbia mai effettivamente messo in pratica una politica di accoglienza strutturata?

Nessuno dei governi europei lo ha fatto. Pensa che la Tunisia che era ancora in un processo rivoluzionario e di cambiamento si è fatta carico di 300mila persone, per metterle nei campi di accoglienza e occuparsi di loro fino all’effettivo smistamento. Però sai, magari il fattore mediatico di certe tragedie alle volte può portare un certo sussulto, facendo cambiare qualcosa.

Staremo a vedere.

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