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Abbiamo parlato con i giocatori della nazionale di calcio della Padania

Tra qualche giorno, la nazionale di calcio padana andrà a giocare i Mondiali della nazioni non riconosciute. Abbiamo parlato con alcuni giocatori della squadra di cosa vuol dire giocare per la Padania.

La nazionale padana vittoriosa agli Europei di Debrecen, nel 2015. Immagine via

Wikimedia Commons

C'è stato un periodo della storia italiana—durato, credo, dall'inizio degli anni Novanta fino a qualche anno fa—in cui si tendeva a prendere seriamente le istanze indipendentiste della Padania. Questo perché c'era un partito, la Lega Nord, che non era ancora stato proiettato in una direzione nazionale e faceva un punto d'onore di difendere e diffondere cultura e tradizioni "padane".

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Il che si traduceva nell'elargizione di finanziamenti a iniziative pubblicitarie che, per quanto discutibili, servivano bene allo scopo: Miss Padania, ad esempio, il concorso che per un quindicennio ha incoronato le reginette di bellezza padane. Ma c'erano anche il Rally Padano, il Giro di Padania, il Sanremo Padano e—ovviamente—la nazionale di calcio della Padania.

In quegli anni gloriosi, pare che la nazionale di calcio fosse il giocattolo preferito della famiglia Bossi. Il Trota ne era team manager, ci giocavano ex calciatori di serie A come Maurizio Ganz e i soldi non mancavano, tanto che

secondo alcune fonti

la trasferta in Lapponia per l'edizione 2008 dei mondali delle nazioni non riconosciute sarebbe costata in totale circa 100mila euro. Quello è stato il periodo d'oro per la selezione padana, che ha vinto tre Mondiali su tre.

Gli highlights di Padania-Kurdistan ai Mondiali del 2009

Con l'avvento di Salvini alla guida del partito, però, le cose sono cambiate. Il nuovo leader leghista ha già tutta la pubblicità che gli serve, e allo stesso tempo si è impegnato per distanziare l'immagine della Lega Nord dell'indipendentismo padano delle origini. Il che, nella pratica, si è tradotto nella fine di tutte quelle iniziative folcloristiche su cui un tempo si fondava l'estetica del leghismo—dal rito dell'ampolla a Miss Padania, passando anche per la nazionale di calcio, a cui sono stati tagliati i finanziamenti e che l'anno scorso Salvini stesso, ai microfoni di Radio Padania, ha definito una "roba da pirla."

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Ma la nazionale padana esiste ancora: staccatasi dal partito, si è riorganizzata e continua a partecipare alle competizioni internazionali per le selezioni calcistiche dei paesi non riconosciuti—di cui tra l'altro è la nazionale più titolata. L'anno scorso è andata a Debrecen, in Ungheria, per partecipare agli Europei: totalmente indipendente, senza finanziamenti e con una nuova formazione che includeva anche il fratello di Balotelli.

In quell'occasione l'attenzione della stampa si era concentrata più sulla partita con cui si era aperta la manifestazione, l'ironica Padania-Popolo Rom, che sull'effettivo svolgimento della competizione—conclusasi poi proprio con la vittoria della nazionale padana. Tra qualche giorno, invece, la Padania sarà in Abcazia, una regione separatista della Georgia, per disputare la Coppa del mondo ConIFA—ovvero i Mondiali della nazioni non riconosciute. Abbiamo parlato con alcuni dei giocatori che parteciperanno alla competizione di cosa vuol dire vestire la maglia della Padania e di come si fa a farsi convocare.

STEFANO TIGNONSINI, difensore e capitano della nazionale

Stefano Tignonsini (a sinistra) con l'ex giocatore dell'Inter Evaristo Beccalossi. Foto per gentile concessione di

Padania Football Association A.S.D.

VICE: Ciao Stefano. Prima di tutto, tu dove giochi e a che livello? E come sei finito a giocare per la nazionale padana?
Stefano: Quest'anno ho giocato per la Grumellese in serie D. Con la Padania ho iniziato una decina di anni fa, in un'amichevole di beneficenza contro la nazionale del Tibet. Da lì ho fatto quattro Mondiali e un Europeo e adesso sto per fare il quinto Mondiale. Insomma, sono stati dieci anni intensi.

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Come funziona il processo di selezione?
I giocatori della Padania sono per la maggior parte calciatori che militano in serie D o in eccellenza. La selezione si basa più che altro sul senso di appartenenza al territorio. Si tratta di un legame morale, quindi non dato dall'essere nati o dall'essere residenti in Padania. Alla base di tutto c'è lo sport: si gioca, ci si diverte e non si strumentalizza tutto questo per questioni politiche o di altro genere. Si sposa il progetto e si gioca a titolo gratuito.

Tu sei già al quinto Mondiale. Sono competizioni molto seguite?
Sono manifestazioni che col tempo stanno crescendo, sia in termini di interesse che proprio in termini di sponsorizzazioni per le nazionali partecipanti. Adesso si sta lavorando sul coinvolgere anche gli spettatori: il seguito per ora dipende ancora dalla zona in cui si va a giocare e dall'attenzione che il territorio dedica alla propria nazionale. Per esempio, quando abbiamo organizzato i Mondiali in Italia c'è stato un notevole seguito di pubblico e per la finale al Bentegodi di Verona c'erano due-tremila persone; quando li hanno fatti in Lapponia invece gli spettatori erano un centinaio.

Darfur-Padania ai Mondiali del 2014, finita 20 a zero per la Padania.

Com'è partecipare a questi tornei?
Il fine ultimo di queste competizioni resta quello di dare visibilità a situazioni difficili. La nostra realtà è consolidata e viviamo in un paese che non ha di questi problemi, ma spesso ci troviamo a giocare in nazioni che aspettano veramente un riconoscimento internazionale e sfruttano quest'occasione per fare pubblicità alla loro causa. In campo però tutto questo si azzera. Anche perché dato che dietro il torneo non ci sono interessi economici ma solo la volontà di fare pubblicità a queste situazioni, c'è uno spirito di fondo condiviso da tutti e mediato dallo sport.

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Ovviamente, almeno in Italia, la nazionale padana viene automaticamente associata alla Lega Nord e alle sue politiche. Questa cosa vi dà fastidio?
Allora, in passato la nazionale era effettivamente legata al partito, per cui è abbastanza normale che venga associata alla Lega. Però io ho vissuto quest'esperienza dall'inizio, sia quando era legata al partito sia ora che non lo è più, e posso dirti che lo spirito di fondo non è cambiato: anche allora come oggi si pensava solo a giocare e a divertirsi.

Per cui, a noi poco importa di venire associati alla Lega. Anche perché è sopratutto una cosa che succede in Italia: all'estero, pur conoscendo bene la situazione della Padania, ci vedono solo come una rappresentanza di un territorio.

Ora che state per partire, tu che cosa ti aspetti da questo Mondiale?
Be', la Padania parte sempre favorita: abbiamo partecipato a quattro Mondiali e ne abbiamo vinti tre. Quest'anno abbiamo avuto de problemi organizzativi e siamo partiti in ritardo e con qualche effettivo in meno, per cui sarà più difficile. Però lo spirito è sempre quello giusto, la squadra è sempre un'ottima squadra formata da ottimi giocatori e noi cercheremo sempre di dare il massimo.

ALESSANDRO DALL'OMO, portiere

Alessandro è quello a sinistra con la maglia bianca.

Foto di Gary Weightman, per gentile concessione di Padania Football Association A.S.D.

VICE: Ciao Alessandro. Come sei finito a giocare nella Padania?
Alessandro: Allora, io quest'anno ho giocato al Magenta, in eccellenza, mentre l'anno scorso ho giocato alla BusteseRoncalli, la squadra di serie D dove gioca Andrea Rota, che è un po' la bandiera della Padania. Giocare con lui mi ha portato a venire a conoscenza di questa cosa e ho partecipato volentieri l'anno scorso, per l'Europeo. È stata la prima volta ed è andata bene, abbiamo vinto.

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E come ti sei trovato?
È bello, è stata un'esperienza incredibile. A parte che abbiamo vinto e quando vinci è sempre tutto più bello, ma ti senti proprio di far parte di una nazionale. E c'è molto più rispetto e sportività rispetto ai campionati che ho fatto in Italia. C'è anche molto più agonismo, ho visto certe entratacce… ma in ogni caso senza cattiveria, solo per agonismo appunto.

Una cosa che mi ha colpito è che c'è molta fratellanza tra le nazionali. Io a casa ho ancora li giubbotto di un giocatore dell'Isola di Mann e la maglietta del portiere del Popolo Rom—ci si scambiano spesso le cose.

Perché queste manifestazioni vengono percepite così distanti dal resto del calcio?
Forse è una questione di spirito. Quando l'anno scorso c'è stata la partita Padania-Rom, per esempio, i giornali ne hanno parlato un sacco ma in realtà non è niente di che. Io in quell'occasione ho rivisto due miei compagni con cui avevo già giocato in serie D e non sapevo nemmeno che fossero rom, l'ho scoperto lì. Sono manifestazioni che uniscono i popoli: ci si conosce, ci si trova a parlare di come si vivono e di come si preparano le partite in altri paesi, di cosa significa per i vari popoli essere di una regione invece che di un'altra. È una specie di Erasmus.

Questo si riflette anche nel modo in cui si gioca: da noi se una squadra va sotto 3-0 molla, inizia a tirare calci e a protestare con l'arbitro. Mentre l'anno scorso in Ungheria mi sono trovato a giocare contro una squadra che è andata sotto 5-0 e fino all'ultimo secondo hanno giocato cercando di segnare.

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Com'è vista la Padania in queste manifestazioni?
È vista come se fosse l'Italia, come se le altre squadre giocassero contro l'Italia. O al limite come il nord Italia. Certo, alcuni sanno che la Padania era in origine legata a un partito, ma in generale veniamo visti come una rappresentanza dell'Italia. Le questioni politiche sono molto più sentite qui da noi che non all'estero. A volte addirittura ci chiedono, "Perché Padania? Che zona è?" Perché loro neanche lo sanno. O se lo sanno, la considerano solo una questione geografica.

ANDREA ROTA, centrocampista

Andrea Rota (a sinistra) con altri membri della selezione padana e Tignonsini (a destra). Foto per gentile concessione di

Padania Football Association A.S.D

VICE: Ciao Andrea. Tu dove giochi e quando hai iniziato a giocare per la Padania?
Andrea: Allora, a parte che a ottobre compro 40 anni quindi sono a fine carriera, io ho sempre giocato a livelli di serie D. La prima volta che ho giocato per la Padania invece è stato nel 2010, a Malta. Poi nel 2014 sono andato in Lapponia, nel 2015 in Ungheria e quest'anno sto per andare in Abcazia.

Più o meno, quante partite all'anno giocate con la nazionale padana?
In genere con la Padania giochiamo solo le partite del torneo. Durate l'anno è difficile che le società concedano il nulla osta ai giocatori per giocare: qualche volta c'è qualche amichevole per cui si fa uno strappo alla regola, ma di norma si giocano solo i tornei internazionali.

Avete una curva o dei tifosi che vi seguono nelle vostre trasferte in giro per il mondo?
No. Questo purtroppo è l'unico aspetto negativo della situazione: onestamente, di pubblico ce n'è sempre molto poco. Forse quest'anno in Abcazia la manifestazione avrà un seguito un po' maggiore del solito, ma in generale quello dei tifosi è uno dei problemi del torneo. Perché non c'è ancora quel seguito che questi tornei, per come stanno crescendo, meriterebbero.

Com'è cambiata la nazionale rispetto ai tempi in cui era legata alla Lega?
Allora, premetto che io ai tempi in cui era legata alla Lega ho fatto solo un torneo mentre gli altri tre che ho fatto li ho fatti quando era già slegata dal discorso politico. Quello che ti posso dire è che adesso l'organizzazione è completamente diversa: prima c'erano molti più soldi per organizzare le trasferte, ad esempio, mentre adesso ci si arrangia di più con le sponsorizzazioni.

Inoltre, prima sentivi proprio il voler sottolineare il fatto che fosse la squadra che rappresentava la Lega Nord. Adesso invece questa è proprio la prima cosa che si tende a voler… non dico cancellare, perché il passato è giusto non cancellarlo, ma insomma si vuole mettere in chiaro che è un discorso totalmente diverso.

Capita ancora spesso che la nazionale venga accostata alla Lega Nord?
Sì, perché com'è normale che sia si tende sempre ad accostare la Padania a questioni politiche. Noi però ci teniamo a sottolineare questo punto, perché in realtà è un discorso prettamente geografico: rappresentiamo una parte dell'Italia, una regione geografica, ma ci sentiamo italiani e siamo orgogliosi di esserlo.

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