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Fabio&Fabio: La strada dell'high concept è fondamentale per raccogliere gli interessi di produttori e distributori. Per poter fare il film, insomma. Lo abbiamo tenuto presente fin da subito, ma è stato il cavallo di Troia per raccontare altre cose. Abbiamo cercato di usare codici riconoscibili al pubblico, come quelli del film di "genere", per poi far passare un messaggio personale. Mine, come idea di fondo, è un survivor-movie [come 127 ore e All is lost], ma c'è un tema forte, quello della paura di andare avanti, che lo colloca nel film d'autore. Il survivor non sarebbe stato abbastanza per raccontare la nostra visione. Spesso facendo film di questo tipo si finisce per tenere un gran ritmo, senza però raccontare veramente qualcosa.
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Ci siamo confrontati con questo problema del bilanciamento in ogni fase. Sia nella sceneggiatura, ad esempio tramite determinati colpi di scena, che nella regia. Abbiamo variato molto il linguaggio visivo, e anche la fase di montaggio è stata cruciale. Ci chiedevamo continuamente se i significati del film fossero chiari, se stessimo virando troppo sul film d'autore. Ecco, se stessimo andando a finire troppo sul commerciale, però, non ce lo siamo mai chiesti.A questo proposito, avreste potuto spingere molto di più sull'azione, sugli ostacoli che Mike deve superare fisicamente—penso alla scena dell'assalto dei cani o alla seconda tempesta di sabbia.
[Nel film] accadono tante cose, potrebbe quasi essere definito una specie di Die Hard su una mina. L'idea della mina, in particolare, ci è venuta mentre eravamo in una fase di stallo lavorativa. Stavamo riscrivendo per l'ennesima volta il lungometraggio adattato da un nostro corto, Afterville. Eravamo bloccati, non sapevamo fare il passo successivo. Il film viene dalle nostre mine, dai nostri blocchi. E il motivo per cui sta arrivando emotivamente alla gente è perché ognuno ci rivede le sue.
L'immagine della mina è arrivata prima, e completamente a caso, non sapremmo nemmeno ricostruire come e quando. Certo è che abbiamo capito subito che avesse un valore metaforico. Così abbiamo iniziato a costruirci sopra la storia.
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Tutti i linguaggi di cui siamo appassionati come il fumetto, l'animazione e i videogame danno degli spunti che poi rielaboriamo anche al servizio del film. Il fumetto per esempio attua un grande lavoro di stilizzazione. Noi cerchiamo di creare immagini che abbiano un significato per come sono composte. Non stilizziamo ogni inquadratura come fanno film tipo Sin city o 300. Però lavoriamo in questo senso, e molto viene dalla preparazione degli storyboard, che riteniamo strumento uno fondamentale.A livello cinematografico, siamo cresciuti con il cinema americano degli anni Ottanta, con registi come Carpenter, Spielberg e Zemeckis, ma anche registi come Kurosawa e Tarkovskij ci hanno influenzati. Tra gli autori più recenti, Nolan e Fincher.Parliamo di come avete fatto a mettere su la baracca. È il vostro primo film, la location [il deserto afghano, ricreato alle Canarie] non era delle più semplici e non avevate un budget consistente. Quali sono stati i passaggi più difficili nella realizzazione di un progetto come questo?
Paradossalmente, la fase più facile è stata lo shooting, che comunque è stato un casino. La pre-produzione non è stata un grande travaglio per certi versi, perché l'idea era girare un film asciutto e "realizzabile". Sapevamo che in qualche modo l'avremmo fatto, però far capire esattamente quello che volevamo far passare noi come autori, non è stato semplice.
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Per fare un film del genere girare in inglese è molto meglio, puoi attirare grossi nomi ed essere facilitato. In generale, in Italia dopo Jeeg Robot e Gomorra le cose si stanno muovendo, anche se c'è sempre un po' di timore. A noi hanno dato il Mibact [il fondo ministeriale per il cinema] dopo lo shooting. In fase di stesura, dove tutto è più incerto, sarebbe stato più difficile. Con la commedia o il dramma vai sempre sul sicuro. Però almeno se ne parla di queste cose, non sono più un tabù.A proposito di Jeeg Robot e Gomorra, in Italia sono aumentati i prodotti esportabili o dai temi attuali. Negli ultimi tempi, secondo me, si attua anche un po' il meccanismo per cui un film italiano ben recensito lo si va a vedere per "orgoglio nazionale". Come se dovessimo riscattarci. Vi sentite parte di un'ondata che forse sta muovendo qualcosa nel nostro cinema? O quantomeno la riconoscete?
La riconosciamo e speriamo di esserne parte. Ma è anche più di come dici tu. Non c'è solo voglia di riscatto. C'è voglia di qualcosa di nuovo. La commedia e il film d'autore italiani hanno stancato, così come i film di genere americani, che non rischiano e non stupiscono, non emozionano. Questi film sono film migliori, usano il genere come tramite per raccontare storie che appartengono agli autori. E la differenza si vede.La cosa bella di questa ondata è anche che i protagonisti sono registi e sceneggiatori che si sono presi sulle spalle i loro progetti, in prima persona. E poi sono della stessa generazione. Ci si inizia a parlare, a scambiarsi le idee, i consigli. Il passo avanti lo stiamo facendo anche a livello tecnico: la color correction e il sound design di Jeeg e Veloce come il vento spaccano, nonostante budget che sono infimi rispetto a quelli americani. Ma in fondo l'arte di arrangiarsi fa il regista italiano.Segui la nuova pagina Facebook di VICE Italia: