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Intervista a un uomo rilasciato dopo 30 anni nel braccio della morte

A 29 anni, Anthony Ray Hinton è stato condannato a morte per un duplice omicidio che non aveva commesso. Dopo 30 anni nel braccio della morte, è stato finalmente scarcerato. Abbiamo parlato con lui della sua battaglia per avere giustizia.

Nel 1985, Anthony Ray Hinton era stato accusato dell'omicidio di due direttori di fast-food in due diverse rapine avvenute nella zona di Birmingham, in Alabama. Le uniche prove che lo collegavano ai delitti erano i bossoli ritrovati sulle scene del crimine, che secondo quanto dichiarato da un esperto balistico statale combaciavano con quelli di una calibro 38 trovata a casa di Hinton. Stando al suo cartellino, però, al momento degli omicidi Hinton si trovava al lavoro. Non c'erano impronte, né testimoni oculari.

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Nonostante questo, Hinton—che all'epoca aveva 29 anni—è stato condannato a morte.

L'anno scorso, dopo anni di ricorsi presentati da Hinton e dal suo legale, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la condanna nei confronti e indetto un nuovo processo.

Il mese scorso, tre esperti dell'Alabama Department of Forensic Sciences hanno affermato che i bossoli delle due rapine non corrispondevano e non potevano essere collegati alla presunta arma del delitto.

Venerdì scorso, Hinton ha lasciato la sua cella da uomo libero, due mesi prima del suo cinquantanovesimo compleanno. Stando ai dati del Death Penalty Information Center, è la 152esima persona ad essere stata scarcerata dal braccio della morte negli Stati Uniti.

Ho parlato con lui della sua battaglia per la giustizia, di come ha mantenuto la lucidità mentale durante i decenni che ha passato in isolamento e del suo rientro in un mondo ormai a lui sconosciuto.

VICE: Com'è tornare in libertà, Ray?
Anthony Ray Hinton: Per la prima volta dopo tanto tempo, questa mattina ho avuto la possibilità di andare a fare una passeggiata. Sono andato verso quella che una volta era casa di mia madre, ho fatto un giro intorno al cortile e sono tornato indietro. Faccio ancora fatica a rendermi conto di poter andare dove voglio senza dover chiedere il permesso. Devo ancora abituarmici, ho ancora tanta strada da fare.

Cos'è che ti sconvolge in particolare?
Il fatto di non vedere più la recinzione di filo spinato e le guardie nelle torrette. O la polizia che continua a passare di pattuglia. Nel braccio della morte c'è un piccolo cortile di cemento, e ci si passa un'ora al giorno—ma solo se c'è bel tempo e solo se c'è abbastanza personale in servizio. Quindi non si fa esercizio fisico tutti i giorni. A volte non sono uscito dalla cella anche per una o due settimane, perché non c'erano abbastanza secondini in servizio per portarmi all'aperto. Mentre ora posso andare in giro senza che nessuno mi dica che è ora di rientrare. Sono andato al centro commerciale; sto cercando di riprendere confidenza con il fatto di avere gente che cammina dietro o di fronte a me. A volte questo mi crea un po' d'ansia. Hai paura che qualcuno possa farti del male?
Sì. Nel braccio della morte avevamo il nostro cortile, separato da quello dove uscivano gli altri. Ti trovi sempre in compagnia delle stesse persone. Al mio piano eravamo in 28, ci conoscevamo tutti. Alcuni giocavano a basket, altri a pallavolo, altri facevano esercizi, ma non ero mai circondato da tante persone. Sabato scorso quando sono andato al centro commerciale è stato proprio l'opposto. Andavano e venivano, in ogni direzione. Devi pensare che sono rimasto per 30 anni in una cella di cinque piedi per sette. Da solo. Ho dovuto riabituarmi al rumore delle cose, perché il braccio della morte è piuttosto silenzioso. Ogni detenuto sta nel suo mondo. Alcuni leggono, altri disegnano, altri guardano la televisione, altri ancora ascoltano la musica. Ognuno passa il tempo in modo diverso.

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E invece qui ti sei trovato in mezzo alla gente e al rumore.
Esatto. Mi sono sentito fuori posto. La gente mi riconosceva e mi indicava perché mi aveva visto al telegiornale, e io pensavo, Cosa pensano? Che l'ho fatta franca? Oppure che sono innocente? Mentre cercavo di mangiare ero circondato da gente che mi guardava. Avrei voluto dirgli che sono un essere umano, anche se mi hanno visto in televisione. Mi ci è voluto un po' per ricordare come si usa una forchetta. In carcere non si usano: ti danno solo cucchiai di plastica. Non ho usato una forchetta per 30 anni. Ho cercato di ordinare cose che non mi facessero sembrare un selvaggio. Devo imparare tutto da capo.

Cosa hai intenzione di fare ora che sei un uomo libero?
Vorrei aiutare i giovani afroamericani. Se potessi, mi piacerebbe andare a parlare nelle scuole. Poter dire ai ragazzi: "Anche se rispettate la legge, c'è comunque un'alta probabilità che finiate in carcere. Io non ho infranto la legge, ma sono finito lo stesso in prigione—nel braccio della morte—per 30 anni. E sono qui per dirvi di andare a scuola, impegnarvi e andare all'università; così da non fare la mia stessa fine."

Voglio parlare ai giovani in modo che mi possano capire, e voglio salvarne il più possibile. So che non sarò in grado di salvarli tutti, ma voglio che quello che non sarò riuscito a salvare pensi a me come a quello che l'aveva avvertito. Perché con me non l'ha mai fatto nessuno, e a volte ho voglia solo di montare in macchina—quando e se ne avrò mai una—e ispirare i giovani neri. Che sono quelli che hanno più bisogno d'aiuto, dato che siamo in Alabama.

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A volte le persone che vengono tenute in isolamento impazziscono o si suicidano. Tu come sei riuscito a resistere?
Sono cresciuto in una famiglia molto cristiana. Mia madre era severa e ha sempre cercato di instillarmi il pensiero che non avessi bisogno di nessuno con cui giocare. Mi ha insegnato a contare solo su Gesù Cristo. Nel braccio della morte, che tu ci creda o no, ho visto gente impiccarsi e tagliarsi i polsi. Così mi sono affidato al mio senso dell'umorismo, e ho cercato di far ridere tutte le persone con cui entravo in contatto—dai secondini agli altri detenuti. I poliziotti e i giudici corrotti e i razzisti che hanno mentito sul mio conto e mi hanno condannato per un crimine terribile che non ho commesso si sono presi i miei 30 anni, i miei 40 e i miei 50. Non potevo permettere che si prendessero anche la mia anima. Non potevo dargli me stesso. Mi sono aggrappato a questo, e il mio umorismo è stato l'unica cosa che mi ha impedito di impazzire. Nessun uomo è in grado di stare in cella da solo. Se stai lì per 23 o 24 ore al giorno. Nessun uomo può sopportare una pressione del genere senza una fede profonda. Io quella fede profonda ce l'avevo, per questo non mi è mai passato per la testa di uccidermi.

Se mi aveste visto in questi 30 anni, mi avreste considerato pazzo. Ridevo e scherzavo come se non mi trovassi nel braccio della morte. Non ho mai accettato la pena di morte. Potevano darmela, ma non potevano farmela accettare.

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In cuor tuo non l'hai mai accettata perché sapevi di essere innocente?
Sì, sapevo di essere innocente e credevo che Dio non mi avrebbe lasciato morire per qualcosa che non avevo fatto. Seguo un versetto delle scritture in particolare, Marco 11,24: "Perciò vi dico: Tutte le cose che voi domanderete pregando, crediate che le avete ricevute, e voi le otterrete." La mia preghiera era: "Signore, liberami da questo posto."

Il tuo caso è uno dei peggiori esempi di ingiustizia che io ricordi.
Uno degli uomini che erano venuti ad arrestarmi mi aveva detto, "Non mi importa se l'hai fatto o meno, pagherai." Gli ho risposto, "Com'è possibile, se non ho fatto nulla di sbagliato?" E lui ha detto, "Sei nero e avrai un avvocato bianco, un giudice bianco e, molto probabilmente, una giuria composta da bianchi. In più hai un precedente per furto. Sai cosa significa?" Ho detto di no, e lui mi ha detto, "Significa che verrai condannato." Ed è andata davvero così?
Il giudice era bianco. Entrambi i pubblici ministeri erano bianchi. Ma la giuria era mista, ci saranno stati forse cinque neri.

Pensi che i pubblici ministeri che si sono occupati del tuo caso si meritano di venire radiati?
Sì. La ragione per cui dico questo è che uno dei pubblici ministeri ha dichiarato alla stampa che se fossi uscito mi avrebbe aspettato in un parcheggio e mi avrebbe sparato con una calibro 38. È tutto nel Birmingham News.

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Durante la tua detenzione, ci sono stati mai giorni in cui ti sei sentito oppresso dalla situazione?
Sì. Quando ho ricevuto la notizia della morte di mia madre, nel 2002. Quello è stato il giorno più triste della mia vita. La donna che mi aveva cresciuto, nutrito, vestito… non c'era più. Non ho potuto nemmeno abbracciarla un'ultima volta o dirle addio. Dicevano che è morta di crepacuore per via della mia situazione, e la cosa mi preoccupava molto, anche perché so che non è più stata la stessa persona dopo che sono finito in carcere. Non capiva, non era molto istruita per cui non riusciva a comprendere quello che mi stava succedendo. Mi diceva, "Quando ti lasceranno andare?" Non hanno solo arrestato me, hanno anche fatto questo a mia madre.

Come hai fatto ad andare avanti?
Dopo che è morta mi sono dovuto aggrappare ancora di più al senso dell'umorismo, perché sapevo che lei non avrebbe voluto che mi arrendessi. Sapevo che da quel momento sarebbe stata in contatto con Dio in Paradiso. Perciò mi sono rialzato, e ho eretto un muro intorno a me. Non potevo più essere triste. Sapevo che un giorno Dio mi avrebbe liberato. Credevo che, dopo aver scontato dieci anni, Dio mi avrebbe chiamato e mi avrebbe detto di uscire. Alla fine, dopo trent'anni, l'ha fatto, e io mi sono alzato e ho camminato come Lazzaro. Ecco in cosa credo io. Per cui quei diavoli, quei bugiardi, quei razzisti andranno incontro alla giusta punizione, un giorno. Per il momento, io sono a casa.

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Dimmi del giorno in cui hai ricevuto la notizia che la Corte Suprema aveva convocato un nuovo processo.
Sento ancora il suono della mia voce che risuona nel braccio della morte: "Mi riprocessano!" Non mi drogo, non l'ho mai fatto. Ma era una sensazione che non so neanche spiegare. Mi sembrava di camminare sull'acqua, di volare. Hai mai ricevuto scuse dalle autorità?
No. Non ho ricevuto le scuse di nessun senatore nero né di nessun altro membro di questa legislatura. Nessuno. Nessuno mi ha mai detto, "Mi dispiace." Nessuno.

Intendi chiedere un risarcimento per quello che hai passato?
Non ne ho mai parlato. Che tu ci creda o no, mi basterebbe uscire pulito da questa vicenda e che qualcuno mi chiedesse scusa.

Che consiglio ti senti di dare ad altri innocenti condannati ingiustamente come te?
Di tenere duro, pregare, continuare ad avere fede, collaborare con l'avvocato e leggere testi di giurisprudenza ogni volta che possono. Di non arrendersi mai. Di credere, perché se crederanno riusciranno a uscire di lì proprio come ho fatto io. Perché la luce vince sempre sull'oscurità.

Dopo quello che hai passato, come pensi che si possa migliorare il sistema penale?
Per prima cosa, bisogna eliminare il razzismo. In secondo luogo, si dovrebbe istituire una commissione che esamini tutti i casi finiti con una sentenza capitale per accertarsi che l'imputato abbia avuto un giusto processo e abbia i soldi per sostenere al meglio le spese processuali. Questa è una cosa che molte persone non capiscono. Io sono stato processato per due omicidi. Ora, lo stato aveva a sua disposizione tutte le risorse economiche di cui poteva aver bisogno per sostenere il processo, io no. Quindi c'era un'ingiustizia di fondo. Bisogna contrastare quest'ingiustizia: se lo stato spende 500.000 dollari per un processo, è giusto che anche la difesa possa spendere quella cifra. Se avessi avuto i soldi per le perizie necessarie non sarei mai finito in carcere.

Vedi, c'è una cosa che la maggioranza della gente non capisce. Ti dicono, "Be', hai diritto a un avvocato, se non puoi permettertelo te ne verrà assegnato uno d'ufficio." Che non è una bugia, te lo assegnano davvero. Ma lavorerà davvero per te? Farà tutto ciò di cui hai bisogno? Io non credo.

Dicono che la giustizia sia cieca, io ti dico che ci vede benissimo. Vede il colore della tua pelle, vede l'università che hai fatto, vede quanti soldi hai. Vede tutto quello che c'è da vedere. E la tua sorte dipende in tutto e per tutto da quello che vede, in base a quello che vede decide dove finirai. E quando ha visto me, ha saputo subito che sarei finito nel braccio della morte.

Ma non ha visto la potenza di Dio.
No, ed è stato il suo errore più grande.

Quest'intervista è stata realizzata in collaborazione col Marshall Project.