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La vera cronaca di Cronaca Vera

Intervista a Giuseppe Biselli, direttore di Cronaca Vera.

Foto di Edward Scheller

Vedi anche: Cara Cronaca, il documentario che abbiamo realizzato per Italica.

Da quasi 40 anni si può trovare nelle edicole di tutta Italia un particolare settimanale di cronaca, stampato su carta di bassissima qualità, in bianco e nero, al costo di un euro. È costituito da 15 storie che vanno dalla cronaca locale alla nera, dalla violenza alla curiosità. Contiene rubriche come Il Racconto Giallo/Nero, che dà spazio a racconti noir, o I Misteri del Sesso, dove i lettori parlano candidamente dei loro problemi sessuali. I suoi titoli, inseriti in stridenti gialli e rossi, sono meravigliosi. Che abbiano toni da classici di nera come Via, vieni via con me o t’ammazzo; Cercava il piacere e ha trovato la morte o Pedofilo bastardo t’ammazzo per aver violentato il mio bambino, o che raccontino cose ad alto quoziente d’assurdità, come: Ci sono ragazzi che sperano solo di finire in tv e chi fin da bambino ha sognato di fare il pastorello, sono un sorriso assicurato. Ecco, quel giornale è Cronaca Vera: una pubblicazione talmente unica nello stile e nei contenuti, che si è trasformata in un aggettivo. Vedi una cosa assurda? Troppo Cronaca Vera. Assisti ad una scena violenta? Ho visto una cosa che manco su Cronaca Vera.

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Sfogliando una delle 547 copie di questo giornale che abbiamo impilato in varie parti della nostra redazione, abbiamo finalmente deciso di fare un salto a Rho per scambiare due chiacchiere con il suo direttore, Giuseppe Biselli. Ecco cosa ci siamo detti.

Vice: Com’è nato Cronaca Vera?
Giuseppe Biselli: All’inizio, nel 1969, erano in tre. C’era Garassini, il fondatore, che era già editore di Kent; c’era Bovarini, che ha curato l’aspetto grafico, che è rimasto praticamente invariato da allora. E poi c’era Perria, che scriveva. Perria veniva da ABC, dove faceva il caporedattore, la rivista dove scriveva pure Bianciardi.

Era un giornale popolare.
Era un giornale assolutamente popolare. Non aveva eguali. L’editoria è cambiata in quel periodo, anche grazie ad ABC, che era un prodotto di rottura. Poi hanno preso il sopravvento Panorama e L’Espresso, perchè erano giornali più patinati, più… adatti. Comunque, Garassini ha preso Perria, l’ha tolto da ABC e l’ha fatto diventare direttore di Cronaca Vera. Ed è partito tutto.

Qual era l’idea dietro alla fondazione di un nuovo settimanale di cronaca?
L’idea era che, in un paese in cui non si parlava bene di cronaca, c’era spazio per un giornale che parlasse solo di cronaca. Pensarono di non raccontare solo la cronaca politicizzata, la cronaca dei grandi fatti. Volevano anche quella vera, quella spicciola. Volevano essere vicini ai lettori. È partito un giornale che prendeva in considerazione la popolazione vera, quella che non conta, quella che non ha santi in Paradiso. Per esempio, avevamo la rubrica Lettere dalle carceri, tenuta da Bonazzi, che è un poeta ergastolano. Si è fatto 27 anni dentro, per cui sul carcere la sa lunga. È un esperto.

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E siete il giornale più letto nelle carceri.
Sì. Siamo molto felici di questo.

Se dovessi spiegare Cronaca Vera ad un ragazzo di 12 anni che non sa niente dell’editoria, come la definiresti?
Sicuramente come un prodotto molto ancorato ad un periodo in cui lui non c’era. È un giornale non di cronaca, ma di storie.

In che senso, storie?
Metti che dobbiamo raccontare una cronaca che capita a Bolzano. Il problema è che deve interessare anche ai miei lettori siciliani. Allora, tanto per cominciare, ti devi schiodare dalla cronaca e devi farla diventare una storia. Se è una storia la puoi leggere indipendentemente dal tempo e dal posto in cui la leggi. E poi deve avere degli ingredienti trasversali. Devi raccontare in modo che emerga il fattore umano.

Fate più o meno mezzo milione di copie a settimana, no?
Vendiamo meno, però abbiamo un indice di lettura molto alto, possiamo ipotizzare che i nostri lettori siano dai 400 ai 600 mila. Come lettori, non copie vendute. È un giornale che passa molto di mano, ad esempio nei condomini. Poi magari lo prendi e lo pieghi e te lo metti in tasca e ti vergogni un po’, come se ci fosse una donna nuda in copertina—mai pubblicato una donna nuda, eh, ma la sensazione è quella.

E invece il giornale più patinato ha spesso donne nude in copertina.
Chiaro. Noi siamo ai margini dell’editoria. Ed è lì che vogliamo stare. Ecco, una cosa che mi spiace, è che non riesco a capire come alcuni piccoli giornali—redazioni dove sono più numerosi i redattori rispetto ai lettori—facciano opinione. Mentre noi, che siamo una rivista popolare, veniamo considerati, spesso, “trash”.

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A me piace molto la vostra vena umoristica. Io vi leggo per divertirmi.
Ci sono tre livelli di lettura di Cronaca Vera. Vedila così: i bambini alle elementari non ridono. Acquisiscono l’ironia più avanti, perché imparano i luoghi comuni, i modi di dire, la battuta. Il nostro lettore può essere al più basso livello di scolarizzazione, può avere un approccio molto infantile, essere stato castigato e bastonato dalla vita. Di conseguenza non ride e prende tutto molto sul serio. Se un bambino vede un mago, ci crede quando ha 5–6 anni, ma a 10 anni già non ci crede più. Il livello di lettura è anche questo: noi dobbiamo far leggere CV, scrivendo dei testi da 4000 battute, sempre. Sia che si tratti di cronaca locale, sia di un’alluvione che porta via 50 persone e distrugge tre paesi, sempre due pagine, sempre 4000 battute. Poi ti puoi leggere solo il nostro sommario, i nostri titoli e hai già capito il senso dell’umorismo. Quello è un altro livello. E puoi anche guardare solo le foto, che è il modo più semplice di assimilare un giornale.

Le foto sono importanti per voi?
Importantissime. Solitamente chi ci dà le foto ci dà anche il testo, e viceversa. La cosa fondamentale è che le foto testimoniano che tutto sia vero. Una foto del luogo del delitto, anche con del sangue, potrebbe essere finta. Ma se metti foto delle facce, con i nomi, è vero.

La veridicità delle vostre storie viene mai messa in discussione?
La prima domanda che mi fanno, sempre, è se le nostre storie sono vere. Lega la moglie al termosifone per fuggire con la suocera è una notizia, vera, ma capisci che potrebbe sembrare finta. Ed è così che Umberto Eco si appassiona e ci compra tutte le settimane e si diverte a leggere le nostre storie. Bengalese digiuno di geografia ruba un pedalò sul Lago di Como e tenta di tornare a casa è una notizia vera, ma fa anche ridere.

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Cronaca Vera non ha un suo gruppo demografico preciso. Basta vedere chi scrive le lettere: c’è il sedicenne e subito dopo c’è la nonna.
Ma anche lì, ritorniamo nell’ambito di chi non ha santi in Paradiso. Se hai 16 anni o 80, e ti senti escluso dalla società, ti ritrovi sulle nostre pagine. Chi non ci conosce ci definisce un giornale di gossip. Ma i nostri lettori sanno benissimo che non abbiamo scritto neanche due righe sulla morte di Lady D. Perché? Perché noi abbiamo in copertina una famiglia che viene sbattuta in strada perché non paga l’affitto in nero. E non siamo un giornale di sinistra o di destra, noi raccontiamo semplici storie di gente. E questo ci viene riconosciuto sia dal vecchio che dal sedicenne, che è stufo di veder le veline in copertina… no, ok, forse le veline no. Magari si stufa di vedere le vecchie babbione rifatte.

E c’è anche il lettore un po’ colto e ironico, che coglie il senso dell’assurdo.
Quello ha un altro significato, ma sono in pochi. Proprio numericamente. Si può dire che si parte da due punti diametralmente opposti per arrivare allo stesso risultato, però le strade che si percorrono sono un bel po’ diverse.

Quante variazioni di vendite avete da numero a numero? Su cosa si basano?
Posso farti degli esempi concreti perché il giornale è molto monitorato, da sempre. Abbiamo un trend stagionale. Il numero che vende meno è quello a cavallo tra Natale e Capodanno, sempre. E il numero che vende di più è quello di Ferragosto, sempre. A noi fa più differenza un maltempo improvviso che non una copertina. L’unica eccezione è stata la strage di Erba, grazie alla quale abbiamo venduto seimila copie in più. Quella ha spostato parecchio. Ma seimila copie in più, per un giornale come il nostro, non sono niente. Perché seimila copie a marzo possono essere un weekend lungo di bel tempo, che porta la gente fuori prima del dovuto e ci fa perdere copie. A Natale arrivano i nipotini, i regali, e CV va nel dimenticatoio. Il numero che vende di più è quello di Ferragosto perché la gente ha il tempo di leggere, il numero che vende meno è sempre quello di Natale. Ci puoi mettere la copertina che vuoi, ma è più importante il panétun.

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Com’è la tua giornata tipo?
Si arriva alle otto e mezzo e si va a casa alle otto e mezzo.

Ma ti arrivano le storie sulla scrivania? Editi i pezzi?
Ti svelo un segreto: perché CV è facile da leggere? Perché sembra scritto dalla stessa persona. E come fai ad uniformare trecento collaboratori, con trecento teste e trecento modi di fare, trecento cazzutissimi modi di scrivere? A tirare fuori quindici pezzi ogni mese? Li rifai tutti. Noi riceviamo dei pezzi, che poi rifacciamo. Qui si rifà, sempre.

E ve ne arrivano magari trenta e voi scegliete…
No, noi vagliamo su un centinaio di proposte.

Wow. Ok. E di quelle quindici, quante frasi originali rimangono intatte?
Alle volte lo rifacciamo tutto. A volte lo buttiamo tutto e teniamo solo la notizia. A volte facciamo solo il titolo. Quando la rifacciamo tutta è perché deve venir fuori una storia, non una notizia. Uno che cade in bicicletta a Bergamo non è una storia. Ma, magari, era in bicicletta perché stava andando a trovare l’amante. Se poi in bici aveva anche due litri di vino e cadendo non si rompono, e la cosa è un po’ miracolosa, questa storia m’interessa. Questo è il segreto.

Mi sembra che il vostro mestiere sia anche di trovare storie appena uscite. 
Adesso non si riesce più. Negli anni settanta c’era stata una donna che aveva fatto scoprire agli inquirenti chi era stato l’assassino di suo marito, e questa storia era uscita su CV. Adesso cose così non sono più possibili. Ora la notizia viene immediatamente messa in rete dall’ANSA. Le nostre storie adesso sono quella del cagnolino che fa trecento chilometri per tornare a casa da solo. Poi la redazione di Italia Uno la vede…

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E ci fa le ultime tre/quattro storie di Studio Aperto, quelle un po’ più…
Quelle un po’ più, sono sempre nostre.

Ah. Ma vi copiano tanto?
Chi l’ha visto? da dove l’hanno copiato secondo te? Su CV. Avevamo una rubrica, chiamata Chi l’ha visto? sulle persone scomparse, I fatti nostri, sulle nostre pagine, è diventato I fatti vostri, in tv. Questo è davvero il giornale più copiato d’Italia, dopo la Settimana Enigmistica vantiamo il più grande numero di imitazioni, poi se lo dico sembra che mi voglia vantare. Ma se uno ha dimestichezza con la storia editoriale d’Italia, tantissime storie che sono passate di qua, sono diventate o giornali a sé stanti o trasmissioni televisive, Verissimo, Cronaca Qui, Cronaca Nera, Cronaca Oggi, semplicemente Garassini ha avuto l’intuito di arrivare prima, ma non è che è merito mio. Però nel 1968 a pensare un giornale così ci volevano dei geni, veramente.

Io ogni tanto quando faccio i titoli rido. Mi diverto con i giochi di parole e rido da solo. Tu no?
Qui siamo cattivissimi. Ci divertiamo scoprendo gli assassini. È il nostro bingo. Horror-bingo.

Quindi avete un radar per le cazzate dei media.
Beh, ci si abitua. Mi rifaccio molto ad Andreotti quando dice che a pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca. Se tieni buono questo assioma e pensi che l’assassino è sempre in casa, nove su dieci lo becchi. Solo i RIS non lo riescono a capire. Ma quasi sempre ci becchiamo.

Ok. Proviamo. Amanda Knox e l’omicidio di Meredith Kercher. Chi è stato?
Beh, è un omicidio di gruppo. Un’orgia andata male, un po’ di cinema, emulando qualche cosa. Sul coltello ci sono le impronte di tutti. È stata una cosa collettiva.

E Garlasco?
Ti faccio un domanda: se tu sei giovane e fidanzato, i tuoi o i suoi vanno in vacanza in agosto, e la casa è vuota, che fai? Io ai miei tempi avrei mangiato la cancellata pur di stare a dormire da lei. Lei può aver detto una cosa sola. Oppure: prima è successo qualcosa e poi lui è andato a casa. Ma di sicuro un fidanzato che in agosto non dorme con la sua ragazza, che finalmente ha la casa libera… c’è qualcosa che non va. Questo è il vero nocciolo, attorno al quale ruota tutto. Poi sono gli inquirenti a doverle risolvere. Io non ho detto niente. Questo è il nostro modo di fare il giornale. Mi dicono: ma sempre ‘ste storie nere, ma non te le porti a casa? No! Perché CV è consolatorio.

Cioè?
A Napoli dicono: “Anche questa volta abbiamo litigato, però non siamo finiti su Cronaca Vera.” È consolatorio vedersi ancora vivi a parlare, con tutta la morte, tutta la disgrazia, tutto il male che c’è in giro. Questa è davvero l’unica speranza. Il mio è un giornale ottimista, checché ne dicano, è un giornale che ha dei colori che solo i nostri lettori riescono a vedere.

Ha un po’ quell’effetto di quando uno pensa di avere dei problemi e poi riesce un pochino a distaccarsi e a rendersi conto che…
…che guardandoti indietro, c’è sempre qualcuno che sta peggio di te. Con un euro ne trovi almeno quindici.

Guarda il documentario Cara Cronaca