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reportage

Las Vegas è il posto peggiore del mondo in cui andare da soli

Andare da soli in un paradiso degenerato come Las Vegas è una delle esperienze più sconfortanti che si possano fare. L'ho imparato a mie spese.

Las Vegas non è che una triste e vuota dimostrazione di un qualche status in un deserto arido e indifferente, abbandonato da Dio ere geologiche fa. In più, per il semplice fatto di trovarvi lì, finanzi un’industria che si basa sullo sfruttamento di disperati e persone dipendenti dal gioco. Chi non gioca d'azzardo, di solito visita la città per partecipare alle celebrazioni di qualche evento imperdibile: l’addio al celibato di Steve o la festa esclusiva per sole donne di Krysten. Oppure passa il tempo a scoreggiare sul bordo di una piscina con in mano un drink da 18 dollari. Di rado, se non mai, è lì da solo.

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Il che ha senso, perché andare da soli in un paradiso degenerato come Las Vegas è una delle esperienze più sconfortanti che si possano fare. Naturalmente, io ho dovuto farla. E come mi aspettavo, mi ha quasi portato alla pazzia.

Sono andata a Las Vegas per partecipare a una "fiera dell'intrattenimento per adulti", cosa che già di per sé non lasciava molte vie di fuga. Appena arrivata sono stata sopraffatta dall'infinità del tempo (tre giorni) che avevo deciso di trascorrere in città. Sapevo che le ore che avrei passato a quella fiera si sarebbero rivelate senza fine. In fondo non era nient'altro che una compilation di porno dal vivo. Il posto dove si svolgeva puzzava di sudore, alcol e liquido seminale. Il resto della città, anche.

Da sola in un ambiente così “festoso” e “divertente” come la Strip, mi inacidivo sempre di più, tanto che se fossi stata un cartone di latte mi sarei tramutata direttamente in yogurt. Una giovane coppia del Midwest mi è passata di fianco bisticciando; erano vestiti come due sposini, scintillanti e coordinati. Camminavano a grandi passi, diretti verso l'aula di tribunale dove avrebbero divorziato.

Le donne in vestiti fasciatissimi vacillavano dolorosamente sui tacchi alti. Un uomo, che non parlava inglese e indossava una maglietta con scritto “Orgasm Donor”, distribuiva volantini con le immagini di prostitute in topless, i capezzoli coperti da minuscole stelline. Alcune coppie si baciavano distrattamente. Io bevevo, perché non avevo nient’altro da fare.

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Nonostante tutto c'erano bambini ovunque, portati in giro nei passeggini da mamma e papà a loro volta intenti a sorseggiare immensi daiquiri frozen. Sono abbastanza vecchia da ricordarmi i tempi in cui i genitori che portavano i loro figli a Las Vegas erano considerati degli irresponsabili. Mentre ci riflettevo su, a mezzanotte, un bambino di cinque anni poco lontano da me beveva caffè freddo.

L’enorme varietà di slot machine a disposizione implicava che alcune fossero migliori o più fortunate di altre. A un occhio più attento, però, erano tutte uguali. E tutte le giocate portavano sempre allo stesso risultato. Ma andava bene così. Tutti gli altri visitatori ci erano abituati e la cosa gli stava bene. Non gli interessava scommettere su qualcosa che non conoscessero già. Facevano compere negli stessi negozi che popolano i centri commerciali dei posti in cui vivono, e camminavano lungo la Strip pieni di sacchetti di Hollister e Forever 21. Facevano la fila, giorno e notte, davanti a McDonald's.

Un giorno, dopo aver vagabondato per cinque ore buone, ho deciso di partecipare a un buffet. Mentre ingurgitavo vagonate di cibo senza neppure deglutire mi sono ritrovata a fissare alcuni giocatori d’azzardo di mezza età. Da come mangiavano era chiaro che il loro unico scopo fosse rimanere in vita così da poter continuare a giocare. Ma almeno erano in compagnia.

Tutti i giorni si sono fusi in uno solo. Parlavo esclusivamente con gli addetti ai lavori, limitandomi a pronunciare circa 20 parole nell’arco di 24 ore. Il balcone della mia stanza all'Hooters Casino Hotel dava sull’area che gli impiegati utilizzavano per le pause, offrendomi la possibilità di osservare il dietro le quinte. Gli impiegati sedevano all’aperto, fumando tranquillamente. Anche se dividevano una panchina con un collega, non parlavano quasi mai. Mi sono chiesta se per caso parlassero solo con persone che non erano addetti ai lavori.

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Probabilmente, almeno una volta vi è capitato di pensare di essere completamente e irrimediabilmente soli, alla deriva in un immenso oceano di dolore e negatività. Ma avete mai mangiato chele di granchio pre-congelate, con l’acqua che vi cola sulle dita e sul tavolo, quel tavolo per occupare il quale avete sborsato 30 dollari, in un momento in cui eravate stanchi di camminare nel deserto ascoltando le conversazioni di gente ubriaca?

Avete mai messo cinque dollari in una slot machine di Sex and the City per una battutina triste e banale di cui siete stati gli unici testimoni? Avete mai guardato da sbronzi la vostra immagine allo specchio in una stanza d’albergo, capito di essere soli e liberi in una città straniera, e di poter fare—no, di poter essere—qualsiasi cosa desideriate, scegliendo poi di guardare la televisione e mangiare cetriolini comprati in albergo? Avete mai vagato per il Margaritaville Casino di Jimmy Buffett…da soli?

Per caso mi sono imbattuta nella dichiarazione di intenti di un artista esposta fuori da un centro commerciale. "La perfezione della Creazione è evidente in tutte le cose," diceva. “La verità della bellezza risiede in ogni roccia, in ogni nuvola, in ogni raggio di luce. Ci sono luoghi in cui la perfezione sussurra… Questo è un luogo in cui Dio canta. Ho puntato l'obiettivo sull'immagine di fronte a me e ho pensato: 'Ecco come dev'essere guardare attraverso gli occhi di Dio.'"

Ogni volta che punto il mio obiettivo su quello che mi circonda, penso esattamente l’opposto.

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