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I lavori estivi peggiori del mondo

Nei film, i lavoretti estivi sono esperienze magiche che lasciano a chi le fa ricordi meravigliosi. La realtà è molto diversa: dal masturbatore di maiali al raccoglitore di mele, ecco alcuni lavoretti estivi che vorremmo dimenticare.

Nei film, i lavoretti estivi sono esperienze magiche fatte di ricordi, prese di coscienza e occasioni di perdere la verginità con ragazzi particolarmente carini e puliti. Nella vita reale, invece, servono a ricordarci che siamo venuti al mondo soltanto per servire persone con genitori più ricchi dei nostri.

E ora che l'estate è lontana, la gente inizia a idealizzarne il ricordo. Per evitare di farvi cadere in trappola, abbiamo raccolto un po' di testimonianze sui lavori estivi meno piacevoli in cui ci siamo imbattuti.

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IL MASTURBATORE DI MAIALI

Avevo 18 anni, vivevo in Nuova Zelanda e non sapevo cosa avrei fatto una volta finita la scuola, così ho accettato il primo lavoro che mi è stato offerto. È così che sono finita a fare la segretaria in un allevamento di animali. Anche se le mie mansioni erano piuttosto normali, spesso mi capitava di assistere i tecnici che masturbavano i maiali per ricavarne lo sperma. In caso non lo sapeste, i maiali vengono masturbati con movimenti a spirale, e i versi che emettono durante l'operazione perseguiteranno per sempre i vostri sonni.

A volte mi mandavano in giro per la città con un pick up a consegnare gli organi di animali che venivano depositati sulla mia scrivania la mattina, oppure dovevo raccogliere i campioni di sperma di maiale conservati nell'azoto liquido. Una volta, mentre guidavo, ho frenato troppo bruscamente e ho rotto uno dei preziosi contenitori che trasportavo. Gli altri conducenti devono aver trovato molto divertente il fumo del ghiaccio secco che si levava dalla macchina; alcuni mi hanno persino salutato o suonato il clacson. Quello che non potevano vedere, però, era la mia faccia mentre cercavo di pulire lo sperma di maiale dalla mia borsa.

Il momento peggiore di tutti, comunque, è stato quando ho dovuto tenere aperta la vagina di una scrofa mentre veniva inseminata.

L'ALLEVATORE DI STRUZZI

Un po' di tempo fa, il governo australiano ha provato a convincere la gente a mangiare carne di struzzo. All'epoca ero a casa dall'università e per qualche motivo mi era stato proposto di lavorare in un allevamento di struzzi. L'allevamento era del padre della ragazza di un mio amico, ed era stata lei a offrirmi il lavoro. Non era poi così male—mi sentivo un po' la versione sfigata di un cowboy.

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Il mio lavoro era portare gli struzzi al macello. Funzionava così: prima gli si metteva un cappuccio in testa—il che avrebbe dovuto tranquillizzarli, ma non funzionava quasi mai—e poi si saltava nel recinto cercando di spingerli fuori. Bisognava fare molta attenzione, perché se gliene fosse stata data la possibilità gli struzzi avrebbero scalciato, e con i loro artigli lunghi dieci centimetri non ci avrebbero messo molto a squarciare la pancia al primo malcapitato.

A questo punto, se eri ancora intero, dovevi condurre gli struzzi fino a un camion, dove qualcun altro li spingeva su una rampa e poi dentro un'altra gabbia. Qualche volta riuscivano a liberarsi e a scappare dal camion. Quando succedeva, dovevo andare io a rincorrerli, cercando nel frattempo di non farmi prendere a calci.

Di solito riuscivamo ad acciuffarli e a calmarli, ma una volta uno struzzo si è tirato un calcio da solo e si è tagliato la gola. Quando succedevano cose del genere non c'era molto altro da fare che sopprimere direttamente l'animale. Per farlo, si usava un badile.

SCIMMIE CLEPTOMANI

Quand'ero più giovane ho passato un'estate a lavorare in una riserva naturale in Africa. Immaginatevi leoni, elefanti e turisti americani tutti presi a fotografare una roccia dopo averla scambiata per un ippopotamo.

Mentre mi trovavo lì, le scimmie della zona hanno iniziato a sviluppare una specie di cleptomania. Di conseguenza, l'albergo dentro la riserva naturale ha iniziato a esporre degli avvisi molto chiari in cui si raccomandava ai turisti di stare attenti ai propri averi. Ma si trattava pur sempre di un villaggio vacanze, e verso l'ora dell'aperitivo tutti i turisti abbassavano la guardia e si verificavano una serie di furti degni di Ocean's 13.

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Ecco come fanno le scimmie a rapinare i turisti: una di loro distrae tutti facendo cose carine e saltellando in giro mentre le altre agguantano tutto quello che possono.

Dato che ero il più giovane tra i miei colleghi, era mio compito arrampicarmi sugli alberi dove vivevano queste piccole stronzette e recuperare qualsiasi cosa fosse ancora intera. Era difficile, e di solito l'unica mancia che ricevevo era una lezioncina su quanto siano pericolosi gli animali selvatici. Perché le iene non ti ruberanno la macchina fotografica, ma di certo potrebbero mangiarti.

PARAFARMARCIE LOSCHE

Quando ero al liceo, il lavoro più figo che potessi immaginare era il farmacista. Così, quando nel nostro quartiere ha aperto una nuova parafarmacia, io e la mia migliore amica siamo riuscite a farci assumere e ci siamo preparate a trascorrere quella che credevamo sarebbe stata un'estate fantastica. Avremmo avuto soldi, rossetti usati e ci saremmo fatte compagnia. Il paradiso, insomma.

Ben presto, però, il capo ha iniziato a chiederci di presentarci lì un'ora prima del turno per fare una specie di corso di formazione non retribuito. Lui era sempre in ritardo e noi rimanevamo ore ad aspettare sedute sul marciapiede. Quando poi si degnava di presentarsi aveva sempre un aspetto orribile e correva sul retro a lavarsi e a radersi. Per farlo usava un lavandino che, stando a quanto ci aveva detto, avrebbe dovuto essere sterile. Inoltre, ogni tanto si chiudeva lì per preparare "dei prodotti su ordinazione." Me lo sono sempre immaginato che confezionava creme speciali per delle vecchie signore, almeno finché non sono entrata e ho visto un sacco di pastiglie ridotte in polvere.

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Una volta la mia amica—che nel frattempo aveva compiuto 18 anni—l'ha visto ubriaco al bar poche ore prima dell'orario di apertura. Lui l'ha minacciata e le ha chiesto di non raccontarlo a nessuno. Ovviamente lei l'ha detto a tutti.

Nonostante tutto questo abbiamo fatto buon viso a cattivo gioco. Il proprietario non si faceva vedere molto, perché stava aprendo un altro negozio, e quando non c'era era tutto più tranquillo. È andata avanti così finché un giorno, mentre ero in negozio da sola, mi ha telefonato per dirmi di smetterla di appoggiarmi al bancone. Pare che avesse delle telecamere di sicurezza collegate al televisore di casa sua e passasse le giornate a osservare quello che facevamo in negozio. Per qualche motivo questa cosa mi ha infastidito ben più della sua violenza verbale. È stato allora che ho deciso di andarmene.

PAPARAZZATE

Nel 2007 ho lavorato per un'agenzia internazionale di paparazzi. Il mio compito era inserire parole chiave nei metadati delle foto e prepararle affinché il resto del mondo potesse farne buon uso. Ho pixellato le facce dei figli di molte celebrità, visto i capezzoli di Lindsay Lohan e sbirciato sotto la gonna di Britney Spears almeno una volta a settimana. Dalle otto di mattina alle otto di sera, stavo chino sulla tastiera del mio computer.

La notte in cui Britney Spears ha deciso di farsi rasare a zero da un parrucchiere di Tarzana, in California, io ero al lavoro. Già durante i giorni precedenti, scrivendo le didascalie di alcune foto, mi ero accorto che si stava comportando in modo strano—la settimana prima, ad esempio, aveva colpito un fotografo con un ombrello. Anche il suo tono di voce si era fatto sempre più strano. A quel punto, il mio livello di tolleranza era già abbastanza alto, e io mi ero abituato a quanto dovesse essere invadente il nostro comportamento nei suoi confronti. Ma non l'ho veramente capito finché non si è rasata la testa.

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E capirlo mi ha fatto stare male. Tutte le foto paparazzate che vedete in giro vengono da serie di più o meno 150 scatti, tra i quali viene scelto quello che fa più notizia. Dietro l'obiettivo ci sono uomini invadenti, sudati ed esigenti, che urlano e fanno di tutto per ottenere uno scatto che dia scandalo. Il gruppo di fotografi che ha seguito Britney era composto da circa 30 persone. La aspettavano fuori casa e la seguivano ovunque andasse. Io ho avuto modo di seguire tutto da vicino, aggiungendo parole chiave che rendessero le foto più semplici da trovare. Mi sento ancora una merda.

RACCOLTA DELLE MELE

Dopo l'università sono andata a fare la stagione in un frutteto. Potrebbe anche sembrarvi una cosa romantica, ma è stata un'esperienza orribile. Di notte faceva freddo, e la mattina le mele erano coperte di ghiaccio e solo a toccarle mi si intorpidivano le mani. A mezzogiorno invece faceva caldo, ma dato che dovevamo infilarci tra i rami dei meli non potevamo nemmeno portare il cappello.

È difficile guadagnare raccogliendo le mele. Venivamo pagati a cassa, ma riempirne una era un'impresa. L'addetto al controllo qualità si accertava che raccogliessimo solo le mele perfettamente mature. Se nella cassa c'erano troppe mele ammaccate o di misure o colori sbagliati, non venivamo pagati.

La cosa peggiore era la pausa pranzo. O meglio, l'assenza di una vera e propria pausa pranzo. Per rifocillarsi e risparmiare tempo bisognava accontentarsi delle mele: dare un morso, buttarla via e continuare la raccolta. L'addetto al controllo qualità si assicurava che mangiassimo le mele buone. Il problema è che mangiare mele, soprattutto se acerbe, ti fa venire la diarrea. Il bagno distava almeno un chilometro dal campo, e spesso l'unica cosa da fare era sbrigare i bisogni sotto l'albero e rimettersi a raccogliere mele.

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LA CLINICA ABORTIVA

Durante la mia adolescenza, per guadagnare qualche soldo, invece di servire ai tavoli o di sistemare gli scaffali di un negozio mi sono ritrovata a lavorare in una clinica abortiva. Ovviamente non è proprio il tipico lavoro che uno fa a 18 anni e, se devo essere sincera, ancora oggi mi chiedo come sia finita a lavorare lì. Ho iniziato nel deposito della clinica, che era collegato direttamente alla sala operatoria, ma ben presto mi sono ritrovata a gestire le liste di accettazione e a seguire le pazienti nelle fasi precedenti l'operazione.

Buona parte del mio lavoro consisteva nel gestire persone in diversi stati emotivi, e molto spesso mi toccava confortare delle donne che avrebbero potuto essere mia madre. E poi c'erano le manifestazioni di protesta. Poter andare al lavoro in macchina non è niente di speciale se poi ti tocca trovare parcheggio in mezzo a una folla che regge cartelli con immagini di feti deformi.

Eppure, la parte peggiore di quel lavoro era il fatto che il centro faceva parte di un ospedale vero e proprio. A seconda del turno che ti veniva assegnato, potevi passare la mattina a fare le congratulazioni a delle donne incinte e a chieder loro come avrebbero chiamato il bambino, e la sera a consolare e ad aiutare altre ad accettare la decisione di non averlo.

Illustrazoni di ​Carla Uriarte