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Siamo andati alla fiaccolata della Lega in Via Padova

La fiaccolata-lampo di Salvini a Milano ha dimostrato che l'Italia non sa più cosa farsene della Lega Nord. Eppure questo potrebbe persino non essere un bene.

Foto di Marco Valli/Cesura.

L'intestazione del sito della Lega Nord ora recita "Lega 2.0". Non so precisamente da quanto tempo sia in vigore questa dicitura, ma appare come decisamente emblematica dello stile che Matteo Salvini sta dando alla sua segreteria del partito. Un rilancio che non era riuscito a Maroni, ancora troppo ubriaco di ambizioni governative che non avevano più nessuna base su cui poggiare. Per quanto lungi dal cancellarle del tutto, Salvini, “giovane” in un partito che invecchia a vista d’occhio, sta cercando di ricostruire una Lega “di lotta”, riaffermarla come movimento dal basso di cittadini resi irrequieti dalle condizioni di crisi. Per questo motivo, da quando al timone c’è lui, la Lega Nord si è lanciata in quasi una manifestazione di piazza a settimana, e lo scorso sabato 15 febbraio ne ha combinate diverse in contemporanea, sparse per molte delle piazze più forti del partito.

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La location per la manifestazione milanese non è stata scelta a caso: via Padova, quartiere—per modo di dire, a Milano i quartieri non esistono—dalla proverbiale altissima concentrazione di residenti stranieri. I militanti si radunano alle 18 di sabato pomeriggio in un tratto per niente remoto della via, per sfilare fino a piazzale Loreto. In tutto non avranno percorso neanche 600 metri e la conta dei partecipanti non sfiora le 200 unità. Una fiaccolata-lampo, che arriva al piazzale senza bloccare ulteriormente le strade né creare altro tipo di disturbo.

Il segretario stesso non si trattiene troppo: arrivato a destinazione dice due parole al megafono per arringare il suo popolo, risponde alle (poche) domande dei giornalisti e se ne parte alla volta di Pavia, dove lo aspetta un’altra manifestazione pressoché identica, per quanto probabilmente più sentita da un territorio che conserva ancora un po’ più amore per la Lega di quanto faccia Milano oggi. Quella milanese rimane, comunque, simbolicamente molto più importante per il non-dichiarato gesto di sfregio che si vuole fare a tutte le comunità di stranieri che vivono e lavorano in Italia, sfilando sotto casa loro e di fronte agli esercizi commerciali che gestiscono.

Ad ogni modo, ed è un altro fatto piuttosto rivelatorio, la maggior parte dei giornalisti non sembra troppo interessata a interrogare Salvini nel merito dei motivi della manifestazione. No, le domande sono quasi tutte sul tema politico più caldo del momento, che è ovviamente la caduta di Letta e l’enigma Renzi al governo. Vogliono sapere come si rapporterà il partito con l’eventuale nuovo governo e il segretario non appare per niente infelice di rispondere.

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Dal canto mio, mi infilo nel circo e faccio un paio di domande sulle proteste degli immigrati rinchiusi nei CIE, sulle bocche cucite e gli scioperi della fame. In quello stesso esatto momento a Roma si sta svolgendo una manifestazione che chiede la chiusura di queste strutture a livello nazionale, ma per qualche motivo sembro l’unico dei cronisti interessato a sapere cosa ne pensa il segretario della Lega. Appena mi risponde, però, inizio a sentirmi stupido solo per averlo chiesto e mi spiego immediatamente come mai nessun altro lo abbia fatto parlare di questi argomenti: Salvini dà risposte che non solo sono elusive e vuote da manuale, ma anche meccaniche e ripetitivissime, piene di una retorica e di un grigiore che Maroni e i suoi neologismi non avevano mai sfiorato.

Ed è proprio questo il punto: la Lega è ingrigita, e più triste che mai. Se Bossi, come leader, incarnava l’anima passionale e guerrigliera del movimento, e Maroni quella ambiziosa e istituzionalizzata nella politica nazionale, Salvini ne rappresenta forse l’anima più cieca, quella che non ha partecipato alla teorizzazione e creazione delle posizioni leghiste ma che, al contrario, ci è nata e cresciuta dentro senza conoscere mai altro punto di vista, che non solo ha mandato a memoria l’elenco ideologico ma lo recita pure a mezza voce e borbottando, dandolo per scontato.

Normale che, a questo punto, lo diano per scontato pure i giornalisti che li seguono, pure i cittadini che saltuariamente li insultano e contestano ai lati della strada, e pure gli abitanti stranieri di via Padova (che sostanzialmente non li cagano e li guardano con più noia che disprezzo). Poco distante dalla fiaccolata, nella rotonda all’incrocio tra viale Padova, via Giacosa e via Predabissi, si svolge una contro-manifestazione indetta da varie componenti del movimento antagonista che, pur non contando una partecipazione tanto più consistente, sembra avere argomentazioni più sentite. Oltre a questo, in Duomo si era radunato un centinaio di membri dell’associazione Papa Giovanni XXIII, per un incontro di preghiera e riflessione a favore della solidarietà nei confronti dei migranti, dell’accoglienza e dell’integrazione.

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La Lega 2.0, invece, è polverosa nelle idee come nella comunicazione. La posizione ufficiale è che ci può anche stare l’immigrazione e una qualche forma di integrazione, ma l’antagonismo nei confronti degli immigrati si continua a usare come ammortizzatore sociale. Lo slogan principale recita “STOP immigrati + lavoro”, rivendicando diritti e vantaggi che in tempo di crisi andrebbero riconosciuti prima di tutto agli italiani per nascita e poi, semmai, a chi in Italia è arrivato da fuori. Da sempre grandi fan dell’ipersemplificazione, ultimamente la loro retorica sembra buttarla su un estremo pragmatismo da “buon senso” grillino, epurato da tutte le colorature, per così dire, etnico-culturali. C’è solo un militante, tra quelli che ho sentito, che parla ancora di Padania, ed è anche relativamente giovane (a proposito: a quanto pare le Marche sono comprese, per cui ho scoperto di non essere mai stato davvero un terrone).

L’utilizzo di via Padova è quantomai paraculo per vari motivi: il fatto di contenere una popolazione prevalentemente immigrata gioca a a favore della Lega nel momento in cui vogliono a tutti i costi dipingerlo come un esperimento fallito di integrazione per cui gli stranieri se ne starebbero relegati tutti insieme in una sola via, lontano dalle case degli Italiani, chiusi in un quartiere-ghetto. Affermazioni che, ovviamente, sono vere solo in parte e che episodi del genere vorrebbero trasformare in assolute.

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Eppure lì, almeno in superficie, appare solo quel tipo di immigrazione che lavora e produce, quella regolare che non delinque. Non si capisce in quale modo i leghisti intendano davvero mostrare al pubblico la pericolosità di via Padova e dei suoi abitanti. Probabilmente contavano su un afflusso tale che qualche incidente, qualche provocazione e risposta, e magari pure qualche sassata o bottigliata sarebbero state inevitabili. Invece beccano anche pochi insulti, e tutti da italiani con chiarissimo accento milanese. Però “quello è sicuramente un terrone,” mi dice un militante dopo essersi preso un vaffanculo da una macchina in corsa in piazzale Loreto.

Dopo la dipartita di Salvini rimango ancora un po’ a interrogare i manifestanti. Sono quasi tutti preoccupati di come tornare forti, di come riprendere vigore movimentistico. "Con internet," dice qualcuno: bisogna fare come Grillo, e insegnare a usare questo mezzo a una base che ha, per lo più, già passato la mezza età da un bel po’. Oppure espandersi, sparpagliarsi in tutta Italia senza puzza sotto il naso: “la Lega arriverà a Roma, arriverà anche al sud,” mi dice uno. “Vedrai.” Forse non sono informato, ma non mi pare proprio stiano arrivando segnali incoraggianti da quelle parti, ed è quasi incoraggiante che, nonostante la crisi, sia tutto sommato poco il territorio guadagnato da tutti i movimenti xenofobi che insistono piano o forte sullo scontro sociale con gli stranieri, dalla Lega ai vari di estrema destra.

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Sembrano comunque tutti più interessati a parlare di Svizzera che di Italia, e noto che il dibattito li divide. Se per qualcuno lo stop all'immigrazione di massa è un segnale forte e importante, che gli svizzeri sono “stanchi dei rumeni che li hanno invasi e gli rubano nelle case,” altri si rendono conto di quanto il problema sia diverso e più complesso, e soprattutto che in alcuni cantoni il limite di immigrazione verrà sicuramente tenuto alto perché la forza lavoro straniera serve eccome, e serve quanto il capitale straniero. Sono davvero sorpreso di trovare tanta onestà intellettuale, ma sono casi isolati: l’altro lato del dibattito è rappresentato perlopiù da chi dice che gli svizzeri sono dei bastardi perché ce l’hanno con gli italiani. Uhmmm… Eh?

Sta di fatto che la Lega, per quanto faccia un sacco di ginnastica e di uscite, ha perso quasi del tutto tono muscolare, e se le loro manifestazioni in uno come me tempo fa potevano suscitare indignazione e preoccupazione, ora mi fanno venire solo un vago senso di disagio. Una stramba amarezza data dalla consapevolezza che la piatta maniera in cui si pongono oggi è in realtà molto più vicina al sentire comune di gran parte dell’Italia, che non va in piazza a rivendicare questo blando razzismo perché, in fondo, lo dà per scontato e lo alimenta comunque, inconsapevolmente. L’italiano medio non ha bisogno della Lega per fottersene di chi subisce il dramma della migrazione e l’aggiuntiva degradazione disumana dei CIE. E questo, più che preoccupante, è assolutamente sconfortante.

Segui Francesco su Twitter: @FBirsaNon

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